Al contrario delle altre, questa è un'intervista “di gruppo”, in quanto riteniamo altrettanto importante la vostra politica di gruppo che la vostra attività come singoli autori. Vorremmo sapere, per cominciare, se la Cooperativa esiste ancora in quanto tale.

Massimo Bacigalupo: Si tratta solo di una questione di termini. È successo un fatto, e cioè che la Cooperativa a un certo punto si è liberata da alcune sovrastrutture iniziali. Come sapete, la C.C.I. era nata a Napoli, in fondo come una istituzione a priori, e non poteva quindi prevedere quelle che sarebbero state le sue reali necessità; comunque, come è apparso più tardi, poneva gravi pregiudizi al funzionamento effettivo della distribuzione e del lavoro degli autori in quanto ci dovevamo portare dietro un sistema burocratico che sarebbe potuto servire se il giro della Cooperativa fosse stato quello di una casa di produzione qualsiasi, ma che invece era assolutamente assurdo con un lavoro come il nostro, completamente non redditizio o quasi; allora, molto semplicemente, questa cosa è stata mandata a monte. Noi restiamo gli stessi, comunque, e anche i criteri operativi rimangono gli stessi.
 
Gianfranco Baruchello: Non è che la Cooperativa non esista più; non esiste più una bardatura giuridica che ci eravamo dati e che credevamo fosse utile all'inizio e che poi abbiamo semplicemente abbandonato in modo libertario, scegliendo un tipo di collaborazione al di fuori di uno schema che è controllato dallo stato, che esige delle pastoie incredibili di ordine amministrativo, fiscale, ecc.; per non morire soffocati da tutto questo e fare l'avanguardia all'insegna del collegio dei sindaci, abbiamo abolito questa struttura soltanto in questo senso. E il gruppo ne esce rafforzato, dalla morte di questa sclerotica costruzione fasulla che era la Cooperativa secondo le leggi italiane.
 
Alfredo Leonardi: Una volta Adamo Vergine ha con molta acutezza precisato il senso del nostro gruppo, e cioè che il fatto di lavorare insieme ha alla lunga portato degli effetti positivi, oltre che naturalmente nel campo distributivo, anche in campo prettamente artistico; il fatto di essere a contatto, di vedere i nostri film, di rinunciare a priori a delle scelte, a costruire dei campi contrapposti, ha portato ad una strana e molto utile osmosi per cui ci sono delle specie di vibrazioni comuni che sostengono il lavoro di tutti, e non è solo un fatto pratico, è proprio un fatto di intesa, di aiuto, di sintonia che facilita il lavoro di tutti, obiettivamente, facendoci rendere conto che non lavoriamo isolati, ma che c'è una serie di richiami continui che ormai all'interno del nostro gruppo si stanno moltiplicando sempre di più, per cui diventa anche molto piacevole e divertente lavorare.
 
Baruchello: Stiamo infatti completando un film collettivo. Quindi non è soltanto pura teoria. Al tempo stesso, questa specie di rapporto più stretto che va instaurandosi tra di noi ha rappresentato la linea di frattura con qualche frangia del nostro gruppo che ci ha lasciato, che non ha funzionato, che in fondo non opera.
 
 
Vorrei chiedervi perché avete rifiutato una tavola rotonda limitata ad alcuni “autori” da noi prescelti e avete invece voluto una riunione non ristretta, anche se con la presenza di quelli fra voi che ci stavano più a cuore. Si tratta di una sfiducia nelle opere, nel concetto di autore, a favore casomai di una poetica di gruppo?
 
Leonardi: In realtà c'è qualcosa in più di una poetica di gruppo. Il termine “poetica di gruppo” mi è estremamente oscuro, e il massimo che potrei accettare in questa direzione è un tipo di scelte operative che ci sono comuni, scelte pratiche che non riguardano i penchants espressivi di ognuno di noi. È un fatto molto programmatico, che naturalmente sottintende una serie di scelte vitali, diciamo pure morali, che accomunano il nostro atteggiamento nel fare questo di fronte a tutta una struttura sociale. Però io penso che in generale occasioni come questa di “Cinema & Film” sono di scarsissimo interesse se si limitano a fare un discorso di autore, che appunto è un discorso molto vecchio, un discorso estremamente ristretto che isola innanzitutto l'individuo e poi alcune caratteristiche dell'individuo, e non la totalità dei suoi atteggiamenti. Una tavola rotonda come questa mi interessa in definitiva perché mi permette di incontrare degli amici che non vedo da tempo…
 
