Per qualche giorno, subito dopo lo scorso Natale, è infuriata in rete – o meglio: su facebook – un’accesa discussione che ha coinvolto cinefili, critici, giornalisti, appassionati, in un susseguirsi di botta e risposta a distanza o sulla bacheca di chi si era schierata/o pro o contro. Il casus belli: la comparsa, su un noto sito di streaming e scaricamento, di una versione sottotitolata in italiano di The Hateful Eight, l’ultimo film di Quentin Tarantino, in anticipo di oltre un mese rispetto alla sua prevista uscita nelle sale italiane. In tanti hanno colto la palla al balzo, vedendolo il giorno stesso (sul proprio computer? sullo schermo di casa? poco importa) e commentando la visione con il consueto apparato di entusiasmo o dileggio che ormai da tempo testimonia della necessità di doversi dichiarare a caldo sui social network a fine visione (quando non durante). Altri, forse ancora all’oscuro delle modalità di facile reperimento e approvvigionamento cinematografico proprie di questi tempi, o più semplicemente urtati dall’idea che un film western di quasi tre ore girato in Ultra Panavision 70 – un formato spettacolare brevemente in voga intorno alla metà degli anni ’60 (quello utilizzato da George Stevens in La più grande storia mai raccontata, per intenderci) – venisse mortificato su un piccolo schermo casalingo, hanno gridato allo scandalo, agitando virtualmente il dito contro coloro che avevano avuto tanta fretta, ribadendo che avrebbero atteso pazientemente l’uscita “ufficiale” del film, al fianco del regista nella lotta in difesa della pellicola e della “giusta” visione. Negli stessi giorni, anche Carol di Todd Haynes era disponibile sullo stesso sito, anch’esso in netto anticipo sulla distribuzione italiana del film, ma nessuno si era sognato di sollevare un tale polverone; né, in precedenza, era accaduto niente di simile a difesa di The Master o Interstellar, altri film girati in 70mm negli ultimi anni.

Ad ogni modo: nemmeno quarantotto ore dopo, il dibattito, come è consuetudine sui social network, si spegneva. Qualcuno aveva segnalato la reperibilità del torrent di Knight of Cups, il film di Terrence Malick passato a Berlino un anno fa (febbraio 2015) e ancora privo di distribuzione nel nostro paese. Che fare? Mortificare anche Malick o attendere speranzosi? Per quanto tempo ancora? E come affiancare nella sua battaglia a favore della degna distribuzione in sala uno dei massimi registi dei nostri tempi? Ha più colpa colui che, scaricato il torrent, lo riversa su un hard disc per collegarlo a un’uscita USB o HDMI del proprio televisore 40” full hd o colui che lo tiene in ostaggio da mesi rimandandone l’uscita?

Vinse la curiosità, e come avevamo visto The Hateful Eight vedemmo Knight of Cups, in lingua originale sottotitolata, comodamente accovacciati sul divano di casa, in accorato silenzio, la sola luce dello schermo a illuminare la sala. Uno dei due film ci annoiò, l’altro ci commosse, e chi siete voi per dire che abbiamo visto “sbagliato”?

1989. Il primo valzer

Parigi, gita scolastica. In un negozietto, trovo le VHS di Don’t Look Back e The Last Waltz e le compro, per amore di Bob Dylan, prima ancora di sapere chi erano Pennebaker e Scorsese. Tornato a casa le guardo ripetutamente, ossessivamente. Decine e decine di volte. Senza sapere che lo standard francese, il SECAM, viene letto in bianco e nero dai videoregistratori PAL. Lo scopro solo molti anni dopo, quando compro il dvd di entrambi i film: il primo è ancora in bianco e nero e in 1.33:1, l’altro sfoggia una lussureggiante fotografia widescreen a colori (la giacca di Van Morrison è bordeaux!). Fu una rivelazione, ma ai miei occhi il film non divenne migliore. Anzi: provai un sottile senso di delusione, quasi fossi stato tradito. Per me il vero film era l’altro. Questa non era che una sua copia tirata a lucido; e nel formato panoramico i musicisti erano come più lontani, il momento in cui a Eric Clapton si stacca la tracolla durante l’assolo meno spiazzante, e meno drammaticamente intenso il volto tirato di Robbie Robertson sul finale di The Night They Drove Old Dixie Down. A volte mi chiedo dove sia finita quella videocassetta SECAM comprata a Parigi a 17 anni, ma penso che se anche la trovassi non vorrei rivedere il film che contiene.

