Low Life sarà un film sulla gioventù, sulle speranze, e sulla perdita delle speranze, di un gruppo di giovani che si affacciano alla vita adulta. L’ultimo e più terribile ritratto di questa “colossal youth” venne realizzato da Bresson con Il diavolo, probabilmente (1977). Dopo ci sono rimaste solo immagini molto intense dei suoi resti, come in Les amants reguliers (2005) di Garrel… Il diavolo, probabilmente è l’oscuro testamento che Bresson ci ha lasciato in eredità: sono immagini da conservare, non perché vengano archiviate in una cineteca onnicomprensiva, ma per far sì che i corpi intorpiditi dei suoi giovani si riconnettano con il presente che avevano abbandonato.

Verso l’inizio di quel film, Charles, il protagonista bressoniano, assisteva a un meeting politico nel quale si proclamava a voce alta la “distruzione” di tutto. Charles domandava “distruggere cosa? Perché?” e le voci dei militanti lo zittivano. In mezzo alle urla, Charles sussurrava debolmente “la nostra unica forza…”, “la nostra unica forza…” e la gente lo costringeva al silenzio. Ed egli si zittiva. Più avanti poneva fine alla sua vita suicidandosi codardamente, assistito da un collega eroinomane che, in cambio di denaro, accettava di sparargli due colpi nel cimitero di Père Lachaise. Quella era la visione della gioventù che Bresson ci ha lasciato come testamento. Una gioventù senza prospettive davanti a sé, incapace di mettere in opera parole che potessero accendere una rivolta; incapace di mettere in opera parole che permettessero di consumare la vita. Low Life è nato da queste rovine: e anche uno dei suoi protagonisti si chiamerà Charles…

Questo nuovo Charles perde l’amore della sua vita all’inizio del film: Carmen, la sua fidanzata, si è innamorata di Hussain, uno studente afgano che entra nella piccola comunità di universitari formata da Charles, Carmen e dai loro amici. Un gruppo di studenti politicizzati intenti a impedire gli sgomberi polizieschi di un gruppo di africani che occupano una casa nella città di Lione. Tra le rivolte, Charles, perde l’amore della sua vita, ma conserva il suo amore per lei. Sono gesti di resistenza fatti controvoglia.
Carmen e Hussain vivono un amour fou, minacciato dalla perdita del visto di Hussain, e dal timore di Carmen che l’amato finisca per essere catturato in una retata della polizia… Lo stato francese entra tra le loro lenzuola e nei loro corpi. I giovani si nascondono, cominciano a vivere una vita clandestina, a creare forme di vita che entrano in conflitto con lo Stato e che proteggono i loro gesti più intimi di resistenza. Ma come si può filmare la rivolta senza cadere nei suoi luoghi comuni, e senza assassinarla cinicamente come avveniva nei meeting del terribile diavolo bressoniano? Come renderla presente senza rappresentarla? Come si può realizzare un’esperienza di rivolta tra la gioventù di oggi, nella Francia di Sarkozy?

Hussain, che cerca di rinnovare il suo permesso, per poter continuare a studiare in Francia, riceve una notifica definitiva: la sua richiesta è stata respinta e, invece del visto, si vede recapitare una OQTF (“obligation de quitter le territoire français” – obbligo di lasciare il territorio francese). È un documento maledetto che gli brucia le mani. Hussain non sa cosa farne. Non sa come liberarsi della condanna che pende sulla sua testa. Una sera, nel dehors di un caffè vede la borsa aperta di una signora borghese. Hussain è incerto. Guarda la borsa, non sappiamo se intenda rubarla: la signora saluta suo marito, si distrae un attimo e Hussain, con circospezione, fa scivolare la OQTF nella borsa. Il documento maledetto è passato di mano, ha cominciato la sua circolazione. La donna paga e se ne va. Pochi istanti dopo muore, investita. Il reale produce effetti da cinema fantastico, e viceversa. Questo meccanismo fantastico inizia a spandersi come una scia di polvere magica che attraversa Low Life: diversi poliziotti cominciano a morire in modo misterioso… Nessuno riesce a capire cosa stia succedendo. Tutti questi morti hanno nelle loro tasche i documenti officiali di espulsione dal territorio francese. Le OQTF arrivano da Sarkozy. Il meccanismo fantastico che permette a Hussain di invertire questo funesto destino, arriva da La notte del demonio di Jacques Tourneur (nel quale il satanista Dr. Karswell faceva cadere una pergamena con iscrizioni criptiche nelle borse di alcune vittime, dopo averle distratte, decretando in tal modo la loro condanna a morte). I Klotz si appropriano di questo meccanismo fantastico e ne modificano l’uso. Lo profanano. Profanare significa rendere disponibile uno spazio che in precedenza non lo era. Profanare significa dotare di una nuova funzione qualcosa che non prevedeva altra riappropriazione: le OQTF di Sarkozy vengono ritorte contro chi le legittima con il proprio voto. Non è un inganno. È un piccolo attentato contro questo immaginario. Il fantastico in mano a chi nelle proprie mani non ha altro che un OQTF.