Antonio De Bernardi: È molto importante questo. Per me, per esempio, che sono così periferico, proprio spazialmente, è molto importante aver potuto trovare a Roma degli amici. Non sono solo parole, sono cose molto vere. Proprio perché a Torino si vive male – forse si vive male in tutto il mondo, non so, anche a Roma – però è molto importante avere dei legami, sentire che c'è qualcos'altro fuori, che il mondo non è soltanto Torino… mentre a volte può succedere così, stando a Torino ci si sente un po' morire… E poi mi sembra molto importante che dei film fatti a Torino possano essere visti anche da altre parti. Torino è talmente lontana da Roma… Insomma, per me è un miracolo che ci siano persone come loro con le quali poter stare insieme. Ecco, questa è la Cooperativa. Ma poi mi piacerebbe anche parlare dei film…
 
Baruchello: Noi siamo caratterizzati da un rifiuto di certe strutture e dall'aver scelto, noi, un altro tipo di strutture che sono senz'altro le più scomode, le più assurde, le meno remunerative. Forse sarebbe interessante parlare di queste strutture, delle difficoltà che troviamo, dell'assoluta incapacità di tutti gli organismi ufficiali e anche della stampa di accettare questa nostra posizione, di capirla, di darci una mano, addirittura di instaurare un colloquio simpatico, come quello che voi stasera volete instaurare qui, in questa sede. Perché nessuno proietta i nostri film? Perché nessuno li vuole vedere? Perché la RAI-TV fa un servizio su di noi e poi qualcuno lo abolisce perché dà fastidio anche in via Teulada? Perché la gente si interessa, al massimo, al fatto che un “pittore” faccia del cinema, come avviene nel mio caso?
 
 
È evidente che voi rientrate grosso modo, in quello che si può chiamare “nuovo cinema”; e se si può parlare di nuovo cinema, credo si possa parlare anche di “per chi”; a questo punto, mi interessa sapere cosa fate per poter far circolare le vostre opere più di quanto circolino oggi e, in particolare, in che rapporto vi ponete con una serie di fatti, che vanno dalla scissione dell'ANAC alla creazione di cooperative come la “21 marzo” alla istituzione dei “Cinegiornali liberi” fino alle attività cinematografiche del Movimento Studentesco, fenomeni che fanno tutti parte di una agitazione generale tendente a rinnovare il contesto in cui il cinema si trova ad agire e il pubblico che lo percepisce.
 
Leonardi: Una cosa che può fuorviare è l'accomunare fenomeni molto diversi. È chiaro che se c'è un gruppo di giovani che si uniscono in una Cooperativa per fare dei film vecchissimi, a noi non ce ne importa niente; però se ci sono dei cinegiornali liberi, i quali agiscono con uno spirito e in condizioni che sono uguali alle nostre, evidentemente noi siamo fratelli, è chiaro che c'è una obiettiva analogia che ci porta operativamente più o meno nelle stesse direzioni e può portarci anche a una collaborazione. Non per niente quando siamo stati convocati a casa di Zavattini, che voleva proporci di realizzare dei cinegiornali liberi, la cosa non ci ha sorpreso: le scelte di tipo generale che lui si proponeva noi già le facevamo da due anni, e avevamo anche superato lo stato di gemmazione che che lui si proponeva, riunendoci in un gruppo e distribuendo le nostre opere, cosa che lui ancora non ha fatto (e sembra che questo sia  il grosso punto debole del meccanismo). Quanto al Movimento Studentesco, i suoi problemi sono del tutto diversi,  perché il M.S. non vuole fare del cinema politico, vuole fare della politica; il cinema è solo uno dei tanti strumenti che possono propagandare una certa parola d'ordine; o almeno, questo dovrebbero fare, perché per esempio i cinegiornali del M.S. di Roma – i due che ho visto – sono, a mio personalissimo avviso, degli esperimenti falliti, anche nel senso di una parola d'ordine, perché sono confusi e di retroguardia rispetto alla problematica attuale del M.S. Il M.S. ci può interessare a livello globale, ma è difficile stabilire con esso dei rapporti di lavoro, perché è difficile, almeno per me, far coincidere il tipo di  ricerche mie, che sono molto personali, con la tematica giustamente collettiva del M.S. Peraltro, c'è un gruppo di cineasti di Torino, Ferrero e gli altri, che stanno lavorando col M.S. e mi auguro che facciano delle cose interessanti.
 
