Dal momento che esistono ancora delle immagini proibite, non abbiamo superato lo stadio della preistoria. L’accettazione dei tabù visivi comporta infatti l’accettazione di molti, comprensibili fraintendimenti da parte dell’uomo primitivo che appare effettivamente in difficoltà allorché viene trasportato nel ventesimo secolo: a cominciare dalla nozione che la rappresentazione è identica alla realtà, che particolari oggetti o azioni hanno dei poteri magici e che questi comportano la punizione di coloro che “trasgrediscono” toccandoli, assumendoli o rappresentandoli.
L’ordine di non guardare o toccare è vecchio quanto l’uomo. La sua determinazione è una prerogativa degli dei, dei re e dei preti: gli “abbienti” che desiderano proteggere la loro proprietà. Essi ne stabiliscono la validità per i poveri servendosi della legge, di agenti costrittori e stregoni, alimentando ataviche credenze animiste e l’ignoranza dell’uomo assalito da forze aliene e inesplicabili. La designazione di cibi, oggetti, idoli, azioni e persone proibite stabilisce un sistema di regole rigidamente costrittive di ordine e controllo sociale, e poiché si pensa che l’oggetto proibito sia “contagioso”, si pensa che la contaminazione sia inevitabile per chi lo viola. La paura del contagio è anche paura della tentazione. L’oggetto o l’azione proibita riuniscono in sé disgusto e attrazione, “il terrore e la meraviglia” e il loro “sacro terrore” (Freud) sarà più forte quanto più sarà desiderato l’oggetto.

La differenziazione dei due comportamenti non è mai perfetta, nemmeno nelle religioni più alte, c’è sempre un residuo d’ambiguità in quello che è terrificante perché diabolico e quello che è terrificante perché divino. La “cosa immonda” e la “cosa pura” possiedono entrambe potere sia per distruggere che per benedire. (1) La donna e il suo ciclo riproduttivo sono pieni di tabù. Il flusso mestruale e la gravidanza sono viste come cose immonde in molte tribù e sistemi religiosi. Ancora più forti sono i tabù del sesso, l’atto più fondamentale, più ardentemente desiderato e più pericoloso dell’esistenza umana.

Molti popoli primitivi mostrano un vero e proprio terrore delle conseguenze del rapporto sessuale sia per loro stessi che per gli altri. Un pericolo mistico investe gli organi della riproduzione: essi sono la sede di un potere occulto. Poiché la donna viene così spesso considerata temporaneamente e permanentemente impura, entrare in contatto con lei nell’intimità di un abbraccio sessuale vorrebbe dire naturalmente trarne “contagio”, a volte per l’uomo solo, a volte anche per la donna. Tale idea si sposa rapidamente con la nozione che l’impurità fisica risultante dall’emissione di fluidi da entrambe le parti al completamento del rapporto, diventi fonte d’impurità rituale (2).

Il concetto giudeo-cristiano del peccato originale è un’estensione qualitativa di queste tendenze primitive, l’“elaborazione” di un tabù per mezzo di una leggenda. Ma la nudità e l’esposizione degli organi sessuali non causa né vergogna né sorpresa nella società primitiva: è necessaria una speciale educazione, sottolinea René Guyon, per ottenere “quell’orrore apparentemente naturale e spontaneo che le genti occidentali manifestano quando vedono un corpo nudo” (3).

Il solo fatto che alcuni organi siano collegati a certe funzioni certamente non provoca né indignazione né disgusto […] né la fisiologia, né la psicologia, né la logica possono fornire al filosofo ragioni soddisfacenti per scomunicare pochi muscoli e organi sensori particolari […] è solo con le proibizioni di ordine sessuale che si comincia a dotare di una speciale scala di valori l’esibizione degli organi sessuali (4).

Quando il sistema dei tabù fu sostituito dalla religione organizzata (più tardi dalla magia) essi riapparirono sotto la guisa dell’etica e degli imperativi morali così attentamente infissi nell’inconscio collettivo da offrire loro la legittimazione di leggi naturali. Webster sottolinea correttamente che questi imperativi includono la inviolabilità del matrimonio, della proprietà privata, la legge e l’ordine, e lo stesso Stato.
Poiché tra i primitivi la distinzione tra “guardare” e “partecipare” non era così ben definita come lo è ora e le immagini erano meno importanti, il tabù del “guardare” ha assunto maggior rilevanza ai tempi nostri. E se il popolo primitivo, perfino oggi, evita di farsi fotografare credendo che parte dello spirito venga allontanato nel momento in cui la fotografia viene scattata (5), anche noi diventiamo “autocoscienti”, paghiamo un tributo inconscio alle qualità “magiche” del fotografo.
È il “fissaggio” di un momento concreto che ci aiuta a evocare questa fitta rete di ansietà, investendo l’immagine di un accadimento di un potere che l’accadimento stesso non possiede: la permanenza.

