Locarno si conferma palestra attenta a cogliere i talenti in nuce. Lo dimostrano un gruppo di opere dalle provenienze più diverse, caratterizzate da una varietà di forme che vanno dall’animazione al documentario, dalla fantascienza al thriller, a volte per mezzo di sorprendenti e inattese mescolanze.

L’ESTATE DI GIACOMO / Alessandro Comodin
L’opera prima del giovane regista friulano Alessandro Comodin, residente (non a caso) in Francia, ha il respiro fresco e leggero proprio di chi dà fiducia al mondo che intende raccontare, facendo emergere la bellezza dall’unicità del reale e non dalla maniera dell’inquadratura. Se tutto appare spontaneo, niente è stato facile in questo documentario che è anche una storia di formazione: Giacomo è un amico, più giovane, del regista e vive vicino al fiume Tagliamento, dove è solito andare a fare il bagno con gli amici durante l’estate. Si tratta di un ragazzo speciale, che porta nei suoi splendidi diciannove anni tutto il candore dell’infanzia e le improvvise tenebre dell’adolescenza. Il mondo (o almeno parte di esso) lo ha scoperto in ritardo, ma la comunicativa dirompente e il carattere unico lo rendono un personaggio ideale. Con Stefania, sorella sedicenne del regista, Giacomo passa le sue giornate parlando del rapporto con gli altri, dell’età che sta per finire e della sorprendente bellezza della natura. Quasi fosse un ricordo, il documentario, seguendo i ragazzi con rispettosa distanza, lascia spazio e anzi chiama in causa il tempo del nostro passato (con l’aiuto anche della fotografia in 16mm). E sono le sequenze più delicate, essenziali nella loro semplicità, a svelarci la consapevolezza di Giacomo, che non sa se essere più infastidito dalla compagna di giochi o dallo sguardo fisso della macchina da presa che gli sta rubando la sua ultima estate innocente per regalarla a tutti noi. (Daniela Persico)

É NA TERRA, NÃO É  NA LUA  / Gonçalo Tocha
Un’isola delle Azzorre, la più piccola. Un villaggio arroccato sulla costa. Meno di cinquecento abitanti. Un cratere vulcanico, una chiesa, un ufficio postale, una scuola, un piccola pista d’atterraggio, due bar. È l’isola di Corvo, ostica scogliera lunga sei chilometri e larga quattro in mezzo al mare. Nel 2007, il regista portoghese (32enne, fondatore del NuCiVo, Núcleo de Cinema e Vídeo da Universidade de Lisboa, e alla sua opera seconda dopo una manciata di corti)  sbarca sull’isola accompagnato da un tecnico del suono per riprendere tutto: ogni abitante, ogni animale, ogni pianta, ogni casa, ogni angolo e ogni anfratto del territorio. È possibile raccontare ogni cosa di un luogo? È possibile tracciarne una mappa che contenga tutte le persone che vi abitano e le storie che le riguardano? Gonçalo Tocha ci prova e – in buona parte – ci riesce: un po’ più di rigore nelle riprese e nel montaggio ne avrebbe fatto un’opera ancora più efficace, ma alla fine di tre ore che passano in un soffio si capisce che se ogni uomo è un’isola è vero anche che ogni isola è un mondo a sé e come tale lo rappresenta. Il film ha vinto ha vinto il gran premio del DocLisboa 2011. (Alessandro Stellino)

CRULIC / Anca Damian
La recente tipologia del documentario animato incuriosisce, non fosse altro perché nata nell’ossimoro tra generi audiovisivi che si dispongono geneticamente ai poli opposti dell’asse di rappresentazione. La marca autenticante del documentario è sempre più spesso dissacrata da mockumentary e camere a mano pedinanti, così la ricostruzione di fatti di cronaca o spaccati sociali attraverso la libertà quasi assoluta del segno grafico si sta imponendo come altrettanto autorevole e credibile. In Crulic, la romena Anca Damian inserisce in un contesto artistico e di solide intenzioni di denuncia la funzione, tanto diffusa e apprezzata nel web, dell’infografica: complessi percorsi concettuali e burocratici comunicati tramite l’appeal accattivante e diretto della figurazione. La vicenda è quella di Claudiu Crulic, immigrato romeno in Polonia, incarcerato dalle autorità polacche per un furto da pochi euro di cui si è sempre detto innocente e morto nel 2008 per le conseguenze di un lungo sciopero della fame. Il notevole impasto visivo della pellicola si compone di foto autentiche immerse in animazioni materiche e a pennello, reminiscenti del lavoro del nostro Gianluigi Toccafondo e ulteriormente elaborate dal rotoscopio digitale e da un garbata profondità 3D. La voce dall’aldilà del personaggio Crulic ci scorta nella complicata vicenda di cui è stato vittima e incredulo, amareggiato carnefice, complici la testardaggine delle autorità mediche e carcerarie polacche e il colpevole disinteresse di quelle romene. Ma se da un lato la suggestione dell’animazione conferisce immediato fascino alle immagini e sopperisce alla mancanza di documenti filmati, dall’altro rischia di risultare un elemento distraente rispetto al nucleo centrale del film. Non è un caso che la scintilla dell’empatia si inneschi con i materiali d’archivio mostrati nei titoli di coda. (Alfonso Mastrantonio)