De Bernardi: Ma noi stiamo qui, non per parlare di altre cose, i cinegiornali ecc., ma dei nostri film. Quando io dicevo quella cosa “pietosa” di me a Torino, beh, stavo parlando dei miei film, e chi capisce capisce, chi non capisce vuol dire che non ha buona volontà, e allora capisce altre cose; mi sembra molto semplice, no? Noi in fondo vogliamo parlare agli uomini di buona volontà, proprio perché non ce ne sono molti, lo sappiamo.
 
Bacigalupo: Mi sembrano sempre molto presuntuose le decisioni che posso prendere anticipatamente sull'incidenza della mia opera, sul fatto che esiste un “nuovo cinema” nel mondo che mi concerne personalmente e che dunque io devo lavorare in questa direzione. Penso di restare più indietro e credo che stare più indietro sia l'unica posizione che permette che poi avvenga qualcosa di più.
 
Baruchello: Io ho una biliousness (fondamentale nei miei rapporti con il mondo. Un giornalista mi ha chiesto: “Ma lei che cosa si prefigge con le sue opere?” (una delle solite domande idiote). Gli ho risposto: “ mi prefiggo di comunicare ai terzi il pessimo umore che ho per come vanno le cose attorno a me”.  Questo è il mio programma per quest'anno. A me interessa quindi la reazione di un pubblico. L'altra sera a Milano, per esempio, durante una serata di presentazione di un mio libro allestita da Feltrinelli, ho proiettato certi miei film e il pubblico presente, un pubblico dell'alta borghesia, non andava oltre il che cosa “volessero dire”; cioè questi film, che sono abbastanza violenti, portati in ambiente borghese non sensibilizzano affatto;  mentre se tu li presenti in un'assemblea, per esempio di operai, c'è un dibattito vivo, una partecipazione. Per questo mi interessa che i miei film vengano visti, perché sono come i pugni in faccia, e i pugni in faccia bisogna darli a qualcuno; insomma: invitare qualcuno ad un certo tipo di dibattito.
 
Guido Lombardi: A me sembra che ci stiamo provincializzando, ma nel senso positivo. Il fatto che ci sia più attenzione verso i film della Cooperativa in provincia che non a Roma, credo sia l'indice migliore di una difficoltà di discorso col cinema ufficiale che è imbrigliato in una omologia fra la struttura  di un certo sistema e i problemi esistenziali del singolo autore. Il fatto stesso di aver rifiutato una certa struttura giuridica mi sembra che sia una coerenza ideologica. Voglio dire che il cinema non è a Roma…
 
Adamo Vergine: In fondo con i nostri film ci rifiutiamo di condurre dei discorsi su degli schemi tradizionali. Mi sembra che se c'è qualche cosa che si possa chiamare un minimo comun denominatore fra noi, o qualche cosa che ci accomuna, è che nel momento in cui un certo sistema, una società, una persona, sembra aver conquistato la ragione, noi la contraddiciamo, sia in senso neutro che negativo o positivo, privilegiando il pathos, e quindi di volta in volta riusciamo ad essere patetici, simpatici o antipatici. Questo credo si possa dire di noi come uomini e come autori.
 
 
Bacigalupo: Gianfranco ha indicato quelle che sono le aperture presenti in alcune nostre opere  più recenti nelle quali a mio parere  vengono proposte le basi di un nuovo linguaggio popolare, che si verifica non velleitariamente. E qui trovo le ragioni per dire che nel nostro lavoro le spinte verso l'interno e quelle verso l'esterno, gli altri, tutti, sono equivalenti, e si convalidano a vicenda. C'è, per esempio, ciò che dice Leonardi, cioè un rapporto di ottimismo, di fiducia, che lui sempre ci propone a proposito delle cose che facciamo, della loro bellezza, della loro libertà: un punto di partenza fondato sulla nostra esperienza che può apparire scandalosamente individualistico ed estetico. A noi si è chiarito invece che questo è il punto di partenza in fondo meno arbitrario possibile, l'unico arbitrario essendo quello di chi impone delle strutture, che sono poi aprioristiche ed equivoche, sul pubblico, in nome di una pretesa  conformità al reale. Quest'ultimo modo di procedere pecca in definitiva di intellettualismo e, poiché la realtà banalizzata a dato resta uguale a se stessa, non può evolversi. Mi pare invece che fra noi la spericolatezza della partenza “dall'interno” (coadiuvata da quella immediatezza espressiva e dalla comunicazione delle esperienze singole all'interno del gruppo –  di cui ha detto Leonardi) possa portare ad un rapido evolversi che presto brucia posizioni più propriamente estetiche perché intellettualistiche e giunge ad esperienze veramente nuove ed illuminanti. Nelle quali ( penso, p.es., all'ultimo film di Vergine, Espiazione), bruciato ogni residuo, avviene una estrema purificazione del mezzo con una conseguente e totale trasparenza di comunicazione. E' un atto di liberazione ( tra l'altro, dal complesso dell'intellettuale) che rimanda ad un nuovo mondo piuttosto che ad un “nuovo cinema”.
 
