Mi piacerebbe che un giorno fossimo ricordati come i cantori dell’Oreto,
cioè di quella che oggi è poco meno di una discarica infestata dai topi,
ma che al tempo degli arabi fu un piccolo paradiso, una sorta di valle dell’Eden.
Bacchelli è stato il poeta del Po, Ciprì e Maresco, nel loro piccolo, i poeti dell’Oreto.
Ciascuno ha i fiumi che si merita…

(Franco Maresco)

A circa venticinque anni dalle prime “ciniche” riprese del duo palermitano, la Cineteca di Bologna ha editato, nella scorsa primavera, un primo dvd contenente circa quattro ore di episodi di Cinico Tv, dal 1989 al 1992. Proprio dal contenuto extra del suddetto dvd e più precisamente dal malinconico cortometraggio A Tirone dedicato dal poeta siciliano Franco Scaldati a Francesco Tirone, vorrei partire. Tirone è “il ciclista”, realmente appassionato di ciclismo, immancabile personaggio, amico e collaboratore (gli interni sono spesso girati nella sua casa a Borgo Vecchio). È forse il fulcro di tutto il mondo di Cinico Tv. Maresco, suo grande amico, ricordando le uscite in bicicletta con Tirone negli anni Settanta racconta: “Come faccio a descriverti a parole quello che succedeva in quegli allenamenti? Posso solo dirti che non ho mai visto niente di più comico, folle e poetico in vita mia. Sentivo che quel mondo stava per finire e avrei dovuto raccontarlo” (1). Nel suo intervento Scaldati sottolinea come la figura del ciclista sia fondamentale nell’equilibrio di Cinico Tv: nella filosofia del ciclismo non esiste il vincitore o il vinto, ma esiste semplicemente la fuga, la corsa, “l’andare verso chissà dove: il ciclismo è utopia”, è la ricerca (forse inutile) di un orizzonte, dell’andar lontano da sé. E non è un caso che solamente una città come Palermo, città di mare che conosce e che desidera quell’orizzonte, sia il teatro di Cinico Tv, della ricerca (forse inutile) di altri nuovi mondi. Tirone quindi come metafora dell’utopia e utopia come chiave di lettura delle intenzioni dei due registi, come punto di partenza per il ritorno alla valle dell’Eden siciliana, ad un nuovo splendore dell’Oreto. Questo ritorno non può che (non) avvenire attraverso il mezzo televisivo. La grandezza immensa di un lavoro come Cinico Tv è sostanzialmente quella di aver realizzato della televisione (mezzo autoreferenziale per eccellenza), ma con un distacco tale da renderla completamente astratta, “oscena” e irricevibile per il pubblico dell’epoca (i primi frammenti andarono in onda, poi censurati, proprio sulle oramai affermate reti Fininvest), e allo stesso tempo attuale, almeno nel suo significato meno superficiale. Di aver fatto, insomma, della non-televisione. L’avverbio di negazione, vedremo in seguito, è fondamentale per comprendere lo spirito di Cinico Tv.

Mai come in questo periodo (tra la fine degli anni Ottanta e i primi anni Novanta) il pubblico televisivo italiano oltre che spettatore e consumatore diventa elettore. La tribuna politica e la televendita si sovrappongono, la televisione pubblica si confonde con quella privata in un turbinio politico e di lottizzazioni, trasformando tutto (dai casi di cronaca nera, allo sport, ai dibattiti politici) in un calderone di spettacolo furbo e ben digeribile dagli ignari spettatori-elettori, ormai incapaci di cogliere le sfumature, le differenze e il cinismo della televisione. Cinico Tv si colloca inoltre in un periodo cruciale di trasformazioni politiche e crisi economiche, periodo che coincide con la totale e totalizzante affermazione del potere berlusconiano. Si tratta di un momento cruciale anche per la Palermo emblema di un Sud indegnamente abbandonato dallo Stato e sfruttato dall’Anti-Stato, un Sud teatro della Mattanza, dei maxi processi e delle stragi di Capaci e via D’Amelio: “ricordo quel periodo come qualcosa di surreale e al tempo stesso terribile, mentre in via Brancaccio si proiettavano i film di Ford, di Griffith o del Nuovo Cinema Tedesco, il quotidiano L’Ora titolava le sue prime pagine con il solo numero dei morti ammazzati nelle strade del quartiere” (2), ricorda Maresco.