Il tabù visivo del film

Benché irrazionale, l’immagine tabù riflette le realtà subconscie che ancora hanno effetto sugli uomini. Ciò può essere evidente nelle intense reazioni fisiologiche ed emozionali di ogni pubblico cinematografico, soggetto solo a variazioni individuali di intensità o durata. Non ci riferiamo agli applausi o ai fischi quanto al fatto ancora più importante che gli spettatori, a un dato momento, cercano di sfuggire a quanto accade sullo schermo non solo voltandosi  (sarebbe sufficiente) ma nascondendo irrazionalmente i propri volti. Urleranno con terrore o approvazione, scoppieranno in lacrime, cadranno in un profondo silenzio, vomiteranno, sverranno o lasceranno la sala. Molti possono sobbalzare quando la macchina da presa si affaccia da alti edifici, o gridare impauriti quando uno scalatore perde la presa.  Per quanto rumorosi, ammutoliscono di colpo troppo calmi di fronte alle scene di sesso: più la rappresentazione è diretta, tanto più penetrante è il silenzio. “In un primo momento, gli assidui frequentatori di film sexy reagiscono (in diretta proporzione a quanto essi sono repressi) con disgusto, risata difensiva o noia arrogante ma poi, ben presto, si fanno silenziosi e si ritirano nel loro mondo di sogni privati, in compagnia di spettatori meno complicati. Stimoli talmente forti da risolversi in reazioni fisiche o risposte fisiologiche (come vomitare o svenire) non hanno luogo (salvo che per le lacrime) nel caso della lettura o dell’ascolto.

La sorgente di questo potere è la palpabile “attualità” dell’immagine, la concreta rivelazione di ciò che prima era nascosto, temuto o desiderato, la ridotta “distanza” tra lo spettatore e la realtà simulata. “Nel trattare avvenimenti o comportamenti, il cinema può spazzare via le le ordinarie barriere tecniche – parola, immagine – che stanno tra lo spettatore e la realtà fisica descritta dalla carta stampata” (6). Tuttavia, quando I Am Curios Yellow fu messo sotto giudizio per oscenità in molte città americane e in molti stati, la sceneggiatura completa era in vendita in tutto il Paese in edizione economica: i libri pornografici hard-core si trovano in tutti i drugstore americani, mentre le fotografie degli stessi atti no. Con il cinema, lo shock che è inevitabilmente legato alla rappresentazione di un soggetto o di un atto tabù raggiunge il suo punto più significativo. L’immagine è ampia e stabilisce un’immediata tensione con lo spettatore. Si muove su uno spazio luminoso contro uno sfondo totalmente nero. Vi può essere introdotta con terrore immediato o fascino distruttivo per mezzo di un commento, di zoomate, rapide panoramiche, effetti speciali, il tutto singolarmente o, ottenendo un effetto ancora più potente, per mezzo della loro combinazione.

Particolarmente traumatici sono i passaggi improvvisi e inaspettati da immagini innocue a immagini tabù. Assistiamo alla proiezione di film di ordinario “intrattenimento” senza rischi o paura, sicuri di partecipare a un’illusione: tutto può sembrare simile alla realtà ma non lo è. Quando invece ci confrontiamo con tabù come il sesso o la morte, avvertiamo immediatamente un elemento di rischio e un pericolo primordiale, come se l’immagine potesse toccarci, inghiottirci all’interno della sua stessa realtà. È in questi supremi momenti cinematografici che percepiamo la nostra affinità con l’uomo primitivo non ancora in grado di distinguere tra realtà e immagine: sia sottraendoci che ostentando una reverenziale complicità con l’immagine tabù, eleviamo a verità il riflesso di fasci luminosi sullo schermo.

Il film sembra essere il medium maggiormente capace di utilizzare la realtà per scopi d’arte o di rappresentazione, una caratteristica di importanza fondamentale. Negli altri campi artistici, anche i cosiddetti “eventi reali” devono essere ricostruiti; una biografia di una famosa personalità, anche se è un documentario nelle intenzioni, rimane una ri-creazione nelle mani di un artista o di uno scrittore. Ma la biografia filmata di questo stesso uomo può essere presa da ricordi filmati della sua vita, susseguentemente trasformati dal montaggio in verità o in menzogna. Similmente, il cinema ci permette di assistere all’orrore o all’eccitazione segreta di una morte reale o di un omicidio, alla tortura e alle esecuzioni, al dramma della nascita e, infine, al sesso.

