MacDonald
: Quando conducevi Cinema 16, il modello della “film society” era quello standard per far circolare il cinema alternativo; negli anni ’60 c’è stato un movimento underground o d’avanguardia, o almeno l’illusione che ce ne fosse uno; poi, nei ’70, si è arrivati al sostegno governativo diretto al supporto di sale dedicate al cinema alternativo. Come vedi la scena alternativa odierna?

Vogel: Prima di tutto bisogna considerare il contesto sociale, perché il cinema d’avanguardia può essere preso in considerazione solo all’interno di una visione più ampia. Ai tempi delle proiezioni del Cinema 16 le nostre attività coincidevano, grosso modo, con l’epoca dei Beat, che si è poi sviluppata nei movimenti degli anni ’60. Abbiamo cominciato prima dei Beat, nel 1947-1948, ma il fatto che Pull My Daisy sia stato proiettato per la prima volta all’interno dei programmi di Cinema 16 dimostra che avevamo alle spalle un’atmosfera benevola nei confronti delle forme di sperimentazione che ci interessavano. Quindi, se da una parte proiettando film come quello abbiamo preparato il campo per una situazione che non si è venuta a creare dal nulla, dall’altra c’era un contesto sociale più ampio che ci ha permesso di svilupparci con successo. Ritengo che questa riflessione non valga per l’oggi, o per gli anni recenti. Ci troviamo in un’epoca estremamente conservatrice e retrograda – politicamente, culturalmente, sotto ogni aspetto – con gravi conseguenze per il cinema, in particolare per quello sperimentale, che si caratterizza in maniera più conflittuale di qualunque altro tipo di cinema indipendente.

MacDonald: L’ironia è che il momento culturale in cui è prosperato Cinema 16 era particolarmente conservativo: la fine degli anni ’40 e gli anni ’50. Hai utilizzato il termine “sperimentale”: ritieni che il cinema d’avanguardia abbia partecipato proficuamente del più ampio ideale di sperimentazione nelle scienze e nelle tecnologie?

Vogel: Non credo che la temperie culturale degli anni ’40 e ’50 fosse peggiore di quella attuale. Non è così che la ricordo. Ci sono fattori diversi da considerare: al momento c’è un pubblico molto ristretto per il cinema d’avanguardia, anche in un centro come New York, e ci sono pochi luoghi in cui vedere questi film. Ma bisogna fare attenzione a non generalizzare troppo. Quando ho cominciato io non c’era nessun luogo del genere a New York, ma ho immediatamente incontrato persone che erano desiderose di vedere materiale di quel tipo e partecipare alle proiezioni. C’è sempre una diretta iterazione tra un qualche agente sociale e l’ambiente circostante del tempo. Io e Frank Stauffacher [fondatore delle serie “Art in Cinema” a San Francisco e risorsa di Vogel per Cinema 16, ndr] eravamo quel tipo di agenti. Sarebbe un errore dire “oggi quasi nessuno è interessato a questo tipo di film”. Non è vero. Vedo chiaramente diverse cose che andrebbero fatte. È possibile che il mio discorso possa sembrare antiquato, ma ho ragionato a lungo riguardo su ciò che potrebbe essere fatto oggi perché il cinema d’avanguardia trovi un pubblico maggiore, e gran parte delle soluzioni a cui sono arrivato sono tutt’altro che nuove. Ci sono cose che venivano fatte ai tempi di Cinema 16 che, molto semplicemente, oggi non vengono più fatte. Si potrebbe cominciare con il riproporle e vedere cosa succede. Sono certo che contribuirebbero a migliorare la situazione.

MacDonald: Puoi essere più specifico?

