All’ingresso di una stazione metropolitana parigina, simile a una delle tante filmate da Luc Moullet in Barres, qualcuno tenta di scavalcare il tornello, e aggirare così l’ostacolo che impedisce di entrare senza un biglietto. È questa la prima immagine di Pepsi, transessuale filippina protagonista di Shelter: Farewell to Eden, terzo documentario di Enrico Masi, presentato in questi giorni al Cinéma du Réel di Parigi e al danese CPH: DOX.

Ed è in effetti questa caratteristica, la capacità di riuscire sempre, nonostante le difficoltà, a superare gli ostacoli che le si pongono sul cammino, uno dei tratti principali di Pepsi. Scappata da un’isola nel Sud delle Filippine a religione musulmana perché omosessuale, vissuta per dieci anni come infermiera in Libia, arrivata poi in Italia, e, infine, a Parigi, la sua vita sembra costellata di mete che finiscono per essere sempre e solo luoghi di passaggio, senza mai trasformarsi in quel rifugio sicuro che la stessa protagonista cerca, e che il titolo del film sembra suggerirci.

“Rifugio”, infatti, è la traduzione italiana del titolo. Parola che è la radice di un’altra, oggi più che mai usata, e quasi abusata: quella di “rifugiato”. Pepsi è difatti una rifugiata che, per un errore burocratico, ha ottenuto asilo politico sia in Italia che in Francia, ma che ancora non riesce a trovare un luogo in cui vivere una vita accettabile e soddisfacente. Ed è a questo punto che il suo desiderio di raggiungere la luna non sembra poi così irrealistico, o lo sembra tanto quanto stabilirsi con sicurezza e dignità nell’Europa chiusa e blindata di oggi.

Enrico Masi riesce a trasportarci nel viaggio di Pepsi, nella molteplicità dei luoghi visitati, in una specie di moderna odissea, dove a ogni luogo corrisponde un mettersi alla prova, un cambiare e trasformare la propria identità. La trasformazione continua del corpo e dello spazio è un tema che il regista bolognese riesce a integrare anche nella forma cinematografica, creando una sorta di collage narrativo che passa da ambienti reali a luoghi fiabeschi, da filmati d’archivio a filmati originali, da formati video a fotografie. Il film sembra cambiare continuamente forma, così come la protagonista, che ci rivela avere ben sette identità diverse, e che decide di non mostrare mai il volto alla telecamera, per venire filmata quasi sempre le spalle, perennemente diretta verso altre destinazioni.

Tutto ciò fa di Pepsi un personaggio quasi alieno, chiuso in un universo magico che riecheggia vecchi miti; come quello di Europa, fanciulla vittima di uno Zeus che si trasforma in toro bianco per sedurla. Ma un mito che qui sembra ribaltarsi, e il toro bianco, che appare nel film per più di una volta durante il racconto di Pepsi, pare farsi allegoria sua e di tanti altri come lei, stuprati e violentati da un’Europa sorda di fronte al loro grido di aiuto.