In Francia c’è una sorta di frase fatta, un luogo comune in apparenza banale che rivela molto di più di quello che vorrebbe: «il documentario è una cosa da poveri, la finzione una cosa da ricchi». È un  luogo comune. E, come davanti ad ogni luogo comune, più che interrogarsi sulla sua banalità, ci si dovrebbe porre delle domande sulla sua capacità di perpetuarsi: tornano alla memoria un’infinità di film che trattano il proletario o l’escluso nella loro condizione di outsider. A livello di immaginario, questo fa sì che un nero distrutto dal suo lavoro, quando termina il lavoro e va al cinema (se ci va, al cinema), continui ancora a lavorare anche sullo schermo. Tutto ciò suona ingiusto: archetipi che fanno gli straordinari, anche nell’immaginario. Plusvalore sugli archetipi. Low Life attacca direttamente questo fianco: fornire agli emarginati le armi del genere fantastico, per provocare un reincantamento dei meccanismi di potere e di espulsione, a partire dagli archetipi cinematografici.
Credo che Klotz e Perceval prendano il toro per le corna del suo immaginario. Come Godard che, con una storia del cinema, perturba, nella sala cinematografica, un immaginario della Storia. Non con una buffoneria tarantinesca fatta a giochi finiti. Il cinema non cambia la storia: quello che può fare è disturbare un immaginario troppo presente.
Low Life si struttura in quattro capitoli. Abbiamo chiesto a Nicolas e ad Elisabeth che ci raccontassero le loro sensazioni più intime su ognuno dei capitoli che costituiscono la loro nuova opera. I capitoli si chiamano: (1) La comunità o qualche cosa del genere, (2) Gli amanti, (3) Il diavolo è morto dalle risate, e (4) Low Life. Lo hanno fatto cambiando i loro ruoli abituali: in questa occasione Nicolás scrive, ed Elisabeth ha montato una sorta di atlante con le immagini essenziali del film [visibile sul sito www.lowlifefilm.com, ndt]. Entrambi stanno terminando il montaggio di Low Life proprio in questi giorni. Le loro parole, come la pellicola, non hanno il distacco delle conferenze stampa dei festival: sono immagini e sensazioni appena sfornate. Sono appunti del loro immaginario, prima che sinossi descrittive.

Santiago Fillol
(Traduzione dallo spagnolo di Rinaldo Vignati)

1) LA COMUNITÀ O QUALCOSA DI SIMILE

Quando Elisabeth inizia a scrivere un film, non me ne rendo subito conto. Per qualche mese, non cambia nulla nella sua maniera di vivere. E poi all’improvviso mi accorgo che qualcosa è cambiato. Lei muta, il suo sguardo, le sue parole, il suo ritmo si trasformano. È abitata. Non dal film, da una storia, dai trucchi della sceneggiatura, ma da una sorta di comunità bizzarra con la quale discute di molti argomenti, esce la notte e va persino a dormire. Questa comunità esiste parallelamente nel reale grazie a persone che ha incontrato, e nell’immaginario che poco a poco occupa il film. Presto arriva un popolo invisibile che abita il suo corpo, che entra e esce da lei, che naviga attorno al suo volto, la sveglia di notte per parlare con lei, attraverso lei. Adesso lo so, Elisabeth è una medium. Una medium molto lucida e concreta. Quindi mentre scrive, fotografo i fantasmi che le rendono visita con tutti i tipi di macchine fotografiche (camera 5×4, Polaroid, Holga, Rolleiflex, Olympus digitale, …) fino a quando iniziano le riprese, quando altri fantasmi vengono ad aiutarci per la luce, il suono, l’organizzazione, il denaro.

