Il termine "found footage" ha una lunga storia all'interno dell'uso cinematografico e in generale descrive un filmato "trovato", lasciando intendere che sia stato, in un dato momento, "perduto". In secondo luogo, implica anche che il filmato trovato sia stato anche assemblato in una forma che può variare (collage, documentario o falso documentario). Nei film che ci apprestiamo a prendere in considerazione, la domanda riguardante chi abbia trovato questi filmati e come è perché siano stati assemblati non trova mai una risposta adeguata. Si tratta di un filone che, all'interno del genere horror, ha avuto scaturigine decenni fa ma solo negli ultimi 6/7 anni ha raggiunto il proprio picco espressivo. Nel tempo intercorso, il Found Footage Horror (d'ora in avanti FFH) si è evoluto, rispecchiando timori specifici di luoghi ed epoche ben precise e, nel complesso, ha sempre riguardato gli sforzi e i fallimenti legati agli aggiustamenti della comunicazione tecnologica, intrattenendo un dialogo attivo e aperto con la propria audience, da cui è, più di altri generi, dipendente. Dal punto di vista del dispositivo logico, i film si appoggiano a un'idea di instabilità narrativa: viene chiamato in causa qualcosa che era meglio non disturbare/risvegliare e questo qualcosa si libera, propagandosi per mezzo della tecnologia. È interessante notare come si tratti quasi esclusivamente di narrazioni personali, o limitate a contesti familiari, caratterizzate da una quotidianità atipica rispetto alla componente fantastica degli horror più celebri che le hanno precedute.
 
1. LETTERE SCARLATTE: LE ORIGINI
 
Al di là di miti e leggende urbane, potrebbe essere interessante ricercare le origini dal FFH nel romanzo epistolare. Si tratta infatti di un genere letterario che elabora una narrazione finzionale per mezzo di testi "trovati", che siano lettere, stralci di giornale o articoli. E due dei più noti esemplari del romanzo epistolare appartengono proprio al filone orrorifico.
 
Frankenstein di Mary Shelley, pubblicato nel 1818, si serve solo parzialmente del formato epistolare. Il romanzo si apre con una serie di lettere tra il capitano Robert Walton e sua sorella Margaret. Walton ha appena intrapreso un viaggio verso l'Artide che potrebbe regalargli fama e fortuna in quanto esploratore. Lungo la tratta fa la conoscenza di Victor Frankenstein, ed è qui che la narrazione cede il passo a una forma più tradizionale di prosa, con Walton che riporta la storia della creatura di Frankenstein, come l'ha sentita raccontare dal Barone, a favore della sorella. La narrazione termina con la morte di Frankenstein. A questo punto Walton riprende il formato epistolare per annunciare la lezione appresa a seguito dell'esperienza di Frankenstein: rinunciare a perseguire fama e fortuna e, dando ascolto, alla propria ciurma, fare marcia indietro per il bene di tutti. 
 
Frankenstein, romanzo appartenente al gotico e al romantico ma anche tra i primi esemplari di fantascienza, è stato scritto in epoca Regency, quando le lettere costituivano l'unica reale forma di comunicazione e allo stesso tempo davano prova di un costrutto sociale. Erano un esempio di società organizzata. 
 
A essere particolarmente interessante in Frankenstein è l'impiego di voci multiple all'interno del racconto, da cui scaturisce una sensazione di scarsa autorevolezza narrativa intorno alla vicenda del Barone. Con il procedere del romanzo, altri narratori e altre narrazioni filtrano ulteriormente il resoconto, e la natura fantastica del romanzo si espleta a fondo con la diminuita possibilità di determinarne l'autorità narrativa. Ad essere costantemente presente è il mostro. Ci è impossibile sfuggirgli: la creatura si impossessa del testo e, così facendo, spinge tutte le altre voci a svelare la destabilizzazione del conformismo sociale. 
 
