Nel corso dell’ultimo anno il dibattito sul ruolo della critica e sulle nuove forme di consumo culturale si è fatto progressivamente più incalzante, tra saggi, dibattiti e convegni. Poco meno di un anno fa usciva un testo a cura di Roy Menarini intitolato Le nuove forme della cultura cinematografica (2012), inoltre lo scorso giugno il Cinema Ritrovato ha dedicato una serie di incontri dedicati alle nuove forme di cinefilia, organizzati dallo stesso Menarini e ancora sul tema si ritorna nel convegno Critica alla critica (31 gennaio – 1 febbraio), indetto dall'Università di Bologna. Grazie al digitale e a internet oggi tutti possono avere accesso a film e materiali che prima erano di difficile reperimento ed è quindi possibile migliorare la propria cultura cinematografica semplicemente cliccando su invio o comprando un DVD. Per quanto questa sia una banalità, gli effetti del cambiamento, che si ripercuotono sul ruolo del critico cinematografico come lo si intendeva fino a qualche decennio fa, non sono certamente da sottovalutare. Come osserva difatti Guglielmo Pescatore: se prima il ruolo del critico consisteva nel guidare nella scelta di un film attraverso le sue conoscenze su una data cinematografia o autore, ora questa funzione si viene a perdere, in quanto è facile reperire intere filmografie e  informazioni in altro modo. Di conseguenza il ruolo della critica è messo in crisi non solo dal proliferare di discorsi sul cinema e dalle recensioni online ma anche dalle recenti tipologie di consumo filmico. 

Il primo giorno sono emersi discorsi più generalisti – nel senso che non si è parlato direttamente di critica cinematografica ma più diffusamente della critica e del ruolo degli intellettuali e dell’università – in quanto sono intervenuti professori di letteratura, antropologia, sociologia e esperti di agronomia (Giuliana Benvenuti, Claudio Giunta, Fabio Dei, Marco Santoro e Antonio Pascale): centrale la riflessione sul postmoderno, sullo stile di scrittura e sui metodi di ragionamento, che come ha notato Marco Santoro hanno reso evidente quanto sia ancora fondamentale in qualunque argomentazione attorno alla cultura, ricordare la lezione di Bourdieu e della sua distinzione. Durante la seconda giornata sono state proposte delle case history: Alan O’Leary ha parlato di quanto i discorsi critici legati al cinepanettone puntino su una matrice distintiva, scindendo lo spettatore tipo di quei prodotti (stolto, stupido e maschilista) da gli altri (di cui ovviamente fa parte pure il recensore), similarmente Catherine O’Rawe ha affrontato il tema della Critica alla critica di Riccardo Scamarcio come esempio di bell’attore italiano discriminato proprio per il suo aspetto. Ilaria De Pascalis ha proposto una ricognizione dell'attuale condizione della critica femminista e del femminismo contemporaneo e Wu Ming Uno invece ha volto lo sguardo verso il suo stesso lavoro criticando chi critica la sua critica e rinvigorendo un discorso sulla ricezione critica di Gomorra e del caso Saviano, iniziata il giorno precedente. Giacomo Di Foggia ha proposto una perlustrazione dei modi in cui la cinefilia e la critica si esprimono tra gli adolescenti sulle pagine di Facebook e Violetta Bellocchio ha mostrato diverse tipologie di videorecensioni anglosassoni. 
 