Vogel: Per quanto riguarda la programmazione, credo che Cinema 16 oggi potrebbe avere un successo ancora maggiore. Quando parlo di “successo” non mi riferisco al successo delle formule attualmente utilizzate, che consistono fondamentalmente di due opzioni: o si fa un un programma mettendo insieme un certo numero di film di avanguardia realizzati da vari registi o si mostra il lavoro di un solo regista all’interno del programma. Come sai, i programmi di Cinema 16 erano una mescolanza eclettica di documentari, film scientifici, d’avanguardia, d’animazione, corti e lunghi di natura più narrativa. Quando mi capita di assistere ai programmi realizzati oggi, dove si vedono solo film d’avanguardia, in una delle due opzioni citate, mi rendo conto di un paio di cose: primo, che non va nessuno a vederli e io siedo tra altre dieci o venti persone, non di più – naturalmente parlo in linea generale, so che ci sono eccezioni; secondo, dopo aver visto cinque film sperimentali, comincio io stesso a sentirmi irrequieto.
Non voglio essere frainteso: anche se la spina dorsale dei programmi di Cinema 16 era costituito da una varietà di corti di filmmaker diversi, credo che ci debbano essere anche programmi dedicati al lavoro di singoli registi. Si tratta di qualcosa che non facevo ai tempi di Cinema 16 ma ci pensavo spesso e arrivavo alla conclusione che, stando alle risorse di cui disponevo, non ero in grado di realizzarli in aggiunta a quelli che già facevo. Era ciò che faceva Jonas, e aveva ragione, al riguardo, ma si è limitato a farlo in maniera esclusiva. È andato solo in quella direzione e, alla fine, questo modo di agire ha posto dubbi molto seri riguardo la possibilità di creare un pubblico e conservarlo per mezzo di una programmazione di quel tipo. Da quanto ho potuto vedere (partecipavo alle sue proiezioni presso il Charles Theater e altrove) il metodo non funzionava: anziché conquistare un pubblico crescente, il numero delle persone diminuiva, già allora.
Se avessimo presentato al pubblico di Cinema 16 un programma dedicato interamente al lavoro di un solo regista sperimentale (Oskar Fischinger, Michael Snow, uno qualunque), e se avessi continuato a ripetere questo sistema nel corso dell’anno, avrei perso gran parte dei membri della società. Era difficile – e lo è ancora – seguire un intero programma di cinema sperimentale persino per me – e io amo il cinema sperimentale! Perché mai dovrebbe essere diverso per chi non ha sviluppato una passione nei suoi confronti?
C’è poi un’ultima questione, che forse può sembrare molto banale: sono fermamente convinto del fatto che, qualunque sia il tipo di programmazione scelta, si deve avere un sostegno pubblicitario molto forte, un organizzazione promozionale capace di raggiungere il pubblico generico. I programmatori devono insistere su questo punto, anche a rischio di trasformarsi in grandi scocciatori. So quanto può essere difficile, non sono un utopista. Ma sono anche convinto che oggi non venga fatto adeguatamente.
Con Cinema 16 realizzavamo brochure molto attraenti, ricche di idee e distribuite in maniera massiccia. Ne stampavamo in quantità industriale.

MacDonald: Ovvero quante?

Vogel: Intorno alle centomila.

MacDonald: Sul serio? Centomila!?

Vogel: Certo! È solo grazie a quella tiratura che avevamo una quantità tale di spettatori.

MacDonald: Cosa facevate con tutte quelle brochure?

Vogel: Le spedivamo, nonostante fosse molto dispendioso. Il grande privilegio di cui disponevamo era quello di lavorare con direttori artistici di prima categoria. Mi interessavo molto al design visuale delle brochure e ne scrivevo i testi. Se avessimo messo in giro diecimila brochure non avremmo avuto più di cinquecento membri. Purtroppo ritengo che questi sforzi promozionali siano assolutamente necessari.

MacDonald: Una delle ironie degli anni ’70 e ’80 è che, una volta che i sovvenzionamenti statali sono subentrati a supporto non solo della realizzazione dei film ma anche delle sale in cui proiettarli, da parte dei programmatori si è allentata la pressione di procurarsi un pubblico. I finanziamenti sarebbero arrivati comunque, a prescindere dalla qualità della programmazione e dalla mancanza di pubblico. Odio dover fare questa considerazione ma, di fatto, il successo nel costruirsi un pubblico era almeno in parte il risultato di una necessità. Chi non fosse stato in grado di costruirsi un audience, non avrebbe potuto proiettare i film.