 
Dracula di Bram Stoker (1897) compie un passo avanti sul versante del romanzo epistolare. Scritto al volgere del secolo, si serve degli sviluppi tecnologici dell'era vittoriana che stavano rivestendo una presenza sempre più massiccia nella vita di tutti i giorni. La storia è quella del Conte del titolo. L'avvocato Jonathan Harker lascia Londra e la fidanzata Mina per raggiungere i Carpazi dove aiuterà il Conte a sistemare le sue faccende. Scoprirà presto di essere precipitato in un incubo gotico, con il non-morto Dracula che arriva a Londra causando scompiglio, mentre il dottor Van Helsing e la sua squadra cercheranno di ucciderlo.
 
Stoker si serve di un'ampia varietà di documenti per raccontare la storia, dalle missive scritte a mano da Dracula al diario di Mina scritto a macchina, svelando la discrepanza delle varie forme. La natura arcaica del Conte è esemplificata dalla lettera inviata dal suo decadente castello, mentre la scrittura a macchina di Mina e l'utilizzo del fonografo da parte del dottor Seward denotano una maggior abilità nel padroneggiare la tecnologia da parte dell'Occidente. Interessante notare come siano proprio i personaggi londinesi a dimostrarsi incapaci di comprendere l'essenza soprannaturale di Dracula, e sarà Van Helsing a supplire per tutto ciò che non trova adeguata risposta nella tecnologia.  
 
Per mezzo del formato epistolare, Dracula dà vita a un dialogo tra il vecchio e il nuovo mondo, lasciando intendere che medicina e tecnologia non ci sono d'aiuto nel contrastare le minacce provenienti dall'ignoto. I vittoriani erano scettici nei confronti di ciò che non poteva essere spiegato per mezzo della ragione: il gruppo che si reca nei Carpazi è costretto a rinunciare alle abitudini consolidate, comprese quelle proprie della tecnologia, tanto che il dottor Seward lamenta di non poter usare il fonografo e di essere costretto a vergare le proprie considerazioni a mano. Per sconfiggere il Conte, i personaggi devono rinunciare ai valori scientifici e aprire la mente a nuove interpretazioni. In questo senso, il viaggio che compiono li porta realmente lontano dalle comodità della Londra vittoriana, verso un luogo dimenticato dal tempo.
 
2. STREGHE E CANNIBALI: DUE NARRAZIONI ESEMPLARI
 
I fratelli Lumiere hanno cominciato filmando la vita di tutti i giorni, mostrando eventi reali nel loro accadere. Ma i cineasti all'opera nei primi anni del Ventesimo secolo hanno elaborato modalità in uso ancora oggi, tecniche di montaggio e formulazioni narrative che, se inizialmente hanno disorientato il pubblico, si sono poi affermate come la norma in ambito cinematografico. La narrazione filmica ha contribuito a definire e contestualizzare l'immaginario popolare, dando vita a un universo di segni comprensibile a tutti e nei confronti del quale siamo tutti disposti a sospendere la nostra incredulità. Per conservare la propria rilevanza, tale costrutto ha dovuto adattarsi costantemente agli sviluppi tecnologici. 
 
Un altro aspetto importante nell'evoluzione del cinema riguarda la forma documentaria: al suo meglio è in grado di illuminare la quotidianità e illustrare, come nessuna finzione può fare, fatti di rilevanza storica; al suo peggio scade nella più bieca propaganda. Proprio a partire dal coinvolgimento dello spettatore tipico del documentario (tanto nella sua forma eccellente, quanto in quella più deprecabile), il FFH si è trovato spesso all'avanguardia nell'avanzamento tecnologico, coinvolgendo il pubblico nella propria narrazione. La sua natura reticente spinge gli appassionati a indagare più a fondo il mistero delle storie che racconta, nella convinzione che tale mistero sussista realmente nel mondo che ci circonda. 
 
