Conosciuto e stimato per le sue notevoli retrospettive (quest’anno il periodo inglese di Hitchcock, Regina Pessoa, la fantascienza d’autore e il cinema noir), il Bergamo Film Meeting riesce a raccogliere nel suo concorso internazionale pellicole vive e stimolanti, una pluralità di sguardi frutto di un’accurata selezione. Ce lo farà pensare il paragone con il cinema in sala, sempre più scadente e omologato, ma non soltanto: esiste una corrente nascosta di film che hanno qualcosa da dire e solo grazie a festival come questo riescono a trovare una piccola vetrina nel nostro Paese. Una selezione di sette film (leggermente di meno rispetto agli anni passati, ma il peso dei tagli alla cultura si fa sentire ovunque), tutti prodotti anche solo parzialmente da un paese europeo (grazie all’appoggio di Programma MEDIA), che nel complesso toccano una serie di problematiche e situazioni che arrivano a coinvolgere il mondo intero.

Una storiella zen racconta che un impercettibile battito d’ali di una farfalla in un luogo può far cadere un albero secolare da un’altra parte del pianeta. Tutti gli esseri sono tra loro collegati, per quanto possano essere distanti. Un microcosmo precipita e si allarga fino ad esplorare i legami che ci uniscono a universi lontani: così accade nel film che ha incontrato il maggior gradimento del pubblico, Handlarz Cudów (Il venditore di miracoli) di Boleslaw Pawica e Jaroslaw Szoda, e in quello che lo segue tra i vincitori, Das Lied in mir (La canzone in me) di Florian Cossen. In Handlarz Cudów, durante un lungo viaggio emblematico dalla Polonia verso la Francia dei miracoli di Lourdes, l’universo chiuso e sclerotizzato del protagonista alcolizzato entra in contatto con quello di due bambini clandestini: inevitabile il cambiamento che trasformerà radicalmente i loro destini. Lo strumento di passaggio del film è l’acqua: il bagno in piscina, il fiume da attraversare e la pioggia rappresentano le varie tappe di un percorso, una sorta di battesimo in grado di lavare i pregiudizi e far penetrare le emozioni nel cuore di personaggi e spettatori.

L’acqua è un elemento importante anche in Das Lied in mir: la protagonista è una nuotatrice professionista. La familiarità con una ninna nanna, cantata da una sconosciuta all’interno dell’aeroporto di Buenos Aires, è per lei l’inizio della scoperta delle sue vere origini, cancellate da chi prima rappresentava tutta la sua esistenza. È un viaggio graduale e introspettivo attraverso la scoperta di sé e il ribaltamento di ogni legame emotivo quello in cui ci guida con stile schietto e coinvolgente il regista, capace di maneggiare con delicatezza una complessa storia familiare e mostrando la profondità delle emozioni che prendono corpo man mano che la storia si sviluppa. Funziona anche la scelta di far riaffiorare lentamente, attraverso le emozioni dei personaggi, le tragiche conseguenze e le ferite ancora aperte causate al popolo argentino dalla passata dittatura. Notevole la rappresentazione della città di Buenos Aires, moderna e vitale, città archetipica dove perdersi per poi ritrovarsi.

Una piacevole sorpresa il film italiano in gara, Sulla strada di casa di Emiliano Corapi, che ha conquistato il terzo posto. Lo stile registico e la scelta degli attori sfiorano l’estetica della fiction televisiva, nel suo versante più sperimentale e libero (che spesso supera di gran lunga i prodotti cinematografici odierni): il risultato è un film capace di tenere alta e costante la tensione, sviluppata in una trama da thriller in grado di far riflettere sulle problematiche della quotidianità di chi è disposto a tutto pur di sfuggire alla crisi economica. Protagonista e co-protagonista sono infatti “uomini qualunque” che si ritrovano per caso coinvolti negli sporchi ingranaggi della malavita: uno ne esce miracolosamente intatto, mentre per l’altro il gioco è fatale; ma sono entrambi vittime del sistema.

Sono due storie di adolescenti “difficili” quelle raccontate in Guerra Civil (Guerra civile) di Pedro Caldas e Podslon (Il rifugio) di Dragomir Sholev. Nel primo, il protagonista, chiuso nel suo spazio interiore, si scontra col mondo degli adulti e viene a malapena sfiorato dall’influenza di una coetanea che cerca di risvegliarlo dal suo autismo ostinato. Il regista cambia spesso punto di vista per accogliere la prospettiva del ragazzo e di chi lo circonda, ma il tutto resta permeato da una generale superficialità. In Podslon l’adolescente in questione diventa amico di due punk navigati e non si cura della preoccupazione dei genitori. Lo scontro generazionale si mescola a quello politico, e sterile, tra adulti conformisti e ragazzotti anarcoidi che credono di poter realmente sfidare il sistema. Ma il dialogo resta impossibile.

L’incomunicabilità è anche il tema di Pulsar, film di un regista noto al pubblico del BFM, Alex Stockman. Il protagonista è ossessionato da un presunto hacker che, entrato nel suo sistema, sta compromettendo anche la sua vita amorosa. Nonostante gli sforzi per proteggersi da tali aggressioni, la sua vita precipita. Il film è una riflessione interessante sulla vulnerabilità della rete informatica, attraverso la quale oggi si basano gran parte delle relazioni personali, e sul rischio di invasione da parte di elementi estranei: l’unica soluzione proposta sembra l’abbattimento della frontiera virtuale per tornare al più naturale contatto umano. L’ultimo film presentato è Bi, dung so! (Non avere paura, Bi!) di Phan Dang Di, ambientato in Vietnam. Le vicende familiari di una famiglia ordinaria vengono raccontate con ritmo lento: la superficialità degli uomini si contrappone alla forza  e al coraggio dei sentimenti dell’universo femminile, che però ne esce comunque svilito e represso. L’unico rapporto autentico si sviluppa tra il nonno giunto alla fine dei suoi giorni e  il piccolo Bi, costantemente proiettato verso la scoperta del mondo che lo circonda.