Alla luce di tutto ciò Ciprì e Maresco, col loro lavoro sulla televisione e sulla terra siciliana, non possono certo definirsi, come spesso hanno fatto, al di fuori di un’ideologia, se per ideologia intendiamo l’individuazione estetica (quindi politica) di un nemico e la scelta delle armi con cui combatterlo. Al di fuori di ogni ideologia si definisce anzi proprio lo spettatore (e quindi il consumatore e l’elettore) disinteressato, colui che non vede nell’immagine nessuna minaccia, nessuna possibile manipolazione, nessun secondo fine ma solo la superficialità  dello schermo.
In questo panorama si inserisce la pratica metalinguistica dei due registi. Pratica metalinguistica che non tradisce alcuna ingenuità nei riguardi del mezzo televisivo e che potrebbe definirsi più propriamente metacinematografica proprio per la riflessione sull’immagine che si fa pensiero, più che per la riflessione sull’immagine fine a se stessa, di consumo e quindi “cinica”, come quella televisiva. Come, infatti, ricordano i due registi: “noi abbiamo portato la nostra sensibilità di visionari, di cinefili in Tv, perché non portare anche lì la ricerca dell’immagine, il senso dell’inquadratura, la composizione?” (3). Cinico Tv si affranca dall’immagine prettamente televisiva, capovolgendola e azzerandone tutte le prerogative postmoderne. L’obiettivo – che sarà raggiunto in quel formidabile crogiolo di idee metatelevisive che è Blob in quel periodo, nelle puntate del 1992 –, è quello di raggiungere il perfetto equilibrio fra tutti gli ingredienti estetici, caratteristici fin dall’inizio: il bianco e nero e il piano sequenza, innanzitutto, ma anche i filtri a creare sempre un cielo opprimente e un inquadratura claustrofobica, i tempi lunghissimi, la staticità dei personaggi, la voce fuori campo di Franco Maresco e la reiterazione delle domande, l’esplosione della musica o il nostalgico accompagnamento, la ripetizione delle sequenze, ecc.

Quest’equilibro estetico eleva l’immagine di Ciprì e Maresco al di sopra della televisione, perché, come avverte Farassino, “tutto sembra ridursi ai due grandi generi classici, anzi alle due forme simboliche fondamentali che trascendono i generi in cui pure si identificano: il comico e il tragico” (4). Il comico e il tragico portano poi a trascendere anche i personaggi, non più solo accattoni o sottoproletari diseredati, nemmeno semplicemente guardoni, assassini, stupratori di donne (“possibilmente sopra i sessant’anni, perché oppongono meno resistenza”). La qualità dei personaggi nasce proprio dal fatto di appartenere all’intercessione tra comico e tragico, a quel mondo ossimorico e di esistenza negata creato esclusivamente dall’universo di Cinico Tv: dove gli atteggiamenti più orrendi (stupri, sesso con animali trovati per strada, volgarità e crudeltà) vengono confessati con estrema tranquillità, dove un omicidio o un suicidio si trasformano in uno spettacolo per tutti, dove la musica jazz compare all’improvviso a zittire  una risata triviale, dove il rumore degli spari, delle bombe e dei peti si confonde in una sinergia tremenda.

Come si accennava prima, l’utilizzo dell’avverbio di negazione è illuminante: le persone/personaggi diventano non-uomini, come già i luoghi sono diventati non-luoghi (una Palermo surreale, volutamente non riconoscibile). La negazione implica che da questo mondo siano bandite la donna, la sua immagine e il suo significato di vita, non perché il mondo di Cinico è un mondo maschilista, ma perché è un mondo “a parte”, chiuso, senza alcuna via d’uscita, senza vita, e la donna sta nella serenità oltre l’orizzonte. Nel mondo di Cinico regna la disperazione. Il frutto di questa negazione non può che essere la disperazione per una non-vita, per un non-vivere. Lo spunto comico e lo spunto tragico di questi personaggi, intrecciati col non-essere ciò che si sarebbe preteso di essere, non produce ridicolaggine o semplice rassegnazione ma la disperazione “individuale e non codificata” di pasoliniana memoria. La disperazione che nella postmodernità del consumismo e della reificazione “è l’unica reazione possibile all’ingiustizia e alla volgarità del mondo, ma solo se individuale e non codificata”.

Questa disperazione è uno dei motivi per cui vale la pena rivedere gli episodi di Cinico Tv a distanza di vent’anni dalla loro uscita, perché è stata la testimonianza di un mondo, di un’esistenza e di una morte lenta non ancora terminata, che si spera possa al più presto generare una nuova rinascita, una nuova Età dell’Oro siciliana, un nuovo splendore dell’Oreto.

NOTE

(1) “Conversazione con Franco Maresco”, da Cinico Tv (libro allegato al Dvd ), Cineteca di Bologna, 2011, p. 24
(2) Ivi, p. 22
(3) “Oltre l’immagine, conversazione con Ciprì e Maresco”, da Isole, Cinema Indipendente Italiano, Ed Pervisione, 1992
(4) Alberto Farassino, Insenso Cinico, Ila Palma, 1993, p. 41
(5) Pierpaolo Pasolini, La paura di essere mangiati, Il Tempo, 3 settembre 1968

CINICO TV (Volume primo, 1989-1992), regia di Daniele Ciprì e Franco Maresco, Italia 1989-1992, 235′ (Cineteca di Bologna)