Nel corso del 2013, due film di non-finzione d'autore hanno raggiunto sale cinematografiche, pubblico e critica dando l'impressione dell'abbattersi di un'ondata che montava da lungo tempo. Leviathan di Lucien Castaing-Taylor e The Act of Killing di Joshua Oppenheimer, due potenti ricognizioni cinematografiche realizzate da intellettuali di Harvard con legami europei, hanno definitivamente persuaso cinefili e guardiani della cultura che il documentario è in grado di competere artisticamente al pari con le forme più compiute di finzione per lo schermo.

The Act of Killing, un documentario sperimentale che mescola in maniera innovativa arte e politica, ha procurato una tale, diffusa commozione da venire nominato agli Oscar (e ottenere di essere proiettato per i membri del senato americano addetti alle relazioni estere); Leviathan è stato accolto a ogni latitudine come una pietra miliare rivoluzionaria in grado di modificare definitivamente le regole del gioco sul piano estetico e tecnologico. Il loro successo, in un anno d'eccellenza per la non-finzione, testimonia di un cambiamento nella comprensione della forma documentaria, di un'inequivocabile "epoca d'oro" per il genere. Per quanto uno possa trovarsi d'accordo o meno con queste affermazioni iperboliche o persino non apprezzare i due film, è impossibile negare che sta accadendo qualcosa nel mondo del documentario.

Questo "qualcosa" è precisamente l'emergere di un approccio più cinematico alla pratica della non-finzione. Ma lo si può anche considerare un ritorno alle origini del documentario: tale modalità, infatti, ci riporta a un'epoca in cui realizzare film a partire dalla realtà non significava semplicemente propugnare una causa politica o puntare il faro su un'ingiustizia sociale.

John Grierson – colui che per primo coniò il termine "documentario" nel 1926 – può anche aver immediatamente associato la forma alle preoccupazioni sociali, ma film recenti come Super Size Me (2004), An Inconvenient Truth (2006), Waiting for Superman (2010) e l'intera opera di Michael Moore hanno eccessivamente calcato la mano su una forma di infotainment enfatizzante e a tesi basato su fatti presunti, immagini usa e getta e tecniche di montaggio furbe e stucchevoli. Prima che questi "reportage filmici" raggiungessero la ribalta, contribuendo a rafforzare nella mente di molti l'idea di ciò che dovrebbe essere un documentario, registi come Flaherty e Marker, Akerman, Benning, Guzmán, Wiseman e Kiarostami si erano impegnati a dare vita a un cinema del reale più ambizioso e coraggioso.

Leviathan e The Act of Kiling, dunque, segnano una sorta di regressione. Questa rivoluzione nel campo della non-finzione, in cui i cineasti non si fanno problemi a mettere in discussione l'idea ristretta che i documentari debbano essere in primis dei reportage giornalistici, può anche essere interpretata come il risveglio da parte di un pubblico interessato nei confronti di ciò che in realtà è stato a lungo parte rilevante del cinema d'autore. Il progressivo farsi avanti di questi film segna piuttosto l'avvicinarsi di critica e pubblico verso modalità di racconto eterodosse, caratterizzate da una propensione netta per la libertà formale e l'impollinazione incrociata di finzione e non-finzione.

Ma nella novità c'è qualcosa di nuovo: il pubblico ha cominciato ad accettare questi film perché a realizzarli è un gruppo di prodi cineasti armati di videocamere economiche e programmi di montaggio da tavolo, il cui lavoro viene visto e criticamente considerato come mai era successo in precedenza. In quanto documentarista io stesso, mi identifico fortemente con l'idea che si possa produrre un cinema narrativo e d'autore, libero ed energico, a partire dalla realtà catturata, e che tali film possano trovare un pubblico interessato. Negli ultimi 15 anni, grazie anche a cambiamenti radicali in campo estetico e tecnologico, e nella percezione di come i film vengono concepiti e realizzati, tali idee hanno provocato un'eruzione cinematica di larga scala.

PRIMA DELLA RIVOLUZIONE

L'arte della non-finzione risiede nella tensione dialettica tra la struttura (regia, riprese, montaggio) e il caos (gli eventi fortuiti della realtà) e la storia del cinema è colma di memorabili risultati ottenuti nel lavorare a contatto con la realtà. La proto-non-finzione cinematografica ha una lunga storia: i fratelli Lumière hanno inaugurato il cinema d'osservazione strutturalista, Robert Flaherty ha interagito con Nanook affinché la storia che raccontava fosse più appassionante e Luis Buñuel si è servito della voce onniscente del narratore in Terra senza pane (1933) ben prima che divenisse un cliché del documentario. Dziga Vertov ha trovato la sua verità (pravda) nel montaggio, Ichikawa Kon (Tokyo Olympiad, 1965) ha trovato il melodramma nella fisicità umana, da Portrait of Jason (1967) a Streetwise (1984) gli hustler americani hanno messo in scena astute rappresentazioni del sé e il lavoro di Frederick Wiseman in questo ambito non ha pari nella storia del cinema.