1991. Il diavolo, probabilmente

Lo ricordo come uno degli ultimi dell’anno peggiori di sempre. Litigi e depressioni post-adolescenziali, rifiuto esistenzialista delle feste comandate. Mi trovavo in una località di mare e fuori infuriava il maestrale, si sentivano i botti per le strade e non avevo voglia di uscire, stare in mezzo alla gente. Accesi la televisione: musica, balli, canzoni. Che schifo. Su Raitre una donna si immerge nella vasca da bagno. Primo piano: il suo sguardo è fisso, vacuo. La messa a fuoco cambia e davanti ai suoi occhi, sul bordo della vasca, si materializza un rasoio. Lo prende. Ora sono a fuoco le mani, insieme al rasoio, sollevate davanti al volto. Estrae la lametta. L’inquadratura cambia, laterale, per qualche istante. Poi un dettaglio del polso sinistro, inciso lentamente. Ancora il volto della donna in primo piano, la fronte lievemente corrugata. Inquadratura nuovamente laterale, la lametta che passa da una mano all’altra. Il dettaglio ancora più ravvicinato dell’incisione sul polso destro, da cui fuoriesce un denso liquido scuro. Primo piano: la donna serra gli occhi. Dal polso il sangue cola nell’acqua. Ripresa dall’alto: la donna adagia le braccia sul ventre mentre la superficie della vasca si tinge di rosso. Inquadratura laterale: la donna inclina il capo, lo sguardo fisso, immobile. La macchina si allontana lentamente, lasciando il volto reclinato in una striscia di luce ritagliata tra gli stipiti della soglia. Forse era uno zoom, o un carrello all’indietro, all’epoca non avrei saputo dire. Pensai solo che fosse un film perfettamente adeguato a come mi sentivo. Ma la scena si interruppe a questo punto e cominciò un altro film. A lungo mi chiesi di che film poteva trattarsi: doveva essere il finale di un horror, angosciante, forse misconosciuto. Anni dopo, quando cominciai a occuparmi di cinema, raccontai la sequenza nel dettaglio ad amici appassionati, ma nessuno sapeva aiutarmi. Doveva essere Cronenberg, pensai a un certo punto, uno dei suoi primi film. Vidi Rabid, Brood, Shivers, ma della scena in questione non c’era traccia. Passarono anni prima di scoprire che si trattava dell’incipit di un film porno, uno dei più noti. Quando vidi The Devil in Miss Jones per intero rimasi deluso: niente poté convincermi che quei pochi minuti iniziali non appartenessero da un altro film, quello che mi ero immaginato io.

1997. Perché la notte

Si puntava la sveglia nel mezzo della notte. Lo facevamo in tanti. Una o due VHS a portata di mano, meglio se da 240. La speranza di non aver sbagliato nel digitare data e orario. Che il timer ci assista, che il programma non cominci in ritardo. L’angoscia della mattina dopo, nello scoprire che la sigla con la donna nell’acqua arrivava a due ore inoltrate della registrazione. Il conto alla rovescia durante l’introduzione fuori sincrono di Ghezzi, per capire se almeno uno dei film l’avessimo “preso”. Per tanti di noi, erano anni di riscoperta della “serie b”, non solo il cinema di genere italiano, ma Jesús Franco, José Mojica Marins, “marginali” che Fuori Orario consacrava autori insieme ai De Oliveira, ai Rivette. Negli Stati Uniti la Anchor Bay cominciava a distribuire in DVD i film della Hammer, in Italia non ce n’era traccia. E dunque, 2 di luglio: 3 ore e 59 di programmazione per riuscire a registrare Gli strangolatori di Bombay e Le amanti di Dracula, o almeno uno dei due. A seguire Il mistero della mummia e Dracula il vampiro. Punto sulla prima accoppiata e vado a dormire. Qualcosa va storto. Al mattino riavvio il nastro: il ciclo è cominciato in anticipo o ho miseramente sbagliato a programmare il timer, una delle due. Sono tronchi sia Gli strangolatori che Le amanti. Merda. Ma, nel mezzo: Distruggete Frankenstein!, forse il miglior film in assoluto di Terence Fisher, trasmesso senza preavviso e, soprattutto, senza titoli di testa e di coda. La delusione è parzialmente riscattata; gli altri film me li farò copiare dall’amico Kurtz. Lo chiamo: “ho registrato tutto”, conferma. Molto più organizzato di me, l’amico Kurtz. “Come mai quel film, nel mezzo?” chiedo. “Non avevano i diritti per trasmetterlo, immagino, e l’hanno passato come spezzone”. Lunga vita a Fuori Orario. Uno spezzone ci salverà.

