Je n’ai jamais été de ce peuple-ci
(Rimbaud)

Bisogna abbattere la Sorbona e mettere Marker al suo posto
(Henri Michaux)

In occasione dei novant’anni di Chris Marker, Lindau ristampa – dopo la prima edizione del 2003 – il volume di Ivelise Perniola Chris Marker o del film-saggio, con l’aggiunta di un capitolo finale riguardante gli ultimi lavori multimediali dell’artista. Volume divulgativo ma comunque decisamente utile: Marker è un autore molto trascurato, soprattutto in Italia, dove a parte un paio di monografie (da segnalare il volume curato da Bernard Eisenschitz, Chris Marker, uscito in occasione della retrospettiva al Nuovo Cinema di Pesaro del 1996, e quello di Viva Paci, Il cinema di Chris Marker, uscito per Hybris nel 2005) sembra essere ormai perso nell’oblìo.

Certamente occuparsi di Chris Marker, vero e proprio outsider dell’establishment cinematografico, non è compito semplice: Marker è un uomo che sfugge decisamente a qualsiasi definizione, impossibile ascriverlo ad un movimento o ad una scuola, nessuno quanto lui vive nel proprio mistero, nel proprio mito e si fa conoscere esclusivamente attraverso le proprie ossessioni visive.

Perniola ci conduce attraverso questi meandri misteriosi del lavoro e della vita di Marker, cercando di farci orientare all’interno di un materiale eterogeneo ed eclettico, sforzandosi di definire la caratteristica comune ai suoi lavori: il cinema strutturato come film-saggio. L’opera di Marker è sostanzialmente un’opera anarchica, personale e a tratti incoerente come solo il libero pensiero può essere. Il cinéma-verité infatti, per Marker, diventa ciné-ma-verité, elaborazione fortemente soggettiva, individuale della realtà. Ma è anche un corpus filosofico, proprio di un uomo di cultura inestimabile, capace di affrontare con coraggio e originalità questioni scottanti come la rivoluzione cubana (Cuba sì) o la nascita dello stato di Israele (Description d’un combat) e, più sul piano cinematografico, il cinema collettivo (lo SLON, il Gruppo Medvedkin), sfidando sia il potere dei governi che i tabù di certi intellettuali dell’epoca: perché il piglio di Marker non è quello del documentarista ma quello del pensatore che si serve delle immagini per esprimere il pensiero.

Perniola, compie un percorso, per quanto possibile, sia cronologico che contestuale. Dalle suggestioni fondamentali per la comprensione della poetica di Marker, che provengono dai lavori di Michaux, di Giraudoux, di Hitchcock – soprattutto Vertigo, a cui viene tra l’altro dedicata da Marker una sequenza struggente in Sans soleil –,  di Protazanov e di Medvedkin, fino all’analisi delle sue maggiori opere (Lettre di Sibérie, La jetée, Le joli mai, i film del periodo SLON, Le mystère Koumiko, Sans soleil, Level Five e il lavoro multimediale Immemory). Non vengono tralasciate le aspre critiche che Marker si è attirato nel corso della sua decennale carriera: critiche tutt’altro che scontate e banali, ma sempre foriere di discussioni e innovazioni, nel linguaggio cinematografico e non solo, che giustamente un film-saggio deve provocare. Critiche pronunciate da grandi teorici e pensatori del cinema, da Noël Burch a Jean Andrè Fieschi, da Michel Delahaye a Serge Troubiana. Ma tutte queste critiche non fanno che dar ragione all’animo dialettico di Marker per il quale “una testimonianza discutibile è sempre preferibile a molti colpevoli silenzi”. La testimonianza di Marker, basandosi sull’immagine della realtà, il significante meno codificabile per antonomasia, non può che essere discutibile, non può che essere ambigua, non può che avere “tanti significati quanti gli sguardi che la osservano”.
 
Perniola ci restituisce in questo modo la complessità e l’integrità di Marker, globe-trotter, viaggiatore ma non turista, Ulisse della modernità che viaggia non solo nello spazio come il turista, ma soprattutto nel tempo, che mette la sostanza del viaggio e non l’evanescenza della meta al centro del proprio peregrinare alla ricerca di luoghi della memoria, del tempo perduto. La scelta di un artista come Marker non poteva quindi che cadere sul mezzo-cinema in quanto mezzo idoneo per rappresentare il Tempo, ossessione permanente dell’opera markeriana. Lo scacco dell’uomo mortale davanti al tempo che crudelmente scorre è una possibile e tragica chiave di lettura, offertaci da Perniola, delle opere e dell’esistenza di Marker, infatti come si afferma ne La jetée, “piuttosto che quest’avvenire pacificato egli domandava che gli venisse restituito il mondo della sua infanzia e quella donna che forse lo aspettava”.

CHRIS MARKER O DEL FILM-SAGGIO
di Ivelise Perniola
Lindau, Torino 2011
pp. 280, 24 €