Nel 1992, con The Real World, MTV si è servita di un genere nato in Europa per abituare il giovane pubblico a comprendere l'arte della performance documentaria e che la finzione della realtà può diventare la forma di racconto più affascinante e viscerale. Nel 1994 Steve James ha realizzato la video-epica Hoop Dreams, dando prova del fatto che gli spettatori erano in grado di accorrere in massa a vedere un film anche senza il richiamo delle star e rafforzando l'idea che si potessero fare soldi per mezzo del documentario. Nel 1995 Sony ha messo in commercio la DCR-VX1000, una videocamera digitale a 3 chip in grado di produrre immagini di buona qualità a basso costo, trasformando un'intera generazione di cineasti in documentaristi.

Nel 1997, Werner Herzog ha realizzato Little Dieter Needs to Fly, il cui protagonista apre e chiude ripetutamente una porta prima di fare ingresso in una casa. Spiega allo spettatore che il tic è dovuto alla traumatica esperienza di prigioniero di guerra in Vietnam. Si tratta di una messa in scena organizzata dal regista e di cui lo spettatore non è consapevole (si sarebbe dovuto aspettare il commento audio del dvd per scoprirlo). Non è che un esempio dell'idea di "verità estatica" rintracciabile nei film del regista precedenti e successivi a questo, articolata a gran voce da Herzog ogniqualvolta avesse un documentario da promuovere. Lo stesso anno il Danish Film Institute ha cominciato a finanziare film (The Monastery: Mr. Vig and the Nun, Burma VJ: Reporting from a Closed Country, Armadillo, The Red Chapel e The Act of Killing) e Abbas Kiarostami ha vinto la Palma d'oro a Cannes con Il sapore della ciliegia, nel cui finale autoreferenziale compaiono lui stesso e la sua troupe, in una gloriosa celebrazione dell'approccio non-finzionale al cinema.

L'ANNO IN CUI ESPLOSE IL DV

Il 1998 è cominciato con la vittoria al Sundance del futuro regista di Hollywood Todd Phillips e del suo compagno della New York University Film School, l'enfant terrible Andrew Gurland, premiati con il Gran premio della giuria per la loro commedia nera documentaria Frat House. Entro la fine dell'anno, l'HBO, finanziatrice e potenziale broadcaster del film l'aveva sepolto sotto una montagna di accuse riguardanti l'aver messo in scena gli atti di nonnismo e dissolutezza che ne compongono l'ultima parte. Benché la diatriba non sia mai stata definitivamente chiarita, i dibattiti suscitati dal film riguardo la natura "infiammabile" della verità nelle opere di non-finzione scotta tutt'oggi.

Nel corso dello stesso anno, un altro futuro regista hollywoodiano dotato di un indubbio talento per il racconto visuale si è servito del nuovo modello della Sony, la VX2000, per realizzare un'altra pietra miliare del documentario lo-fi. The Cruise di Bennett Miller, in cui seguiamo la guida turistica di New York Timothy "Speed" Levitch a bordo di un autobus, passa liberamente dal dramma alla commedia, è populista nell'approccio e formalmente unico. Come Phillips, anche Miller nell'approcciarsi al documentario non pensava che avesse qualcosa a che spartire con l'indagine giornalistica. La natura cinematografica di The Cruise si rivela nei toni poeticamente comici ("alla Woody Allen") e nella complessa ma empatica descrizione del personaggio, oltre che nell'uso pittoricamente espressivo del bianco e nero digitale. Soprattutto, Miller ha spronato un'intera generazione a prendere in mano le videocamere più economiche per seguire i propri impulsi cinematici, ignorando i vecchi dettami su cosa sia o meno un documentario. Le innovazioni tecnologiche rendevano possibile il sogno di approdare al grande schermo. Dopo essere stato riversato in 35mm, The Cruise uscì nelle sale di tutto il Paese. Meno di un anno dopo la Apple mise in commercio Final Cut Pro. Era l'alba di un nuovo giorno.