Vogel: È vero, ma nonostante questo io sono decisamente a favore del sostegno governativo rivolto all’arte, purché i finanziamenti non siano vincolati da restrizioni. Le nostre esistenze ai tempi di Cinema 16 sarebbero state più tranquille e avremmo avuto forse anche più successo – forse l’organizzazione sarebbe ancora attiva! – se avessimo usufruito di un supporto esterno. In molti altri Paesi, come sai, il sostegno statale a favore dell’arte è decisamente superiore a quello che abbiamo qui. Chiunque studi la situazione non può fare a meno di rendersi conto di quanto siamo indietro da questo punto di vista. E, con ogni probabilità, anche quel poco che ora viene elargito verrà presto sottoposto a tagli. Ma, come ho detto, è necessario che il supporto governativo venga fornito senza restrizioni o censure di alcun tipo, altrimenti sarebbe da rifiutare. L’indipendenza ideologica, politica ed estetica di un progetto per me è molto più importante di qualunque forma di supporto si possa ottenere dall’esterno.
Oggi come ieri, ci sono numerosi organizzatori che non si preoccupano particolarmente di formare un pubblico. Si accontentano della loro piccola oasi e mostrano i film che vogliono ai loro amici e si compiacciono dei risultati tra di loro. Ma è anche vero che ci troviamo in una situazione culturale particolarmente negativa, ostile all’avanguardia artistica e alle idee innovative. Ciò ha in parte a che fare con il soffocante consumismo del quale soffriamo tutti. La televisione ha avuto una terribile influenza, e non per motivi inerenti il mezzo in sé ma perché, attualmente, è dominata da interessi economici. Ciò conduce a una sorta di infantilizzazione nazionale, e a un istupidimento culturale che si è ormai trasformato in un processo globale. La televisione americana è dominante nel mondo e ha condotto alla distruzione delle sale cinematografiche in buona parte dei centri produttivi. La condizione del cinema sperimentale va quindi analizzata all’interno di tale contesto.
Un altro punto essenziale: cosa è l’avanguardia? Chi è l’avanguardia? Penso che il New American Cinema abbia dato luogo a un interessante errore di concetto nei primi anni ’60: di fatto hanno escluso – perché non erano interessati o perché erano ad essa in contrapposizione – l’avanguardia commerciale. Hanno persino messo in discussione che i registi che ne facevano parte fossero avanguardia. Sin dall’inizio, ho incluso nella mia concezione di avanguardia gente come Antonioni, Bresson, i primi Bertolucci, Oshima, Fassbinder. E potrei fare tanti altri nomi. È un terribile errore escludere registi come questi. Sono assolutamente contrario al spirito commerciale dominante ma, allo stesso tempo, bisogna comprendere che ci sono persone che si sforzano di ricercare nuovi stili, contenuti e approcci anche all’interno dell’arena commerciale, e non vanno tagliati fuori. A volte i loro risultati – in termine di sperimentazione – sono altrettanto importanti, se non più, di quelli dei filmmaker sperimentali strettamente non commerciali che io e te amiamo.
Se dovessi mettere in piedi Cinema 16 oggi mostrerei i film di queste persone insieme ad altri tipi di “sperimentazione”. E sono certo che la scelta attrarrebbe un pubblico maggiore.

MacDonald: In realtà mi spingerei persino oltre: la maggior parte di noi si è appassionata al cinema non grazie al cinema sperimentale ma per esperienze legate a quello popolare. Vado costantemente al cinema e non ho mai considerato il mio interesse nel cinema sperimentale nocivo nei confronti di quello per il cinema popolare. Ricordo che a Cinema 16 erano in programma incontri con Hitchcok e King Vidor…