2) GLI AMANTI

Ciò che mi interessa maggiormente oggi al cinema sono gli attori. O meglio, coloro che sono davanti alla macchina. I loro corpi, i loro gesti, le loro parole, i loro silenzi. Il fantastico inizia là. Ciò che accade tra loro e la macchina.
Low Life è un film sullo stato amoroso. Lo Stato Amoroso che rivaleggia con lo Stato di Polizia. Ma filmato dall’interno, dalla regione del mondo che Hussain e Carmen chiamano “low life”: “Dopo l’amore, noi scivoliamo con piacere nella pelle del dormiente… E dal momento in cui apro gli occhi, il mondo mi appare senza gioia, talmente vecchio! Usato fino alla nausea… Molto velocemente ricado in questo mondo sensibile, felice, dove tutti gli uomini dormono nell’uguaglianza dello stesso sonno… Dove un dormiente vale un qualsiasi dormiente, e questo luogo del mondo lo chiamiamo Low Life”.
Low Life è un film sulla rivolta che sta per accadere, un movimento così potente come quello dei corpi che si scuotono nel sonno o nella morte; ma anche che si risvegliano dal sonno o dalla morte per tornare alla vita.

3) IL DIAVOLO MUORE DALLE RISATE

Alla base c’è Il diavolo, probabilmente di Bresson. C’è anche un po’ Les Amants réguliers di Garrel. Ma il diavolo di Bresson è più forte dell’oppio di Garrel, più forte del 68. La giovinezza viene da lontano, è una forza antica che si esprime interamente nel presente. Ogni giovinezza fiorisce sulle rovine delle giovinezze che l’hanno preceduta. Movimenti senza fine, dalla Grecia Antica fino alla Tunisia di oggi, sulla quale passano tutte le rivoluzioni, che siano amorose o politiche. Una delle principali disfatte del potere, di qualsiasi forma di potere che voglia mantenere la sua dominazione per non sparire, è smorzare l’antica forza della giovinezza. Un’energia che non desidera altro se non destituire questo potere. Il potere organizza un enorme lavoro di propaganda, aborto forzato dei desideri, della credenza nel futuro.
Un sortilegio lanciato contro la giovinezza del mondo intero, perché dei cadaveri di uomini troppo vecchi per sopportare ancora la visione della bellezza della giovinezza, possa continuare a succhiare la forza vitale del mondo. La guerra che viene sarà quella di tutte le gioventù della Storia contro i cadaveri della Storia che si mantiene artificialmente in vita grazie al capitalismo contemporaneo. E non bisogna avere paura del diavolo quando muore dalle risate.

4) LOW LIFE

Film Socialisme ha marcato la fine della “morte del cinema”. Sono uscito dal cinema riempito da una fiducia incredibile. La fine della morte del cinema è intimamente legata, nel mio lavoro, al passaggio obbligato in pellicola. Sono dieci anni che esploro con Elisabeth le possibilità del digitale, con una piccola videocamera e una serie di “film di preparazione” fatti in casa. In una prima fase del lavoro è cambiato il rapporto con la parola. E lo stesso succede ora con il colore.
Abbiamo girato Low Life con una Canon 1D. Una specie di prototipo-innesto abbastanza pesante costruito da un amico, che assomiglia più al banco di un DJ che a una macchina da cinema, o altrimenti a una versione mutante di una vecchia Mitchell.
È la prima volta che ho provato così tanto piacere a lavorare con il colore, una nuova forma di colore, con meno luci, senza risentimenti nello scegliere di non cercare “l’effetto 35mm” e le sue affettazioni. È ancora un mistero per me. Come se il colore fosse nell’aria. Il colore può generare delle emozioni così tangibili come quelle dei personaggi? Se nella pittura, in fin dei conti, tutto anima il colore, i colori – cieli, personaggi, sguardi – non può essere lo stesso per il cinema? Definire i personaggi come fantasmi del colore, un insieme di colori che si spiega sullo schermo. Colori che hanno una durata, un movimento, un suono. Se ne La blessure e ne La question humaine c’è un approccio singolare alla parola, Low Life è attraversato da una parte all’altra dal colore. La parola deve debordare, sovvertire, la psicologia dei personaggi, il colore deve sovvertire il reale, e di conseguenza il suo effetto prodotto rispetto quello della pellicola in 35mm. Sono molto materialista riguardo il nostro lavoro. Non amo per niente trafficare sui colori, le menzogne di questo tipo… ma lì c’è un’altra cosa che non so ancora definire. Né con il 35 mm, né con il digitale… forse qualcosa di più vicino al semplice gesto di un pittore quotidiano e ordinario quando inizia a preparare la sua tela.

(Traduzione dal francese di Daniela Persico)