WITHOUT / Mark Jackson
Ci sono film che sembrano raccontare una storia mentre in realtà ne stanno raccontando un’altra. A volte può risultare una semplice scappatoia a effetto, e perché il meccanismo funzioni deve essere gestito bene. Without racconta la storia di una diciannovenne che decide di assistere per qualche giorno un anziano in stato vegetativo in una casa isolata in mezzo ai boschi: l’atmosfera bucolica che circonda l’abitazione e la tranquillità che regna all’interno si caricheranno di presagi funesti e inquietanti sospetti. Ma, in realtà, Without racconta la storia di una dolorosa perdita, di un lutto rimosso e impossibile da cancellare, e di come la sofferenza interiore possa trasfigurare la percezione del reale. Opera prima di Mark Jackson, il film si dipana in un’atmosfera sospesa e venata di disagio, disseminata dei segnali sempre più evidenti di un’angoscia esistenziale difficile da superare.
Nel contrasto stridente tra il corpo della giovane Joslyn e quello dell’anziano paralizzato, si manifesta uno spossessamento del sé declinato in due opposte maniere: quello fisico del vecchio, catatonico ma dallo sguardo evidentemente lucido, e quello mentale della ragazza, dedita a yoga e tapis roulant, ma emotivamente in panne. C’è qualcosa che manca, a cominciare dal titolo (“senza” cosa?), e tale mancanza germoglia in una bolla di vuoto come il seme del dubbio, e l’incertezza assume progressivamente i contorni dell’incubo. (Alessandro Stellino)

THE LONELIEST PLANET / Julia Loktev
Due fidanzati scelgono i monti del Caucaso per trascorrere le vacanze dell’ultima estate prima del matrimonio: sono entrambi atletici e scattanti e con una guida si incamminano in uno scenario naturale da cartolina. Ma attraversare un paese a piedi e dormendo in tenda (al posto che stare in un comodo villaggio turistico) basta a conoscerlo? Il film indaga con estremo acume lo stato di chi pensa di cogliere la profondità dell’altro, del diverso (socialmente e culturalmente), girando il mondo con lo zaino in spalla e la Lonely Planet sotto braccio. Sorretto da una costante e sottile tensione (che ricorda i primi film di Roman Polanski), il film si sviluppa su precise scelte di regia che nel finale svelano tutta l’ambiguità della società occidentale, ancora intenta ad ascoltare soltanto i bisogni creati dal proprio edonismo e incapace di reale comprensione. Ma ci vuole un occhio attento per rendersi conto delle sottili differenze formali tra la prima e la seconda parte del film, dopo l’incidente che incrina il buonumore della coppia e le loro più radicate consapevolezze. (Daniela Persico)

ANOTHER EARTH / Mike Cahill
L’opera prima di Mike Cahill, è un film che mescola ingredienti fra loro eterogenei: l’inizio, con la sua fotografia sgranata e cangiante, il montaggio irregolare e saltellante, sembrano quasi da cinema sperimentale, ma il regista, si premura poi di inserire tali elementi in una struttura di significati lampanti. Ecco allora che questi sprazzi di cinema “atonale” si incardinano su una narrazione drammatica in cui l’osservazione ravvicinata dei gesti e degli oggetti quotidiani, alla ricerca di significati nascosti, si associa alla sottolineatura un po’ calcata dei sentimenti e degli stati d’animo dei personaggi. Per quanto frammentario e divagante, è il dramma a prevalere nel film, benché racchiuso in una singolare cornice fantascientifica (l’avvistamento di una sorta di seconda Terra apparentemente identica alla nostra) che apre il film a riflessioni filosofiche sulla percezione della realtà e sull’identità (specchi e immagini riflesse sono una costante). Another Earth è apprezzabile per la capacità, non priva di “furbizia”, di sfornare (con un budget risicato e in assoluta indipendenza: oltre che regista e sceneggiatore, Cahill fa anche da direttore della fotografia e da montatore) un prodotto in grado di rivolgersi efficacemente a un pubblico diversificato. (Rinaldo Vignati)

EL ARBOL DE LAS FRESAS / Simone Rapisarda Casanova
Un sorridente gruppo di famiglia in un interno. Regna l’allegria, anche se la storia che le quattro persone hanno da raccontare è tutt’altro che gioiosa: sono tra i superstiti del terribile uragano che ha spazzato via il piccolo villaggio di pescatori di San Miguel, a Cuba. A riportarci con lo sguardo ai fatti successi un anno prima sono le immagini girate da Simone Rapisarda Casanova, giovane regista di origine italiana trasferitosi in pianta stabile in Canada: una serie di piani fissi, con inquadrature riprese spesso al livello del suolo, in cui si alternano faccende quotidiane, giochi di bambini e piccole epifanie. Sulla vita tranquilla del villaggio incombe il funesto presagio di un cielo sempre più scuro e di un vento sempre più insistente. Il tornado non verrà mostrato: rimane il silenzio di una terra arida e spopolata, insieme alla forza di immagini nette ed evocative, il guizzo poetico di un branco di pesci catturati nella rete sotto il pelo dell’acqua. Un’opera prima più che promettente, capace di rendere i significati con il minimo sforzo possibile e di leggeri tocchi di grazia che impreziosiscono uno sguardo attento e sensibile. (Alessandro Stellino)