Inciuci, rimpasti, direttori scambisti e poltrone volanti. Ma delle diatribe festivaliere italiane i patròn stranieri non si curano. Forse perché già troppo impegnati a far funzionare i propri, di festival. Dieter Kosslick è uno di questi. Dal 2001 guida il Festival di Berlino ed è fresco di conferma da parte del Ministro della cultura Bernd Neumann, “Mi ha fatto molto piacere ricevere dal Ministro della cultura un’offerta di prolungamento del mio contratto”, si è limitato a dichiarare Kosslick, nato nel 1948 a Pforzheim, cittadina vicino a Stoccarda. Giornalista ed esperto in “film funding”: l’uomo perfetto in tempi di crisi, attento a piazzare i soldi dove servono davvero. Alla Berlinale, che oggi costa 19,5 milioni di euro (di cui 6,5 statali), approdò con l’idea di fare un  festival “a 360 gradi”: affiancato da un robusto Film Market, ma capace di coinvolgere la città. E a quanto pare ci è riuscito, altrimenti a cacciarlo, prima ancora dei politici, sarebbero stati i berlinesi. Già, perché stiamo parlando di un festival – all’attivo 62 edizioni – molto amato dai cittadini. “Non esiste un’altra Capitale così legata alla propria manifestazione cinematografica: a febbraio Berlino va in stato d’eccitazione”. Con oltre 300mila biglietti venduti, la Berlinale può vantarsi di essere il più imponente film festival metropolitano al mondo. Ma l’amore esige costante nutrimento.
 
Come si riesce a tenere alto il livello di fidelizzazione della gente alla Berlinale?
 
La Berlinale appartiene ai berlinesi. Alla gente comune non interessa che un film sia in anteprima mondiale. Vuole vedere film altrimenti invisibili, e in ogni caso, vuole dei bei film. È quanto cerchiamo di offrire. Così, abbiamo un pubblico enorme, anche in termini economici. Per mantenerlo tale abbiamo aperto dei “target group” dove chiediamo proposte di sezioni o iniziative: in questo modo riusciamo a capire se, come e perché le nostre offerte funzionano oppure no. Inoltre coinvolgiamo nuovi spazi espositivi, oltre alle sale – che oggi ammontano a 22, sparse per la città. Insomma, bisogna sviluppare gli interessi reali e in costante mutazione di tutti i cittadini.
 
Ma anche con una equa politica dei prezzi dei biglietti. O no?
 
Teniamo bassi i prezzi: vogliamo che il costo non superi quello di un biglietto normale al cinema, ovvero 8 o 9 euro. Ad esclusione solo di alcune serate di gala.
 
Ai berlinesi forse non interessano le première mondiali, ma per lo status internazionale del festival contano. Specie quelle dei grandi film hollywoodiani, che a Berlino ultimamente scarseggiano. Come si spiega?
 
 Avere le anteprime mondiali più attese è sempre più complesso per varie ragioni, tra cui le strategie degli Studios che si orientano su uscite pressoché contemporanee nei vari Paesi. Il marketing hollywoodiano è una scacchiera intricata.
 
Come vede il futuro dei cine-festival, anche alla luce delle nuove tecnologie?
 
Le nuove tecnologie viaggiano ormai a una velocità fuori controllo. Negli ultimi anni abbiamo dovuto investire centinaia di migliaia di euro per aggiornarci agli standard, equipaggiando ogni location a proiezioni di livello altissimo, per ognuno dei 400 film in programma. Il satellite agevolerà il protocollo del “trasporto” dei film, contribuendo a un enorme risparmio e al rispetto ecologico. Quanto all’accesso in streaming – uno dei fattori primari del cambiamento percettivo dei festival – arriverà a modificare il senso delle première, dei red carpet e dell’organizzazione stessa delle rassegne. Siamo nel mezzo di qualcosa di rivoluzionario.
 
Vuol dire che non ci saranno più i red carpet?
 
Io credo che i grandi festival avranno sempre una passerella “fisica”, ma cambierà ciò che la calpesterà, alla luce della crescente importanza del marketing, peraltro già dominante. A voler salire sul tappeto rosso sono soprattutto gli sponsor, che a sua volta esigono di “legarsi” alle star: non hai la star, non hai lo sponsor. Ma se non hai gli sponsor non puoi pagarti le star. E il cerchio si chiude. Naturalmente secondo questa logica non ha più alcun senso programmare un blockbuster pieno di divi senza che almeno uno di questi accompagni il film. Noi siamo posizionati poco prima degli Oscar: se questi si spostassero a fine gennaio – come si rumoreggia – la situazione potrebbe complicarsi. Ma non è detto, aspettiamo e vediamo.
 
Il festival da lei diretto è da anni nella rosa dei “big”, con Cannes, Venezia, Toronto. Ma lei come lo colloca esattamente?
 
Cannes e Venezia hanno un profilo diverso da Berlino, dove tuttavia esiste un dialogo interno tra sezioni ed esterno, con una cittadinanza difficilmente rintracciabile altrove. E queste, a mio avviso, sono le nostre specificità, nonché la nostra forza.
 
In Germania esiste la possibilità che un’altra rassegna possa competere con la Berlinale?
 
Ci sono vari festival importanti ma nessuno in concorrenza con la Berlinale: abbiamo profili diversi, sì da non “disturbarci” reciprocamente ma piuttosto da sostenerci. Nelle sezione Perspektive Deutsches Kino mostriamo anche i vincitori del Festival del giovane cinema tedesco di Saarbrücken e di First Steps, un concorso dedicato alle opere finali degli studenti delle scuole di cinema in Germania.
 
62 edizioni e “solo” 4 direttori artistici. Un record di stabilità di poltrone. Come si spiega? Mai alcuna “interferenza” esterna, politica…?
 
Sulle interferenze o meno parla la continuità degli incarichi, se sono ritenuti validi. Quattro direttori  e altrettante visioni diverse. Il dottor Alfred Bauer (fondatore e primo direttore dal ‘51 al ’77, ndr) è stato il “sovrano” più longevo. Lui era uno charmant, devoto alle star. Si ricorda che quando fu ricoverato in ospedale rimase deluso perché le dive andavano a visitarlo senza scollatura! Questo è solo un aneddoto per testimoniare quanto agli inizi il festival fosse più star oriented. Dopo il critico cinematografico Wolf Donner, che mollò dopo soli due anni, arrivò Moritz de Hadeln, già direttore a Locarno. Rimase alla guida per 23 anni, per poi finire a Venezia. Io sono agli antipodi dei glamour, ho voluto ampliare il mercato perché ritengo che sia indispensabile. E ho voluto far tornare il giovane cinema tedesco. Poi è importante che la gente di ogni estrazione sociale ed economica possa accedere alle proiezioni, trovando negli spazi festivalieri un luogo accogliente per il dialogo e l’incontro. La mia visione è realizzata? Ai berlinesi la risposta.

L’intervista è una versione riveduta e ampliata di quella pubblicata su Il Fatto Quotidiano.