Molto si è scritto o detto a proposito di The Beguiled (letteralmente “l’ingannato” o “il sedotto”, tradotto ridicolmente in Italia con il titolo di La notte brava del soldato Jonathan) come fosse un film dissonante rispetto all’opera “virile” di Don Siegel, regista di molti thriller e polizieschi d’azione, western e film bellici dalla scarsa presenza femminile. In realtà, nella sua presunta estraneità, The Beguiled, melodramma delirante, è un film non solo in perfetta continuità con l’opera siegeliana, ma è per certi versi paradigmatico di un modo di fare cinema tipico del regista di Chicago. Virile, si è detto. Attraverso le figure femminili di The Beguiled il regista dipinge un mondo dove è in realtà l’uomo, e il ruolo maschile, a perdere quel ruolo di dominatore che egli per primo si aspetta di dover ricoprire. La vicenda e i personaggi del film vanno proprio in questa direzione, e non in quella di una diffusa misoginia sovente attribuita a questo e a molti altri film del regista.

Questa messa in crisi della virilità, vero tema portante di tutta la cinematografia siegeliana, si è espresso fino al 1971, anno dell’uscita del film, indipendentemente dalla messa in scena del confronto tra generi sessuali, e così continuerà nella carriera successiva del regista, inaugurata, dopo l’insuccesso di questo film, da quello che è invece la sua opera più citata e ricordata, Dirty Harry (uscito negli Stati Uniti il medesimo anno, il 1971). Come nei film che lo precedono e lo seguono, quindi, anche The Beguiled mette scopertamente in scena un processo di castrazione, moltiplicandone i simboli e sintomi e portando così all’eccesso quella pratica di metaforizzazione della perdita (e della occasionale riconquista) della propria mascolinità che caratterizza i personaggi dei film del regista. Segno più volte adottato di questa crisi del maschio siegeliano è ovviamente la perdita della pistola (come capita a Mitchum in The Big Steal, a Clint Eastwood in Coogan’s Bluff e soprattutto a Richard Widmark in Madigan, film tra i più personali dell’autore, manomesso in fase di montaggio dalla produzione [1]), ma Siegel costruisce variazioni su questo tema davvero in quasi ogni film, talvolta ironicamente (per l’Eastwood di Two Mules for Sister Sarah il desiderio frustrato di non poter possedere la suora si volge in beffa quando scoprirà che è una prostituta), talvolta dolorosamente (il cancro che mina Wayne in The Shootist, il sequestro del figlio di Caine – e quindi della prova della propria virilità – in The Black Windmill), talvolta attraverso simbologie più o meno discrete (la paralisi all’indice della mano destra di McNally in Duel at Silver Creek, i bisonti nel recinto di Dirty Harry), fino alle grandi metafore carcerarie (Riot in Cell Block 11 e Escape from Alcatraz) e alla riproduzione asessuata di Invasion of the Body Snatchers (2).

Attraverso queste metafore così scopertamente, talvolta grossolanamente palesi, Siegel ci pone di fronte ad una crisi non solo del maschio (americano), ma di un sistema di valori, di un mondo. A questa sostanziale decadenza del patricentrismo in ambito privato e pubblico, in The Beguiled oppone per la prima e ultima volta un altro ordine, quello matriarcale rappresentato dal collegio in cui John McBurney trova rifugio. Ad una logica (auto)distruttiva maschile, se ne opporrebbe, almeno in teoria, una accogliente e fertile di stampo femminile. In realtà la maggiore indipendenza femminile (data dal contesto bellico e dall’assenza del maschio negli anni in cui il film è ambientato, data dalle battaglie femministe in quelli in cui è girato) non porta ad una vera emancipazione: le strutture sociali rimangono saldamente non solo in mano agli uomini, ma anche di impostazione patriarcale.

Come in Il servo di Losey, che spartisce con The Beguiled la claustrofobia barocca e la descrizione dell’apparente fragilità dell’ordine costituito (sia esso sessuale o di classe), solo all’interno di un microcosmo specifico è possibile sovvertire regole che al di fuori rimangono ben salde, per quanto avviate verso una lenta e inesorabile decadenza che le circostanze eccezionali dei personaggi dei film accelerano. Lo scontro tra McBurney e le sue salvatrici/carceriere adombra quindi la crisi del maschio messo di fronte all’emancipazione femminile, l’ordine patriarcale contro il matriarcato. Se quindi, come si è detto, da un lato Siegel con questo film riprende (ed estremizza) un tema a lui caro, vi somma una più inedita critica al matricentrismo americano: nutrendosi, deformandolo, della lezione di grandi registi che lo hanno preceduto. Si pensi, ad esempio, a John Ford (3), per il quale “il concetto primario di famiglia – quella legata alla terra – ha caratteristiche femminili […]. È proprio attraverso i personaggi femminili che la famiglia realizza quei valori nutritivi che sono tipici del rapporto con la terra” (4).