 
Cannibal Holocaust di Ruggero Deodato (1980), è spesso considerato il primo e più discusso esemplare di FFH, ma solo in parte il film fa ricorso all'uso di filmati elusivi. In cerca di una troupe cinematografica scomparsa nel mezzo dell'Amazzonia, l'antropologo Harold Monroe scopre che i membri della troupe sono stati cannibalizzati dalle tribù autoctone e recupera le pizze di pellicola appese alle loro ossa. Tornato a New York, viene contattato da un'emittente locale disposta a mandare in onda il filmato con il titolo "The Green Inferno". Ma vedendo i nastri, Monroe e i funzionari si rendono conto che, pur di procurarsi materiale sensazionalistico per il loro film, sono stati gli uomini della troupe a brutalizzare e torturare i nativi. Decidono, di conseguenza, che il filmato vada distrutto. Il regista si serve delle tecniche da documentario shock tipico dei mondo movies per esporre un'ambigua critica ai media. Il momento in cui Cannibal Holocaust chiama in causa più esplicitamente i mondo è quello in cui viene mostrato a Monroe il lavoro precedente della troupe, "The Last Road to Hell", con l'avvertenza che alcune delle scene di violenza sono ricostruite ad arte. 
 
Deodato utilizza diverse tecniche allo scopo di accrescere l'impressione di realtà del film, a cominciare dal prologo telegiornalistico che annuncia la scomparsa della troupe e la spedizione dell'antropologo. A questo punto subentra una forma narrativa più tradizionale, con Monroe che, al fianco di una guida, si avventura nella giungla alla ricerca della troupe e del loro film. Tale dispositivo si interrompe quando il film viene riportato a New York e i responsabili del network prendono in considerazione l'idea di trasmetterlo. Monroe intervista i familiari dei componenti della troupe, ottenendo pessime referenze, dopo di ché ci viene mostrato il loro filmato, proiettato in presenza di Monroe e dei funzionari del canale. La sequenza produce allo stesso tempo un effetto di immersione e di distacco: lo spettatore "crede" nel film di finzione ma scopre che il "documentario" girato dalla troupe è falso, in virtù dei metodi usati per le riprese.
 
Ciò che fa Deodato, dunque è servirsi di una narrazione semi-tradizionale per svelare la falsità di ciò che si suppone sia vero. La sua critica nei confronti dei media popolari è, in questo senso di grana grossa: la presenza di riprese instabili e traballanti realizzate con la camera a mano, così come le intermittenze nell'audio e i graffi sulla pellicola rivelano la mano dell'artefice nel dare forma al prodotto definitivo. Benché il film sia stato ripetutamente criticato, tanto da condurre al famigerato movimento dei "Video Nasties" in Inghilterra, ritengo che la vera forza di Cannibal Holocaust risieda proprio nell'ambiguità con cui condanna coloro che falsificano e purgano la verità in nome dell'intrattenimento. In questo senso, il film potrebbe essere letto come un ammonitorio racconto morale sull'abuso del potere. Cannibal Holocaust è un film sulle atrocità perpetrate da chi detiene il potere. In questo caso particolare, coloro che credono di detenerlo sono quelli con la macchina da presa.
 
 
Sarebbero dovuti passare quasi vent'anni prima che qualcun altro intraprendesse la strada del FFH per trasformarlo in un fenomeno culturale. Benché elementi consoni al filone avessero fatto capolino in lavori quali Ghostwatch, The Last Broadcast e gli speciali della Fox sui rapimenti alieni (la serie Alien Abduction), nessuno di questi ha catturato l'immaginario degli appassionati quanto The Blair Witch Project (1999). La storia è semplice, e la didascalia iniziale la riassume al meglio: 
 
Nell'ottobre del 1994, tre studenti videoamatori scomparvero in un bosco nei pressi di Burkittsville mentre stavano girando un documentario.
 
Un anno dopo fu ritrovato il loro filmato.
 
Heather, Mike e Josh vanno in un bosco per realizzare un documentario sulla leggendaria strega di Blair. Si perdono, litigano, Josh sparisce. Al culmine del film, Mike e Heather entrano in una casa che non hanno mai visto prima. Urla. Le videocamere si spengono. Fine della storia.  
 
Il pubblico è accorso in massa: a fronte di un budget di 35 mila dollari, il film ne ha incassato 200 milioni, in gran parte grazie all'alone di mistero. Il finto documentario The Curse of the Blair Witch impazzava sui canali specializzati, e una piccola ma agguerrita schiera di sostenitori su internet sosteneva a gran voce che i fatti in questione fossero reali. BWP è un film seminale nel campo dell'horror in virtù degli elementi stilistici che lo caratterizzano (o, meglio sarebbe dire, di cui è privo), di una campagna pubblicitaria radicalmente innovativa e del senso di terrore che ha provocato. 
 