Quello che hanno detto Vergine e Bacigalupo ci fa particolarmente piacere.
Abbiamo avuto un'esperienza in questo senso a seminari organizzati dall'A.R.C.I. a  Reggio Emilia e  a Venezia dove siamo partiti dall'idea che certe opere cosiddette difficili, di avanguardia avrebbero avuto bisogno di un'introduzione diciamo così “culturale” per poter essere recepite, e ci siamo invece accorti che esse sono state recepite immediatamente, se non a livello razionale, a livello patologico – come dice Adamo – il che forse per tutti noi è molto più salutare, grazie alla creazione non già di un clima culturale ma di un clima amichevole. A un semplice giro di tavolo, dopo la proiezione  di una scelta abbastanza arbitraria di opere della Cooperativa, tutti, pur non sapendo dire perché, hanno individuato l'opera più ricca in Ciao ciao, che potrebbe sembrare un film ermetico; e si trattava di un pubblico di tipo operaio o comunque culturalmente “sprovveduto”. Mi ricordo poi un operaio di Varese che, di Se l'inconscio si ribella di Leonardi, disse: “Questo film mi ha fatto un'impressione di angoscia e di affetto”, una frase che secondo me dice tutto su questo film.
Per contro, il pubblico borghese tende piuttosto a dire “Non ho capito e non voglio capire”. A questo proposito, non vi pare che i vostri film abbiano bisogno di essere accompagnati, seguiti dall'autore, per stabilire col pubblico quel clima di amicizia, diciamo così, che permette a questo tipo di opere di essere più facilmente recepite?
 
De Bernardi: Ma non è un bisogno del film, è un bisogno nostro. Per me è molto importante seguire i film, se potessi andrei dappertutto, ma non per spiegarli. O magari posso anche spiegarli, ma allora è tutta un'altra cosa: nel momento in cui spiego già faccio un nuovo film. Insomma, come ho bisogno di fare i film, così ho bisogno di accompagnarli, di parlarne.
 
Ma in particolare qual'è la tua esperienza col pubblico?
 
De Bernardi: Quando parlo di uomini di buona volontà, di uomini liberi, io non voglio più tanto sentire parlare di “oh, guarda l'operaio come ha preso bene il mio film mentre invece il borghese lo ha preso male”. Io sono convinto che ci sono delle persone libere sia fra i borghesi che fra gli operai. E questo appunto l'ho imparato dal mio contatto col pubblico. Vengono delle cose da chi meno uno se le aspetta.
 
 
Sì, ma a un certo punto io mi domando se non sia più fruttuoso il lavoro di comunicazione col pubblico in direzione della classe operaia, contadina, ecc. che non in direzione di quella borghese, viziata da una serie di sovrastrutture “culturali” che rendono questo pubblico assai poco libero; assistendo a certi dibattiti si ha quasi l'impressione che il pubblico abbia paura dei propri sentimenti,paura di liberarsi, di darsi all'opera…
 
De Bernardi: Beh, sì, questo è abbastanza vero; infatti quando vi sentivo parlare degli operai pensavo ai miei ragazzi, a scuola, ragazzi di dodici anni, di tredici anni che messi di fronte a certe opere dicono delle cose straordinarie. Però non mi piace dividere l'umanità in gente più semplice, gente più formata, ecc. Al “Filmstudio”, per esempio, in cui pure c'è un pubblico “colto”, ho avuto un'ottima accoglienza. Invece a Milano, da Franco Quadri, è stata un'esperienza terribile, con un pubblico freddissimo.
 
Non credete che, per converso, si possa manifestare nei confronti delle vostre opere, un fenomeno di successo, di “moda” culturale?
 
