Alla fine ci si conta. Ci si guarda attorno e ci si rende conto che sono pochi coloro che sono rimasti in piedi. Lo si dichiara sin dal titolo: solo gli amanti, coloro che amano, sono ancora in vita. Trapped by a Thing Called Love, per dirla con il titolo del brano di Denise Lasalle che Jim Jarmusch pone sul giradischi di Adam (un 7 pollici della Westbound, storica etichetta soul-funk). Si resta in vita come macchine che amano, non desideranti. Il desiderio, lo sappiano da Baudrillard, tiene in piedi il consumo e la produzione. L’amore, invece, tutela quanto ancora resiste. E quindi, sì. C’è anche la passione delle liste e dei cataloghi: ce lo diceva Luc Moullet. Alla fine vince chi possiede le liste migliori e i cataloghi più forti. Inteso come: non mera esibizione di oggetti accumulo MA come correlato oggettivo di un sapere, quindi di una tela affettiva, che una volta ci tenne in vita e che si trasmette con la tenerezza un po’ snob del pusher che non vuole saperne di smettere.

Only Lovers Left Alive. Un titolo che è un monito. Resta in piedi chi ama. Continua ad amare. Amare, azione transitiva, non può volgersi (solo) al passato. Non è un caso che quando Adam esce per la prima volta dopo tanto per andare in un locale, suonino i White Hills, gruppo krauto-drone scoperto da Julian Cope grazie a un audiocassetta carbonara. Come dire: il mondo va avanti. La musica si continua a fare, basta cercarla. Che è la stessa cosa che si può dire del cinema. Chi lo dice che il cinema è finito? Coloro che amano all’indietro e non riescono a guardare davanti a loro.

D’altronde il cinema, come la musica, è specie di escrescenza spontanea, come il Faust che Marlowe continua a scrivere anche se tutti pensano che lui sia morto. La letteratura, dunque, è cosa viva e vegeta, anche se nessuno saprà mai che è stata scritta, desiderata, amata. Come il cinema, oggi, d’altronde. Ed è questa produzione fantasma, che continua e avanza, a fare la differenza, ad alimentare l’amore e la necessità di andare avanti. Un To the Wonder continuo, inarrestabile.

Jarmusch si chiude nella stanzetta di Adam e viene in mente Brian Wilson: In My Room. Rispetto all’isolazionismo trascendentale di Wilson, oppone il risentimento di un angry decadent. Al fondo lui resta un punk, anche se della tipologia newyorkese, quelli dei suoni sbilenchi à la Del-Byzanteens (chi se li ricorda?). Come dire: sì, sono un snob cooler than thou ma è esattamente la qualità del gusto a fare tutta la differenza del mondo. Non siamo alle minuzie da detriti della società dello spettacolo. I correlati oggettivi che Jarmusch oppone all’avanzare della fine, della Terra desolata, sono oggetti e pensieri del gusto, della resistenza. Che fanno differenza, che tirano la volata alla vita.

Come dire che oggi, per amare davvero la vita, bisogna essere un po’ morti, perché il vitalismo produttivistico autoreferenziale, che riafferma il sistema unico delle merci e relativi disvalori, va negato proprio rifiutandosi di vivere in esso. Per dirla con Franco Fortini: “Non bisogna accettare il discorso, ecco tutto”.

E i vampiri di Jarmusch non lo fanno.

Al contrario di Miriam, loro non si svegliano a mezzanotte. Vivono lungo le coordinate dei Beat, tra Marlowe e Tangeri, e in sottofondo s’intuisce il serpeggiare ipnotico dei maestri di Jajouka mentre la gestione rievoca la lotta infinita di Burroughs con l’eroina.

Bisogna, insomma, morire agli occhi degli altri, degli zombi, per restare in vita. La visita guidata notturna a ciò che resta di Detroit, la società degli Holy Motors, è un lungo blues notturno come potrebbero averlo concepito gli MC5 e John Sinclair. Non c’è mai, però, vuota contemplazione della fine perché la fine è la premessa prima di Only Lovers Left Alive. Ci si muove nella fine. La fine è l’orizzonte stesso del film, del “nostro” film. Jarmusch offre delle istruzioni per l’uso: come usare la fine. Come viverci dentro.

Ed è un discorso strettamente qualitativo. A questo punto dei giochi non sono più ammesse debolezze del gusto. Incertezze estetiche. Perché, lo sappiamo, “sbagliare un’inquadratura per un regista è come sbagliare politica per un politico”. Ed è dal gusto che si articola dunque l’ultima resistenza. O meglio: dalla consapevolezza che un gusto c’è stato. Altrimenti si rischia di far la fine degli accademici. Il piacere e il gusto vanno portati al di qua della linea che separa oggetti e cose e solo vampiri possono portare in vita cose che altri reputano morte.

Jarmusch, con il suo film, il migliore dai tempi di Dead Man, va ben oltre i limiti del controllo di una poetica che a tratti sembrava come compiaciuta d’essere chiusa in se stessa. Con Only Lovers Left Alive prende una posizione schiettamente politica: si resta nella vita anche da morti altrimenti, come ammonisce la Nube di Cesare Pavese “la morte, ch’era il vostro coraggio, può esservi tolta come un bene. Lo sai questo?”