UN EPOCA DI AMBIGUITÀ CINEMATOGRAFICHE

After Life, del regista giapponese Kore-eda Hirozaku, ebbe la sua prima insieme a The Cruise al Toronto International Film Festival del 1998 e la storia del film, autoreferenziale e meditativa – incentrata su un gruppo di anime perdute che ricreano versioni filmate dei propri ricordi più gioiosi a futura memoria – possedeva ciò che si potrebbe considerare un punto di vista non-finzionale. L'anno dopo, American Movie di Chris Smith, sulla realizzazione di un cortometraggio horror, fece sensazione nel servirsi di interpretazioni non-fittizie ottenute a stretta collaborazione tra regista e soggetti filmati. E sempre nel 1999, The Blair Witch Project ha incassato parecchi milioni di dollari servendosi della valenza realistica del digitale per terrorizzare le platee di tutto il mondo. E c'è gente ancora convinta che ciò che si vede nel film sia vero…

Poi, all'inizio del nuovo millennio, due film spartiacque realizzati da autori emergenti hanno avuto un impatto indelebile sul cinema mondiale. Entrambi intrecciavano finzione e non-finzione con austerità, rigore e una libertà salvifica e rivitalizzante. No quarto da Vanda del portoghese Pedro Costa (il suo primo film in video) venne mostrato al Festival del Film Locarno nel 2000, per essere immediatamente riconosciuto come un maestoso capolavoro. Lo stile ascetico del regista, il suo approccio osservazionale incredibilmente cupo sui tossicodipendenti della periferia di Lisbona hanno cancellato in un sol colpo la già sbiadita linea che separava cinema d'autore e cinéma verité grazie a una durata e a propositi artistici non compromissori. Il film poteva essere considerato una "docufiction" ma la verità è che i margini tra ciò che era reale e ciò che veniva messo in scena erano così profondamente intrecciati da rendere irrilevante la vecchia questione riguardo la fattualità o meno di ciò che si vedeva.

L'anno seguente, il film d'esordio dell'argentino Lisandro Alonso, La libertad – sottile e seducente ritratto di un giovane taglialegna che sotto la superficie d'osservazione si serve in maniera intelligentemente formale di tecniche drammatiche e performance consapevoli – venne proiettato a Cannes ed ebbe il merito di introdurre lo spirito della non-finzione nell'emergente "Nuovo cinema argentino". I due film, insieme al successo internazionale di Mysterious Object at Noon di Apichatpong Weerasethakul e allo snobbato En construccion di José Luis Guerin, si spingevano entusiasticamente oltre l'ortodossia che separa la finzione dalla non-finzione per sguazzare nell'ambiguità, nel mistero e in energie narrative sperimentali.

Nel marzo 2002 la serie The Century of the Self di Adam Curtis, trasmessa da BBC Four, e nel settembre 2003 Los Angeles Plays Itself di Thom Andersen e The Corporation di Mark Achbar e Jennifer Abbott vennero presentati a Toronto, guadagnando al film-saggio un nuovo pubblico. A dicembre Panasonic mise in commercio la AG-DVX100, una videocamera DV a basso costo in grado di produrre un'immagine straordinariamente cinematica a 23.98 fotogrammi al secondo, un rate assai vicino a quello in cui un tempo Godard diceva di aver trovato la verità cinematografica. La videocamera divenne immediatamente uno strumento imprescindibile per i cineasti documentari, da James Longley (Iraq in Fragments, 2006) ai fratelli Ross (Tchoupitoulas, 2012), me compreso.

Nel 2003, Wang Bing ha realizzato l'epico West of the Tracks (Tiexi Qu) e la comunità cinefila internazionale ha cominciato a riconoscere un movimento di non-finzione cinese in grado di offrire opere varie e diversificate come Oxhide di Liu Jiayin (2005) e Disorder di Huang Weikai (2009). Tra il 2004 e il 2005 il cinema austriaco, già scosso dal lavoro di Ulrich Seidl con opere fuori genere come Models (1999), divenne il centro dell'universo cinematografico non-finzionale con un trio di grandi opere: Darwin's Nightmare di Hubert Sauper, Workingman's Death di Michael Glawogger e Our Daily Bread di Nikolaus Geyrhalter.

Nel momento in cui Werner Herzog ottenne un sorprendente successo con Grizzly Man (2005), una diffusa pratica internazionale aveva trasformato la sua massima sulla "verità estatica" (a difesa della possibilità di manipolare la realtà per creare del cinema) da discorso esoterico di un singolo regista in un concetto messo in atto colletivamente. I film che rompevano le antiquate regole del documentario ora trovavano finanziamenti e distribuzione, specie in Europa e in altre parti del mondo, soprattutto se facevi Herzog di cognome.

