Xavier Dolan non è simpatico ai frequentatori di festival e ai cinefili. Imputato del peccato sommo di narcisismo, i fustigatori della jouissance al cinema non hanno notato che nei suoi due primi film, al netto di tutto, emergeva un’energia filmica rara, un vero e proprio entusiasmo nei confronti dell’atto stesso del filmare che avrebbe dovuto, se non altro, indurre a giudizi più cauti nei suoi confronti.

Giunto al suo terzo film, una delle cose più entusiasmanti viste nella controversa 65esima edizione del festival di Cannes, Dolan non solo conferma quanto di buono aveva messo in luce sinora, ma rilancia con una generosità folle tale da fugare anche i residui dubbi di coloro che avevano già apprezzato i suoi precedenti film. Laurence Anyways, melodramma intimo e monumentale al tempo stesso, film visceralmente nutrito dall’immaginario cinefilo e totalizzante del suo autore, è un’opera che pone una domanda seria: come si filma la gioia, il giubilo al cinema? Perché vedendo Laurence Anyways si percepisce, senza ombra alcuna di dubbio, la natura giubilatoria di un film completamente innamorato dei propri personaggi e dell’idea stessa del fare cinema. Melvil Poupaud vuole uscire dalla sua pelle e diventare una donna proprio come Xavier Dolan vuole uscire, alla lettera da sé, per diventare puro gesto del fare cinema. L’ultima volta che una tale follia ha assunto forme così contagiose e lussuriose è stato probabilmente con i primissimi di Leos Carax: nodo cruciale in cui la cinefilia diventa rito funebre e palingenesi desiderante del cinema, cinema come esorcismo che ricrea il mondo a immagine e somiglianza del cinema stesso.

Xavier Dolan nutre la medesima ambizione. Creare un cinema che sia tutto il mondo, anzi che possa aiutare il mondo a ripensare e a reinventarsi. Nel formato del 1:37.1, quello quadrato dei film in bianco e nero per intendersi, Dolan muove la macchina da presa braccando e avvolgendo i corpi. Come in una danza di seduzione, mette a loro disposizione un mondo inteso come tutto l’amore possibile che lo sguardo può donare a corpi intenti a mettere in scena “menzogne”.
Dolan è fermamente convinto che il cinema possa cambiare la vita. Noi meno, ma la sua fiducia in questa utopia palingenetica diventa sguardo e pratica di cinema ed è sullo schermo che trova la sua incontrovertibile (e non come dichiarazione aprioristica) verità. La vertigine che si prova davanti alle immagini di Laurence Anyways è un piacere che diventa segno; una percezione quasi tattile. In ogni articolazione si avverte la presenza adorante del regista che in questo caso si è occupato anche di costumi e musiche, come un direttore d’orchestra pronto a saggiare anche la minima variazione di timbro. Lo sguardo inebriato del regista non abbandona mai i suoi personaggi: un amore solidale lo vincola a loro. Essendo stati posti in esistenza dal suo desiderio, l’atto del filmare si manifesta come un cordone ombelicale che non si recide.

Come immerso in una trance, Dolan danza insieme al suo film. E la felicità può assumere le movenze di abiti colorati che cadono da un cielo blu per giubilare gli amanti finalmente uniti nell’angolo di mondo che hanno sempre sognato. Ma la vertigine ultima di Laurence Anyways è che Dolan continua a fare cinema come esistesse ancora una comunità del cinema. Pensateci: se a farlo è il Ruiz sublime de La notte di fronte e il Bertolucci del sottoscala di Io e te, la cosa ce la spieghiamo. Il cinema lo hanno fatto loro. Loro sono il cinema. E loro possono eventualmente permettersi di dirci che la comunità del cinema non c’è più. Ma da un Dolan, se non altro per mere ragioni anagrafiche (è nato nel 1989 ndr), non ci si aspetta che si rivolga con tale furore dionisiaco a una comunità del cinema, e di una certa idea di cinema, che non ha conosciuto e alla quale parla con la passione di uno che l’abbia amata e conosciuta. Ed è esattamente questo senso di appartenenza, questo sentire di far parte di un mondo che non esiste più – se non come desiderio di appartenenza – a costituire la potenza filmica della gioia di Xavier Dolan.

Laurence Anyways è il film che dice del giubilo di essere ancora nelle cose del cinema come mondo.