Vogel: A volte i registi del cinema commerciale possono darci buone idee. In fondo hanno accesso a budget che permettono loro di fare cose  impossibili per chiunque altro.
Un altro punto controverso – per gli altri, non per me: il video. Oggi c’è una maggiore competenza tecnica nell’uso del video di quanta ce ne fosse in origine e la qualità delle proiezioni è nettamente migliorata. Quando il pubblico vede un buon lavoro in video, ben proiettato su un grande schermo, non è nemmeno in grado di distinguere il video dal 16mm, o dal 35mm. C’è senza dubbio un’interessante avanguardia all’opera in video. Come programmatore dovrei forse dire ai registi che intendono lavorare esclusivamente in video “non mostrerò i tuoi lavori perché non sono cinema puro”? Non so nemmeno cosa sia il “cinema puro”. Se vuoi costruirti un pubblico devi includere i film in video più interessanti, che spaziano dall’avanguardia al documentario, al video musicale.
Come sappiamo, lo stile di MTV, il rapido montaggio di immagini accompagnato da pezzi fortemente ritmati (rock, rap o di qualunque altro genere) è entrato a far parte dello stile cinematografico. Oliver Stone ne è un esempio, basta pensare a JFK e Natural Born Killers, così come i trailer che si fanno oggi. In buona parte sono buoni solo a istupidire le menti ma ci sono anche molte persone che stanno realizzando cose decisamente interessanti nel campo del video musicale. Non si può fare di tutta l’erba un fascio e dire che tutti i video musicali sono commerciali e quindi non vanno presi seriamente in considerazione come forme d’arte. Come ti comporti con Zbignew Rybczynski? E ce ne sono altri come lui. Tutto ciò dovrebbe entrare a fare parte della programmazione ideale a cui mi riferisco.

MacDonald: Credo che dovremmo trarre insegnamento dalle altre forme visive. La questione è: dove ha luogo questa dialettica? Nei migliori musei di arte moderna possiamo vedere l’evoluzione di approcci diversi originariamente nati in opposizione gli uni agli altri; e il pubblico che li affolla gradisce l’esperienza di interscambio fornita dai vari approcci. Nella storia del cinema sperimentale la situazione è di tutt’altro tipo. Qualcuno potrebbe sostenere che la formula di programmazione e distribuzione del New American Cinema sia stata una risposta salutare a ciò che aveva fatto Cinema 16. Il problema è che questi due approcci si sono imposti come mutualmente esclusivi. Il Collective for Living Cinema si è formato, per comprensibili ragioni, in opposizione all’approccio dell’Anthology e del suo Essential Cinema [un comitato di selezione composto da cinque persone – James Broughton, Ken Kelman, Peter Kubelka, Jonas Mekas, P. Adams Sitney – sceglieva un set di cinque film che riteneva capolavori “essenziali” della storia del cinema; si veda Sitney, The Essential Cinema (New York University Press and Anthology Film Archives, New York, 1975)], piuttosto che collaborare insieme per una crescita collettiva all’interno di un più largo contesto istituzionale. Ogni nuova istituzione è stata fondata sulle ceneri di quella che l’ha preceduta e quello che alla fine rimane non è altro che cenere.

Vogel: Capisco cosa intendi, ma voglio dirti che qualunque sia la situazione attuale, nonostante i fattori sociali che operano contro di noi e la ristrettezza degli spazi a disposizione, continuo ad avere un attitudine decisamente ottimista. Sono convinto che l’avanguardia non morirà mai, non può morire. Ci sarà sempre gente intenzionata ad andare contro l’ortodossia corrente, che si sforzerà di trovare nuove direzioni e forme d’espressione. Quando la gente mi chiede come posso essere ancora ottimista nei riguardi di possibili politiche progressiste o di uno sviluppo dell’arte sovversiva rispondo sempre così: “Confido più nei miei nemici che nei miei amici”. Sono convinto che i miei nemici continueranno a portare avanti politiche orrendamente repressive e che, così facendo, evocheranno di nuovo, inevitabilmente, una rivolta da parte di coloro che vengono schiacciati, artificialmente o con la forza. Il potere dell’impulso artistico che crea ciò che noi chiamiamo avanguardia non può essere sconfitto, sarà sempre in grado di risollevarsi.

(settembre 1995, pubblicata su Cinema 16: Documents Toward a History of the Film Society, a cura di Scott Mac Donald, Wide Angle Books, 2002; traduzione di Alessandro Stellino)