I FESTIVAL E LE FRONTIERE AMERICANE

Il Danish Film Institute ha organizzato il primo festival CPH:DOX nel 2003 e l'anno dopo ha preso il via il True/False Film Fest a Columbia, in Missouri. Il primo, nel 2009, ha tributato il premio principale per il documentario a Trash Humpers di Harmony Korine, un'opera decisamente di finzione, e il secondo è diventato un festival di rilevanza internazionale trasformando in missione curatoriale l'idea di sondare i confini tra realtà e finzione. Nel 2006, festival storici come Locarno, DOK Leipzig, IDFA, Hot Docs, Full Frame, Berlinale Forum, Sheffield Doc/Fest, Karlovy Vary e altri più recenti come FidMarseille, Visions du Réel, BAFICI e Ambulante avevano ormai dato vita stabilmente a una rete fatta di cineasti, critici e spettatori in grado di agire come incubatrice di idee e persino trasformarsi in piattaforma di diffusione per le opere formalmente più inventive. Tale sottocultura interconnessa costituisce oggi una delle parti più vitali dell'attuale comunità documentaria.

L'elenco di ambiziosi film di non-finzione, finanziati, prodotti e distribuiti negli ultimi anni con il supporto di festival e fondi internazionali è lungo e varia da The 3 Rooms of Melancholia di Pirjo Honkasalo (2004) a Below Sea Level di Gianfranco Rosi (2008), da The Autobiography of Nicolae Ceausescu di Andrei Ujica (2010) a The Arbor di Clio Barnard (2010) e Le quattro volte di Michelangelo Frammartino (2010). Ma negli USA, dove in rapporto il sostegno è stato infinitamente minore, singoli e gruppi sono stati costretti a trovare altre modalità per realizzare le proprie opere e far sì che avessero visibilità e diffusione.

Nel 2007, in un momento in cui la cultura dei festival assurgeva a diventare ciò che è oggi, Lucien Castaing-Taylor e altri si sono impegnati a indirizzare parte delle risorse di Harvard nella creazione del Sensory Etnography Lab, che ha poi dato vita a un sottogenere a sé con film quali Sweetgrass (di Castaing-Taylor e Ilisa Barbash, 2009), Manakamana (di Stephanie Spray e Pacho Venez, 2013) e, ovviamente, Leviathan. Il SXSW Film Festival di Austin si è affermato come la principale vetrina americana per le opere di non-finzione, attribuendo i premi principali per il documentario a opere di assoluta rilevanza come Billy the Kid di Jennifer Venditti (2007), 45365 di Bill e Turner Ross (2009) e Marwencol di Jeff Malmberg (2010). Lì come altrove, gli alfieri di una nuova generazione di cineasti hanno raccolto il testimone di Bennett Miller, cominciando a filmare in autonomia con la propria videocamera.

Accorgendosi della discrepanza tra quanto stava accadendo nel campo del documentario e lo scarso riscontro riservato ad esso dal più ampio panorama cinematografico, A.J. Schnack (a sua volta autore di film come Kurt Cobain: About a Son) ha contribuito a lanciare l'annuale Cinema Eye Honors nel 2008 allo scopo di celebrare l'arte documentaria. Nel 2011 il premio principale venne assegnato all'elusivo artista inglese Ralph Bansky per il suo Exit Through the Gift Shop, un'opera che ha colpito a fondo per l'abilità di esplorare la fuggevolezza della verità cinematografica.

Contemporaneamente, Laura Poitras realizzava opere di giornalismo documentario dall'alto valore cinematografico come My Country, My Country (2006) e The Oath (2010); The Order of Myths di Margaret Brown (2008) era altrettanto seducente e ambiguo di La libertad; film come Beetle Queen Conquers Tokyo di Jessica Oreck (2010) e October Country di Michael Palmieri e Donald Mosher (2009) divennero tra i favoriti dei festival perché si opponevano alla tendenza all'infotainment cui era ormai abituato il pubblico americano del documentario. Nel 2012 Jason Tippet e Elizabeth Mims conquistarono i cinefili di ogni parte con il tenero, apparentemente semplice ma radicalmente originale, Only the Young.

La non-finzione cinematografica è definitivamente sbarcata in America e oggi è un movimento di rilievo. Il successo di The Act of Killing e Leviathan ha legittimato la consapevolezza che non viviamo più in un mondo regolato da ortodossie documentarie. Artisti e narratori visuali vedono ormai la non-finzione come la strada da percorrere per esprimere se stessi; la sperimentazione e l'ambigua mescolanza di finzione e non-finzione è ormai pratica comune. Il puro e semplice reportage è morto a favore di un più articolato gioco formale e il pubblico, conscio di quanto è successo negli ultimi 15 anni, attende di vedere cosa accadrà in seguito.

(testo pubblicato originariamente su Sight & Sound, settembre 2014; tradotto da Alessandro Stellino per gentile concessione dell'autore)