I registi Eduardo Sanchez e Daniel Myrick, in maniera rischiosa, hanno deciso di non mostrare mai la strega, confidando nel contributo della mente dello spettatore. Si tenga a mente che il 1999 è l'anno in cui è uscito l'orrorifico (per altri motivi) remake di Gli invasati (The Haunting), che ha soffocato l'originale con un tale abuso di CGI da far impazzire Michael Bay. In questo senso, Blair Witch Project ha funzionato da antidoto. 
 
Come nel caso di Cannibal Holocaust, anche BWP lavora sul dispositivo documentario ed è girato in parte in video e in parte in un 16mm in bianco e nero. Quest'ultimo viene utilizzato per il documentario vero e proprio, mentre le riprese in video sembrano avere lo scopo di ancorare l'esperienza al reale e conservare in questo modo la sanità mentale. Una breve scena all'inizio del film, quella in cui Heather, Mike e Josh arrivano a Burkittsville per intervistare la gente del luogo, è utile per esaminare le differenze tra i due stili e formati. Rispetto alle riprese in video, la parte in bianco e nero offre uno sguardo più controllato e composto sugli eventi. A causa di questa discrepanza, ci sembra che le sequenze a colori in digitale costituiscano il nostro accesso personale alla storia, avvicinandoci maggiormente ai personaggi, perché paiono più naturali, sincere, e dunque credibili. 
 
 
Un altro aspetto rilevante di The Blair Witch Project, nonché un filo comune a tutti i film presi qui in considerazione, riguarda l'allontanamento dalle sicurezze proprie della cultura contemporanea e il peccato originale nei confronti del "vecchio mondo", che ci si ritorce contro. C'è una sorta di arroganza intellettuale nella sicurezza ostentata dai giovani registi amatoriali che si inoltrano nel bosco sostenendo che "oggigiorno è molto difficile che una persona possa perdersi in America".  
 
Se accogliamo la teoria di Robin Wood, secondo la quale il genere horror incorpora "tutto ciò che la società reprime", il FFH al suo meglio riguarda proprio lo svelamento di profonde verità sociali inespresse. All'inizio del film la leggenda della strega di Blair ci viene presentata per mezzo di credenze popolari, miti e fatti storici. Si raccontano così due storie parallele, una riguardante la leggenda della strega e l'altra incentrata sui ragazzi scomparsi. Se teniamo a mente la considerazione di Robin Wood circa la capacità dell'horror di portare alla luce il represso comprendiamo anche che il represso esiste anche in termini narrativi e formali. Questo grazie alle convenzioni cinematografiche cui siamo abituati e alle quali ci appoggiamo: quando, alla fine del film, Heather e Mike lasciano cadere le videocamere e non resta che il silenzio, parte dell'impatto terrorizzante della scena è dovuto al fatto che assimiliamo la presunta morte dei due alla conclusione del film. 
 
Se è vero che l'inattesa e massiccia reazione del pubblico nei confronti del film è sicuramente legata a fattori extratestuali come la campagna promozionale, il battage su internet e la circolazione del documentario televisivo, credo anche che la sua vera forza sia stata la capacità di creare un dialogo con il pubblico. Un dialogo molto più intenso e proficuo di quello instaurato normalmente dagli altri film dello stesso genere. 
 
3. LA FASE DEL CONTAGIO: IL DEMONE ALLO SCOPERTO
 
Negli anni intercorsi tra The Blair Witch Project e il boom del FFH c'è stato un filone che in mancanza di un termine più adatto è stato identificato come "J-Horror". Molti dei film attribuiti a questo filone non erano giapponesi ma lo era il più iconico: Ringu di Hideo Nakata. In questa sede mi occuperò più dettagliatamente del remake americano firmato da Gore Verbinski nel 2002, soprattutto perché si tratta di una produzione messa in piedi da una Major hollywoodiana (Dreamworks) e per l'impatto che ha avuto. 
 