In caso di una morte davanti alla cinepresa non veniamo mai a confronto con il classico problema filosofico posto dal “cinema vérité”, cioè se la presenza del regista cambia o no la realtà dell’evento; l’uomo che muore è o inconsapevole della presenza della macchina da presa o non si cura più di mantenere i suoi abitudinari modelli di difesa per una posterità di cui non farà più parte.
Il caso del sesso è ancora più complicato, perché malgrado le centinaia di recenti film hard-core non vediamo il sesso documentato completamente a meno che non vengano usati specchi speciali la cui esistenza è ignorata dagli stessi protagonisti. I film erotici odierni, per quanto espliciti e non simulati (completi di orgasmo ed eiaculazione) sono comunque “recitati”. È solo quando la passione sessuale diventa dominante e gli impulsi venali o esibizionisti degli attori recedono che il film diventa davvero la rappresentazione di un atto sessuale reale in cui i protagonisti dimenticano la cinepresa e il pubblico: questo “oblio” viene afferrato intuitivamente e in maniera dialettica dagli spettatori e conduce a un eccitazione più manifesta.

Viceversa, dove l’immagine tabù appare come parte di un evento recitato, il suo impatto sullo spettatore è molto più debole. Solo raramente, in film come I diabolici o Psycho, la ricreazione fittizia raggiunge l’intensità di un vero tabù. Alcune immagini tabù non appaiono sullo schermo perché sorpassate, altre perché così minacciose da essere state bandite dal subconscio. Situazioni “suggestive” viste in vecchi film hollywoodiani ci impressionano ancora oggi in quanto semplicemente “arcaiche”, e persino I Am Curious Blue (seguito di I Am Curious Yellow) non fu un successo perché il suo predecessore l’aveva reso immediatamente obsoleto. Il terrificante documentario sulle esplosioni della bomba H che hanno tante volte ammutolito il pubblico, invece, è scomparso dagli schermi, e ciò sta a indicare che la realtà cruciale della nostra epoca è stata spinta nell’inconscio collettivo.

Ma il tabù primitivo, anche se irrazionale, rimane in noi, e la sua persistenza nel presente è terribile da contemplare. Quando assistiamo a scene di morte, di rapporti sessuali o di nascita con un abbandono reverenziale, il nostro totale silenzio testimonia il senso di colpa del trasgressore/voyeur (colui che vede ciò che non si ha il diritto di vedere), unito al timore della punizione. Come è bello quando questa non arriva e si può continuare a guardare l’immagine o l’azione proibita! Soltanto quando queste immagini proibite diventeranno più comuni al cinema cominceremo ad accettarle per ciò che sono: momenti di vita, senza dubbio, ma solo parte di essa.

L’attacco al tabù visivo e la sua eliminazione per mezzo della sua stessa libera e aperta esibizione, è un atto profondamente sovversivo perché colpisce la moralità e la religione, quindi la legge e l’ordine stesso. Esso chiama in questione il concetto dei valori eterni e scopre brutalmente la loro storicità. Proclama la validità della sensualità e della lussuria come prerogative umane legittime. Rivela che quello che le autorità indicano come dannoso può essere benefico. Porta la nascita e la morte, il primo e l’ultimo dei nostri misteri, nell’ambito del discorso umano e facilita la loro accettazione. Incoraggia attitudini razionali che sono in conflitto con le superstizioni ataviche. Demistifica la vita, gli organi e le escrezioni. Non tollera l’uomo come peccatore, ma lo accetta così come accetta le sue azioni nella loro totalità.
Per coloro che aboliscono i tabù “niente di ciò che è umano è alieno”, poiché non si meravigliano della molteplicità del comportamento umano e della diversità di un’impresa limitata soltanto da strutture genetiche e dall’ambiente cosmico.

NOTE

(1) H. Webster, Taboo, Stanford University Press, Stanford 1942.
(2) Ibidem.
(3) R. Guyon, The Ethics of Sexual Acts, Alfred A. Knopf, New York 1934.
(4) Ibidem.
(5) R.W. Wagner, “Film, Reality and Religion”, in J.C. Cooper, C. Skrade, Celluloid and Symbols, Fortress Press, Philadelphia 1970.
(6) R.S. Randall, Censorship of the Movies, University of Wisconsin Press, Madison and London, 1970.

(traduzione di Cristina Trunfio, rivista e corretta da Alessandro Stellino)