Di quest’idea, Siegel ci mostra la versione deteriorata, corrotta: la famiglia della signora Farnsworth, la direttrice del collegio, è sterilmente rispiegata su se stessa dal rapporto incestuoso con il fratello ormai morto, e la possibilità di un nuovo seme  immaginata a seguito dell’arrivo di McBurney finisce presto per rivelarsi impossibile. La donna non vorrebbe infatti il soldato solo come amante, ma anche come aiuto per la coltivazione: significativamente gli dice che l’unica cosa su cui possono contare per la sopravvivenza futura sono i frutti della terra da coltivare assieme. La terra, invece, offrirà al maschio i suoi frutti di morte, i funghi avvelenati, e vi accoglierà le spoglie, e il nucleo matriarcale si richiuderà su se stesso dopo che anche la più giovane delle ragazze avrà perso ogni illusione nei confronti del genere maschile. Il contraltare simbolico del protagonista, il corvo legato in attesa che l’ala guarisca (come McBurney chiuso in camera ad aspettare di poter di nuovo camminare) pende senza vita dalla sua cordicella, morto come la tartaruga in scatola, l’unico altro essere di sesso maschile significativamente ospite della tenuta.

L’addomesticamento del maschio non riesce, il soldato non è evidentemente come la tartaruga. Dopo il taglio della gamba (5), finalmente McBurney impugna la pistola, ultimo ma inutile tentativo di imporre la sua supremazia virile sulle donne che lo circondano. Altrettanto inutile è il tentativo di rivalersi sulla serva di colore: oltre ad aver perso un privilegio di genere, McBurney non può esercitarne nemmeno uno razziale. Del resto, lui è in quel mondo alieno per parificare i neri ai bianchi, come cerca di spiegare all’inizio del film alla ragazza che lo sta lavando, nel secondo atto (il primo è ovviamente il bacio ad Amy) di quella pianificazione illusoria di controllo che lo porterà alla morte. Il Sud nobile di Ford è un pallido ricordo, la sua fierezza e la sua cultura sono scomparse, o perlopiù servono alle macchinazioni di personaggi in preda all’isteria, agli impulsi sessuali e alle frustrazioni (si pensi al libro che la signora Farnsworth legge per imparare ad amputare la gamba). Il nuovo ordine matricentrico naufraga quindi proprio per la debolezza dei suoi stessi componenti e per la profondità delle loro frustrazioni, come per i contraltari maschili di tutti gli altri film del regista.

Il cinema di Siegel, maturando dirigendo b-movies, non ha debiti nei confronti dei Maestri (con l’eccezione parziale di The Shootist), è innovativo e profanatore, bastevole a se stesso. Un cinema eccessivo, traballante come la macchina a mano spesso utilizzata, spiazzante come l’uso del colore, all’apparenza rozzo ma di finissima costruzione. Pur nella sua indipendenza, Siegel è però comunque immerso all’interno di un cinema, quello americano, capace di rigenerarsi anche attraverso apparenti fratture. Così, a ben vedere, la terra in cui verrà calato McBurney è la stessa dalla quale Rossella O’Hara aveva estratto il tubero in Via col vento: sterilità inversamente proporzionale alla ricchezza cinematografica che genera.

Note

(1) A proposito di pistole non si può non citare l’arma inizialmente perduta e poi ritrovata arrugginita e inutile di Count the Hours, misconosciuto film del 1953, anch’esso incentrato su più figure femminili, ma anche il revolver prima utilizzato e poi gettato via da Howard al termine di The Shootist.
 
(2) Invasion of the Body Snatchers declina questa ossessione siegeliana anche attraverso la questione dell’automatismo eterodiretto, come del resto Telefon, altro film seminale in tal senso.
 
(3) In The Beguiled è in scena una vera e propria struttura sociale ginecocratica matriarcale, mentre nel matricentrismo di stampo fordiano la donna non domina sull’uomo ma esercita un’ampia influenza, sociale e psichica. Cfr. Erich Fromm, Amore, sessualità e matriarcato, tr. it. Milano, Mondatori, 1994, p. 113
 
(4) J. A. Place, I film di John Ford, cit., p. 179.
 
(5) Il parallelo amputazione/castrazione è evidente ed esplicitato dallo stesso personaggio.

LA NOTTE BRAVA DEL SOLDATO JONATHAN (The Beguiled), regia di Don Siegel, Usa 1971, 100′ (Warner)