The Ring costituisce un ponte evidente tra gli argomenti appena trattati e quelli che affronteremo a breve, inserendo nel discorso nuovi, illuminanti elementi. Al centro della storia c'è una videocassetta assassina: chiunque la guardi muore sette giorni più tardi. Il plot prende l'avvio quando la nipote di Rachel Keller, una reporter investigativa, muore in circostanze misteriose. Rachel rintraccia la videocassetta in un'isolata abitazione di campagna, la guarda e scopre la storia di Samara, una bambina defunta le cui misteriose origini hanno lasciato un'impronta duratura sul nastro. Indagando sulla vicenda della ragazzina, la protagonista scopre che non si trattava di una piccola incompresa ma di una vera e propria forza del male. L'unico modo di scampare alla maledizione consiste nel fare una copia della videocassetta e mostrarla a qualcun altro, allargando così l'anello ("ring") narrativo. 
 
 
Ciò che in The Ring è particolarmente affascinante non ha a che fare solo con la riflessione sulla tecnologia e il passato nascosto ma anche con la nozione di famiglia disgregata e con l'assetto "innaturale" delle nostre vite. Richard e Anna Morgan, incapaci di avere un figlio naturale, sono i genitori adottivi di Samara. Non riuscendo a contrastare la componente negativa insita nella bambina la uccidono, gettandola in un pozzo. Quanto a Rachel, è una madre single con un figlio a carico, Aiden. La sua relazione con il padre del ragazzo, Noah, è fredda, ma l'uomo accetta di darle una mano nelle indagini dopo aver visto il nastro. The Ring può essere preso come un avvertimento nei confronti della disgregazione familiare propria della nostra società, dove ogni nucleo rischia di partorire il proprio piccolo orrore privato. 
 
Sia il film giapponese che quello americano si sviluppano secondo gli stessi elementi basilari e terminano con il personaggio della madre (Rachel, nel caso del remake) che mostra la videocassetta al figlio. Ma in The Ring, Samara sembra avere qualcosa in comune con la strega di Witch piuttosto che con la sua stessa incarnazione nell'originale giapponese, in cui è il suo essere vittima a trasformarla in mostro. Dietro le sue azioni, qui, ci sono il Male e il Caos. Per quanto possano risultare colpevoli i suoi genitori adottivi, lo spettatore si rende conto che non hanno avuto altra scelta a causa delle torture psicologiche inflitte loro dalla ragazzina.
 
In The Ring siamo testimoni di come la natura repressa del deterioramento dell'istituzione familiare si incida sulla pellicola e si diffonda per mezzo della tecnologia (basti pensare al radicale cambiamento intervenuto negli ultimi decenni all'interno delle relazioni familiari con la sempre più capillare diffusione dei personal computer e degli smartphone). I più recenti esemplari di FFH spiegano che una delle forme più efficaci che può assumere il terrore cinematografico è quello dello spettro del passato che invade la nostra sfera privata per mezzo della tecnologia. A causa del deteriorarsi delle comunicazioni interpersonali il diffondersi di miti e leggende si sta estinguendo: antiche storie pubbliche o collettive si impossessano degli strumenti tecnologici per rendersi udibili. 
 
 
Il film che ha segnato la riscossa del FFH è REC (2007), di Jaume Balaguero e Paco Plaza. Il plot è relativamente semplice, ma l'elemento più interessante, da un punto di vista puramente analitico, è che la protagonista e la macchina che riprende fanno parte dell'universo media giornalistico. Il film si apre con la presentatrice del programma "While You're Asleep" ("mentre dormite") Angela Vidal che illustra l'argomento della puntata in corso: una notte all'interno di una stazione dei vigili del fuoco. Tutto procede nella norma finché alla stazione non arriva una chiamata da parte di un'anziana intrappolata in un appartamento. I due reporter accompagnano la squadra d'emergenza e quando raggiungono l'edificio la donna che li ha chiamati attacca con violenza uno degli agenti. La palazzina viene messa in quarantena e coloro che sono intrappolati al suo interno cercano di capire cosa stia succedendo e come sopravvivere. 
 
