Christopher Nolan ha ridato linfa ad una saga che, pur non avendo mai deluso al box-office, in termini puramente cinematografici proveniva dallo sfacelo operato da Joel Schumacher. Batman Forever (1995) e Batman & Robin (1997), tentativi maldestri e non riusciti di riproporre il personaggio reso celebre sul grande schermo da Burton, tra il 1989 e il 1992, in chiave kitsch, si sforzavano di recuperare – specie nella seconda pellicola – tonalità e caratteristiche della serie televisiva creata nel 1965 da William Dozer. 
Nolan ha azzerato la genealogia cinematografica del personaggio. Approfondendo la lettura e lo studio di alcuni tra i graphic novel che meglio hanno concorso alla cristallizzazione della psicologia dell'eroe – modificandone più di un passaggio narrativo – ha poi proseguito seguendo esclusivamente la sua idea di cinema. Dimenticando, quindi, l’universo grottesco e simbolico costruito egregiamente da Burton, ha spogliato Batman di qualsiasi rigurgito surreale per gettarlo nella realtà, secondo quel criterio di verosimiglianza che da sempre, anche nelle escursioni più immaginifiche, guidano il suo sguardo. Batman Begins (2005) e The Dark Knight (2008) seguono l’evoluzione dell’uomo prima, e del “supereroe” poi – sarebbe meglio chiamarlo vigilante –, dalla nascita alla definitiva consapevolezza, e dolorosa ma necessaria accettazione, della propria metà oscura (torna anche in questo caso uno dei topoi più abusati da Nolan). 
The Dark Knight Rises, capitolo finale della trilogia, ha l’onore e l’onere di tirare le somme. L’idea alla base della sceneggiatura – cofirmata insieme al fratello – pare volere spostare il fulcro della narrazione da Batman stesso a Gotham, città da lui salvata nel silenzio e nell’oblio e di cui, paradossalmente, si ritrova ad essere, vittima del suo stesso sacrificio, il simbolo più marcio e corrotto. Il finale di The Dark Knight che poneva in essere, per la sopravvivenza della città, un netto capovolgimento valoriale, in cui bene e male si scambiavano le maschere pur di lasciare intatta la speranza e la fiducia della comunità, trova dunque una prosecuzione in questa mutata prospettiva. E se Gotham, nei precedenti capitoli, è un non luogo in cui omnia venalia sunt, la sua rinascita è segnata, come fosse un peccato originale, dalla menzogna. Scelta interessante e coraggiosa, quella di Nolan, di “oscurare” Batman a favore del contesto, della realtà urbana e sociale in cui si muove. Piuttosto che crescere nella retorica e assecondare il climax del personaggio – anche se il finale a tal proposito non si risparmia – ampliando lo sguardo minimizza il pathos. Rispetto ai due precedenti film, infatti, The Dark Knight Rises si poggia meno sull’emozione, nonostante la solita colonna sonora firmata da Hans Zimmer, e più sul ragionamento. La prima parte procede forse con fin troppa lentezza, dilatando digressioni narrative che si sarebbero potute esaurire con maggiore rapidità. Quando il film, però, inizia a crescere emotivamente – ed è innegabile e inevitabile che ciò coincida con il “ritorno alle armi” di Batman – la bravura di Nolan, nel dosare l’esasperazione tipica del fumetto virando verso un’atmosfera più simile al thriller, sempre nel rispetto di quel criterio di verosimiglianza di cui sopra, viene fuori. 
Dei tre capitoli, The Dark Knight Rises è certamente il più enigmatico. Forse perché abituati fin troppo bene, resta difficile rintracciare quella perfezione di scrittura che sin da Memento (2000) – e ancora prima Following (1998) – fino ad arrivare a Inception (2010) – la cui costruzione narrativa è tanto complessa quanto stupefacente nella chiarezza dei passaggi cruciali – ha da sempre caratterizzato il cinema del regista londinese. Se non ci si vuole spingere sino a teorizzare veri e propri buchi di sceneggiatura, almeno delle crepe è forse corretto ravvisarle. In una narrazione così ampia – ci riferiamo in questo caso alla durata – appare ingiustificabile la mancanza di coesione e di consequenzialità di alcune svolte decisive. Intravediamo spesso le conseguenze senza scorgerne i presupposti. Lasciano ugualmente perplessi, considerando ancora una volta la puntigliosa cura dei particolari e l’attenzione all'immagine – basti pensare come Nolan sia uno dei pochi a rifiutare un uso puerile del 3D preferendo la larghezza e la profondità di sguardo dell'IMAX – quegli attimi in cui anche la regia sembra perdere in lucidità – su tutte la sequenza della resa dei conti – ed eleganza. 
Seguendo però l’assioma che vuole ancora più affascinante ciò che viene detto imperfetto, il capitolo conclusivo di questa straordinaria trilogia, che ha saputo coniugare esigenze da blockbuster con forti scelte autoriali, non si ricorda per le sue, pur limitate, cadute ma, ancora una volta, per la coerenza con cui Nolan ha scelto di raccontare l’uomo prima dell’eroe, riuscendo in modo del tutto personale a strappare una volta per tutte quella strana e bizzarra maschera da pipistrello.
 
The Dark Knight Rises, regia di Chistopher Nolan, Usa 2012, 164'.