In generale comunque gli altri discorsi prodotti durante la due giorni bolognese si sono incentrati su quello che, citando il titolo dell’intervento di Claudio Bisoni, può essere definito come superamento o rivisitazione del “paradigma dell’esperto”. Ad aprire per primo il dibattito su questo tema è stato Davide Turrini, il quale, dal suo ruolo di quotidianista ha ricordato come fin dagli anni Ottanta il ruolo del critico sui giornali è andato progressivamente a perdersi, non solo da un punto di vista dell’expertise che come dicevamo prima ora è potenzialmente più alla portata di tutti, ma anche come numero materiale di battute a loro disposizione per raccontare un film. Divenendo così meramente critica segnaletica, non di molto diversa da quella che si trova su Mymovies, e perdendo qualunque funzione critico-analitica. Tuttavia a suo avviso non possiamo ignorarne il ruolo e negarne l’autorità anche solo per questioni anagrafiche. D’altro canto gli interventi che gli sono seguiti (Claudio Bisoni, Roy Menarini e Andrea Minuz) hanno puntato su una prospettiva più integrazionista dei discorsi. Se da un lato Andrea Minuz è ripartito proprio da quegli Apocalittici e Integrati che hanno fatto la storia dei discorsi sulla cultura a partire dai “maledetti anni Ottanta” per arrivare al contemporaneo e osservare come la voglia di leggere la critica sia tutt’altro che morta, come mostrano i dati di navigazione di un sito, pur generalista, come Mymovies, dall’altro Roy Menarini racconta la sua esperienza personale con i vari mezzi e i motivi per cui ha deciso di formare un gruppo di ragazzi all’esercizio critico creando Mediacritica, pur non abbandonando le altre forme di recensione (da quella in radio a quella di approfondimento sulle riviste specializzate). Similarmente l’intervento di Claudio Bisoni affronta le radici storiche della critica, del ruolo e di come questo sia mutato, affermando in conclusione che forse è meglio perdere qualche ora di sonno e leggere tutto quello che di buono passa on e offline senza ignorare alcun tipo di discorso. Sempre attraverso una prospettiva di mutamento storico Massimo Locatelli e Mathias Frey hanno affrontato il ruolo della critica dal fascismo in poi da una prospettiva il primo italiana e il secondo europea. 
 
 
La crisi della critica contemporanea emergerebbe quindi dal mutare dei due ruoli fondamentali. Se riprendendo difatti le parole di Davide Turrini appare chiaro come la critica quotidianistica abbia perso progressivamente importanza, le analisi di Andrea Minuz mostrano invece come il bisogno di trovare delle indicazioni di gusto per decidere cosa andare a vedere, e pertanto la funzione segnaletica della critica, non si sia realmente dissolta. D’altro canto questo tipo di critica non ha più una capacità analitica, ma sia online che offline si possono trovare numerosi casi di dibattito e approfondimento critico: sia nei blog e nelle webzine di cinema sia sulle riviste specializzate. Il problema comunque permane in quanto le seconde escono con dei mesi di ritardo dopo l’uscita dei film e quindi non riescono a creare discorsi immediati dopo la visione delle pellicole, mentre i primi appartengono al mondo di internet e questo crea necessariamente una serie di problemi che sono legati alla natura stessa del mezzo. Appare difatti difficile legittimare una opinione espressa in rete, anche se questa magari rispetti quei criteri cardine della critica definiti da Bordwell (appropriatezza, corrispondenza, originalità e plausibilità), in quanto  purtroppo e per fortuna internet è un luogo in cui a tutti è permesso di esprimersi senza quasi nessuna barriera d’ingresso, e quindi non esiste un garante che sia in grado di certificare la legittimità di quanto espresso. Tuttavia questo non può giustificare una esclusione completa di questo mondo di discorsi che si sviluppano al suo interno, altrimenti il rischio è di fare come per gli spettatori del cinepanettone di cui parlava Alan O’Leary e cassare un tipo di critica in quanto buona e intelligente solo per questioni di anzianità e l’altra non buona e non interessante in quanto non distinguibile dal mare magnum di discorsi che girano nella rete.  
 
Ovviamente durante i due giorni bolognesi non è stata trovato un modo per risuscitare una critica che non siamo nemmeno sicuri che sia del tutto morta. Sono emerse una serie di posizioni divergenti, anche se mai del tutto, e una serie di punti su cui ancora c’è molto da discutere prima di trovare una soluzione o meglio un compromesso.