REC presenta un microcosmo sociale intrappolato all'interno di un edificio, con le forze governative che, all'esterno, impediscono a chiunque di uscirne. Non sono presenti solo i media, nelle persone di Angela e Pablo, il cameraman, ma ci sono anche vigili del fuoco e polizia, giovani e vecchi, un dottore e immigrati raccolti insieme in un unico luogo. Nel corso del film le tensioni vengono mostrate dal punto di vista dei vari partecipanti: al dottore viene chiesto in continuazione di fornire spiegazioni sull'accaduto, gli immigrati vengono colpevolizzati e sono considerati inaffidabili, i poliziotti rimasti si sforzano di mantenere l'ordine mentre i media fanno di tutto per mettere in immagini l'evolvere della crisi.
 
Nel caso di Angela, la disperata volontà di filmare tutto può essere letta come frutto dell'insoddisfazione nei confronti del lavoro che fa (se riuscisse a portare fuori dall'edificio le riprese potrebe smettere di fare un programma scandalistico e spettacolare); ma con l'aumentare della sua insistenza, appare più chiaro anche il senso primario insito nel desiderio di catturare il caos circostante. Più i loro tentativi di fuga si dimostrano inefficaci più si convincono della necessità di affidarsi alla videocamera, specialmente dal momento in cui la corrente va via lasciando l'edificio al buio e l'unica luce disponibile è quella proveniente dalla macchina di Pablo. 
 
 
Un altro momento interessante occorre quando Angela chiede di visionare il materiale che viene ripreso, per essere sicura che tutto venga effettivamente filmato. Dopo decenni di censura e oppressione, la sua richiesta acquista una significanza particolare: l'esigenza di una prova documentaria di quanto è successo. 
 
In REC il video è un personaggio a sé. Più la situazione si fa violenta e ingestibile, più la ripresa si fa instabile. Lo spettatore viene calato nell'oscurità insieme al cameraman, condividendo il medesimo senso di disturbo e disorientamento. REC ha contribuito a rilanciare il FFH non solo in virtù della propria efficacia ma anche perché intrappola lo sguardo dello spettatore al centro dell'azione, destabilizzandone il senso di sicurezza. Allo stesso modo avanza in maniera evidente l'idea che il found footage possa essere utilizzato dai cineasti per rivelare verità nascoste, dimenticate o rimosse. REC fa luce sulle paure che ci circondano.
 
Paranormal Activity, pronto già nel 2007, è stato distribuito ufficialmente solo nel 2009. Terminate le riprese, il regista Oren Peli ha portato in giro estratti del film in vari festival, attirando attenzione anche da parte delle Major. Acquisito da Universal, il progetto è rimasto bloccato in un limbo per diverso tempo. Tra le possibilità prese in esame c'era persino quella di girarne un remake che facesse a meno del found footage, per conferire al plot un assetto più tradizionale, con attori celebri al posto degli interpreti sconosciuti. Ma se il film è rimasto com'è è merito di Steven Spielberg che, mentre la Universal e la Dreamworks cercavano di capire ché farsene, suggerì di lasciarlo esattamente com'era, modificando solo il finale per lasciarlo più aperto (a possibili sequel). 
 
Il film mostra una giovane coppia di conviventi, Micah e Katie. Strani accadimenti hanno avuto luogo nella loro casa e l'uomo decide di disporre nei vari ambienti una serie di videocamere, convinto che possano aiutarli a capire cosa stia succedendo. Viene chiamato in causa anche un veggente, cui Katie rivela di essere stata testimone di cose simili fin da quando era piccola. La situazione peggiora drasticamente quando le videocamere cominciano a filmare non solo gli eventi soprannaturali ma anche il progressivo deteriorarsi della relazione di coppia, finché il demone non prende definitivamente il sopravvento. 
 
 
Il primo elemento di interesse del film riguarda la sua location: si tratta di una casa qualunque, e l'azione ha luogo principalmente in una camera da letto. La frase di lancio presente sul manifesto era "Cosa succede mentre dormite?" e mai, dai tempi di Nightmare, addormentarsi dopo aver visto un film era stato così difficoltoso. 
 
