Nell’epoca del Presidente nero, votato in Stati impensabili dell’Unione, suona quasi anacronistico soffermarsi su anni apparentemente così lontani, quelli della lotta per l’uguaglianza razziale e per i diritti degli afroamericani. Ma quello di Goran Hugo Olsson non è un esercizio didattico per chi non sa o non ha visto o non immagina quanto accaduto, è soprattutto un tentativo di rivivere quei momenti conservandone intatto lo spirito.

Battagliero, sregolato, ritmato, tanto da violare due o tre dogmi fondamentali, The Black Power Mixtape è un documentario volutamente sconclusionato nel suo andamento disarmonico. Un mixtape appunto, come se Grandmaster Flash si rigirasse tra le mani dischi di James Brown e Delfonics per estrarne qualcosa di sorprendente, o come Jay-Z e Kanye che rimescolano frammenti di Otis. Ingente lo spazio dedicato a Stokey Carmichael, quasi trascurabile quello riservato a Malcolm X o (prevedibilmente) a King. Perché l’intenzione di Olsson non è in alcun modo quella di raccontare in modo esaustivo la Storia nelle corrette proporzioni, semmai di ricomporre, nel più libero degli stream of consciousness, tante storie con la esse minuscola, osservate dal privilegiato punto di vista di un Tv spregiudicata e lontana il giusto dall’arena in cui si combatteva la sanguinosa tenzone.

Può suonare strano che su un compendio (s)ragionato dei fermenti della nazione nera afro-americana tra i ‘60 e i ’70 sventoli bandiera svedese, ma, come si evince dal documentario di Olsson, la Tv svedese è stata la più attiva a denunciare le storture dell’imperialismo americano di Nixon e Hoover, tanto da guadagnarsi le reprimende di quel duo che Eastwood ha recentemente cosi bene immortalato. In linea con le parole del leader svedese di allora Olof Palme, che paragonò i bombardamenti americani di Hanoi ai massacri nazisti, causando una rottura dei rapporti diplomatici tra le due nazioni. Testimonianze, dichiarazioni, istantanee di anni intensissimi sotto forma di cut-up, disordinato collage di eventi e persone senza una struttura rigida né una spiegazione approfondita della situazione politica. Si procede per impressioni, privilegiando il punto di vista di narratori di cui viene solo udita la voce, scelti tra i maggiori interpreti della musica nera di oggi – Erykah Badu, Questlove, Talib Kweli – e di ieri – Harry Belafonte, Abiodun Oyewole dei Last Poets. Parole di sofferenza e di indomito orgoglio, che trasmettono il rispetto per eroi che con il loro sacrificio hanno contribuito a risvegliare le coscienze del popolo afro-americano e ad avvicinarlo all’uguaglianza di diritti de facto.

Tra le schegge di storia che si susseguono spiccano l’intervista toccante di Stokey Carmichael alla madre, in cui il carisma dell’oratore si fa umile per condividere ciò che non va e che occorre sistemare, e Angela Davis in carcere, lucidissima e per nulla piegata dalla condizione di reclusione in cui è costretta. Situazioni insolite, tanto per l’oratore infuocato, ritratto in una inedita dimensione familiare che finisce per essere ancora più efficace nella sua denuncia, che per la guerrigliera tutta d’un pezzo, dietro le sbarre e gravata da accuse terribili (omicidio, rapimento e cospirazione criminale) senza che l’ombra della paura attraversi mai il suo viso. Più che un documento storiografico, The Black Power Mixtape 1967-1975 è il giornale di bordo di una traversata memorabile: un tragitto irto di iceberg per giungere al porto sicuro della consapevolezza (nera).

The Black Power Mixtape 1967-1975, regia di Göran H. Olsson, Svezia 2011, 100′