Bacigalupo: Questo può sempre avvenire; ed esiste già un tipo abbastanza consacrato di film sperimentale. Ma nel momento attuale (quell'attuale che è il futuro dei nostri film), questo pericolo viene esorcizzato dall'impegno dei singoli: dalla loro volontà di rimettere tutto in discussione. Non a caso i nostri film più recenti sono dispiaciuti a quelli che avrebbero preferito vedere delle ripetizioni aggiornate delle cose precedenti. Ma vorrei tornare sul discorso del pubblico che mi pare un po' generico. I casi sono due: o le opere si verificano da sé, la loro verifica è interna, ed è irrilevante parlare di pubblico; oppure esiste una verifica al di fuori, ossia sul pubblico in modo rinnovato: di questa  a sua volta non parlo volentieri, perché le categorie di cui disponiamo per analizzare questa nuova verifica si rivelano fortunatamente sterili ed inadeguate.
 
Mi interessa il concetto di “popolare” messo in rilievo da Bacigalupo; si tratta, ovviamente, di dare un nuovo senso a questo termine, forse quello di un rapporto più stretto che si instaura fra una soggettività, l'autore-film, e un'altra soggettività, lo spettatore.
 
Bacigalupo: In questo senso si può parlare di un interesse nostro profondo per quello che accade quando la gente vede i nostri film; però nello stesso tempo c'è il rifiuto di fare di questo cosiddetto rapporto di una soggettività con un'altra soggettività qualcosa di cui si parli sulle riviste…
 
De Bernardi: Anche parlare di “pubblico” perché poi il “problema” del pubblico credo che per noi non esista.
 
 
Intendevo parlare di un “nuovo” pubblico…
 
Leonardi: A me sembra che questa tavola rotonda sia molto buffa, perché noi stiamo nettamente parlando due linguaggi diversi. Il problema fondamentale è che noi abbiamo un rapporto con la gente che non è affatto un rapporto di tipo logico, è un rapporto di tipo, non so, erotico. Tonino diceva:” Noi cerchiamo delle persone di buona volontà”; ora secondo me voi non siete delle persone di buona volontà in questo senso: cercate di esserlo – questo è ammirevole –  però vi muovete un po' pesantemente, cioè non siete ancora arrivati a “capire la cosa”, però la “cosa” emana qualche vibrazione che oltrepassa la vostra cute, vi colpisce, ecc. ecc., cioè, ne sentite la presenza ma non siete ancora in sintonia.
 
Ma tu sei profondamente razzista…
 
Leonardi: No, sono profondamente sincero. Tu non puoi dire: mi piacciono i film di Tonino e non mi piacciono i film di Leonardi, o viceversa; perché se sei dentro un certo discorso è chiaro che alla fine fa tutto parte di uno stesso modo di fare.
 
Ma l'operazione “erotica” mi interessa solo in quelli che mi erotizzano…
 
Vergine: Sì, ma non dirlo come critico, dillo come uomo; è chiaro che ognuno di noi ella vita di ogni giorno fa delle selezioni, biologiche, psicologiche, ecc.; però è inutile mettersi da critico di fronte a quella gente che, metaforicamente, si cala le brache, e dire “quello è più bello…”
 
Ma non potreste fare lo sforzo di considerarci pubblico? Se, come dice giustamente De Bernardi (abbastanza giustamente, perché se io rifiuto le classifiche non rifiuto le classi), si può trovare ovunque della gente che ti corrisponde, non pensate che anch'io, pubblico, di fronte ai vostri film mi senta in corrispondenza con qualcuno e non con qualcun altro? E poi dovete trascurare di considerarci critici, perché se vi ponete in maniera nuova rispetto alla pellicola, anche il critico può darsi che si stia muovendo in modo tale per cui non è più “critico” ma un individuo che, p. es., si batte per certe idee, fa l'organizzatore e non il sistematore…
 
De Bernardi: Di fronte a qualsiasi opera ognuno di noi è primitivo, se vuole coglierla. Dove non c'è tabula rasa non puoi infondere niente. Poi dopo puoi fare tutti i discorsi che vuoi, inserire la tua cultura…
 
Bacigalupo: Tonino, credo, non rifiuta una sistemazione se questa è una sistemazione che cambia totalmente nel momento in cui al suo interno è stata immessa l'opera nuova; allora la sistemazione, in crisi, è essa stessa una tabula rasa.
 
Vergine: Se tu invece cerchi di far rientrare quello che vedi nel tuo sistema precostituito, allora…
 
(Tratto da: Cinema & Film, nn. 7-8, primavera 1969)