Il film alterna riprese a mano e altre più stabili, e così come il demone si impossessa di Kate qualcosa di simile si impadronisce della videocamera. Come in REC, anche Paranormal Activity ci mostra cosa succede dietro le porte chiuse, ma in questo caso le porte non sono chiuse per decisione delle forze dell'ordine. Katie e Micah sono dolorosamente normali e a rendere il tutto ancora più efficace è proprio il fatto che non hanno niente di speciale. Anche in questo caso, la tecnologia che dovrebbe venire in aiuto dei due protagonisti si trasforma nello strumento che permette al demone di prendere il controllo della narrazione. Pensiamo al momento in cui Micah decide di servirsi di una tavola ouija: dopo la discussione con Katie, i due decidono di lasciarla sul tavolo e in quel momento la tavola comincia a bruciare con una piccola fiammella che poi si estingue da sola. Lo spettatore vede ciò che il demone vuole che veda: ha ormai preso possesso della storia. Paranormal Activity parla di controllo e il senso di profonda incertezza che lascia alla fine riguarda il fatto che se la tecnologia ci permette di evadere dal mondo e renderci autonomi, contemporaneamente ci intrappola, infiltrandosi nelle zone di sicurezza delle nostre vite private. 
 
L'ultimo film che vale la pena considerare è The Last Exorcism (2010), poiché combina parecchi elementi presenti negli altri film trattati e in maniera molto chiara. Il reverendo Cotton Marcus invita una troupe di documentaristi nelle paludi della Louisiana perché facciano da testimoni del suo ultimo esorcismo. Stanco di mettere in scena finti esorcismi, raggiunge una fattoria in cui una ragazza di nome Nell sembra essere in preda a possessione diabolica. Il film oscilla tra la sensazione che la ragazza sia davvero posseduta e l'ipotesi dell'instabilità mentale. Alla fine si capirà che la prima ipotesi è quella giusta e nell'arco narrativo verrà testata la fede di Cotton. 
 
The Last Exorcism combina l'ambiguità di Cannibal Holocaust, l'ambientazione immersiva di Blair Witch Project, l'inquietante aura di The Ring, i peccati del passato collettivo di REC e il dramma familiare di Paranormal Activity. Nella prima metà del film Cotton mette in scena un atto "performativo" e così come lo spettatore ritiene che sia in grado di gestire la situazione familiare con cui è alle prese, ha anche la percezione che la videocamera sia perfettamente in controllo di quello che riprende. Più avanti, con il progressivo deteriorarsi delle condizioni di Nell, la perdita di controllo di Cotton si riflette sulle riprese. 
 
Poco prima, si fa menzione del fatto che queste zone della Louisiana siano fantasmatiche e dominate dal timore religioso. Si tratta di luoghi dimenticati, luoghi in cui le norme standard vengono a mancare, e possono accadere cose impensabili. Ciò che terrorizza in The Last Exorcism è che se anche ci sono chiari i motivi alla base del comportamento di Cotton non abbiamo nessun riferimento per comprendere quelli legati alla famiglia Sweetzer. Non sappiamo di chi fidarci o come si possa risolvere la situazione, perché il film si serve di tutta una serie di false piste e depistaggi che ci impediscono di fidarci di ciò che vediamo.
 
 
La confusione dello spettatore è dovuta al fatto che il suo sguardo è legato a quello di un operatore che vorrebbe evidentemente tagliare la corda, mentre Cotton lo costrige a restare. Negli attimi filnali del film, quando Nell procrea una sorta di entità demoniaca, assistiamo alla marcia di Cotton verso l'ignoto, ma ci allontaniamo incapaci di venire a capo di ciò che abbiamo appena visto. 
 
Proprio come in Cannibal Holocaust e Blair Witch Project la fine della vita coincide con la fine del film: il mito collettivo si fonde con l'isteria individuale e non sappiamo interpretare il senso di realtà delle immagini. The Last Exorcism comincia come un documentario sullo svelamento delle illusioni, ma la mancanza di fede di Cotton e della troupe che lo accompagna è esattamente quella che li porta alla sconfitta. Gli indizi che permetterebbero a Cotton di aiutare Nell risiedono proprio nel libro in cui non crede. In questo caso, la tecnologia produce un risultato opposto a quello sperato da Cotton: porta allo scoperto il demone e lo fa diventare reale. 
 
(pubblicato per gentile concessione dell'autrice; traduzione di Alessandro Stellino)