1999. La fortezza espugnata

Dopo Heat – La sfida, Michael Mann è il regista americano che più amiamo (parlo ancora al plurale perché eravamo in tanti a pensarlo e a scriverlo). Per trovare qualcuno che si fosse misurato con l’action con la stessa maturità, forza e consapevolezza bisognava guardare indietro di vent’anni, o forse a oriente. The Insider ci fa (ri)scoprire la profondità di campo e la semi-soggettiva, poi arriverà Ali, con le prime riprese in video, poi la transizione definitiva al digitale di Collateral. Si va a ritroso a recuperare i film precedenti, non solo Manhunter, capolavoro indiscusso del cinema dei serial killer, ma anche Strade violente e La corsa di Jericho, esordio realizzato per la TV nel 1979 e miracolosamente distribuito in videocassetta in Italia da Futurama. Manca all’appello The Keep – La fortezza. Qualcuno l’ha visto in TV, ma potrebbe essere leggenda (c’è gente che si vanta di aver visto film introvabili, a volte inesistenti). Scrivo a un amico americano, anche lui fan di Mann. Mi risponde: “ce l’ho, in laserdisc”. Me ne fa una copia, che infilo nel VCR appena arriva. Qualità eccelsa, non fosse che il formato è NTSC e il mio lettore lo deforma schiacciando l’immagine. Il 2.35:1 diventa 2.40:1 o forse qualcos’altro. Chissenefrega, la composizione dell’inquadratura è come sempre magistrale, la storia folle, e quell’infinito movimento all’indietro nell’oscurità che inghiotte la creatura il colpo decisivo. È la conferma che Mann non sbaglia un colpo. Nel 2011, The Keep figura ancora in una lista dei 15 film che mancano all’appello in dvd, insieme a The Last Movie di Hopper e Last Summer di Frank Perry. Oggi (febbraio 2016) è ancora così: ho masterizzato The Last Movie in dvd da una copia VHS NTSC mandatami da un tizio che viveva in Florida una decina di anni fa (Mark Johnston aka Shocking Video, di cui ho perso traccia – in rete ho trovato informazioni di una causa per pirateria); Last Summer l’ho scaricato dalla rete perché ho perso la vecchia copia registrata da Raitre che mi aveva passato il solito amico Kurtz; The Keep è ancora su quella vecchia VHS NTSC in un lettereboxed deformato che, a tutt’oggi, è il modo migliore per vederlo. Forse l’unico.

2003. Un domani migliore, oggi

Nel 1999 esce un libro che ci spalanca un mondo sconosciuto: Tutto il cinema di Hong Kong di Alberto Pezzotta. È una bibbia: scopriamo una cinematografia che fa un boccone unico della produzione occidentale, eclettica, sfaccettata, capace di sperimentare a livello popolare e commerciale, dove la commistione dei generi è pane quotidiano, ogni anno si rivelano nuovi attori, sceneggiatori, registi. Avevamo annusato qualcosa grazie a John Woo e Wong Kar-wai, ma non avevamo idea che si trattasse solo della punta di un iceberg. Qualcuno si mette a studiare il cantonese, impariamo decine e decine di nomi, per scoprire anni dopo che li pronunciavamo male. Si smerciano senza tregua VHS di terza generazione, DVD e VCD comprati in rete su Sazuma o YesAsia, o a Milano in Via Sarpi: ecco i melodrammi di Stanley Kwan, il lirismo drammatico di Ann Hui, l’approccio visionario di Tsui Hark, la new wave pop e nichilista di Patrick Tam, City on Fire di Ringo Lam copiato da Tarantino e Long Arm of the Law del precursore Johnny Mak, il talento comico di Stephen Chow, persino mestieranti come Wong Jing mangiano in testa ai registi americani di cassetta. Intanto, al Far East di Udine veniamo folgorati da A Hero Never Dies e The Mission di Johnnie To, The Ring di Nakata, Bad Guy di Kim Ki-duk, l’ultimo, bruciante film del regista coreano prima di una progressiva e inarrestabile discesa nel compiacimento autoriale in ossequio al gusto festivaliero. Al volgere del millennio non c’è più storia, ma qualcuno, pochi anni dopo, scriverà che il cinema di Hong Kong è morto, quando gli effetti dell’handover cominceranno davvero a farsi sentire. Nel mentre scopriamo la Corea del Sud: Tell Me Something, Shiri, Memento Mori, Oasis, Friend, Peppermint Candy, JSA – Joint Security Area, tutti realizzati nell’arco di un paio d’anni (1999-2001). La fiamma andrà spegnendosi lentamente, ma non il senso di rivelazione proprio di quelle visioni imperfette, quando non al limite della comprensibilità. Prima della versione “redux” presentata a Cannes nel 2008 (e successiva uscita in DVD), Ashes of Time di Wong Kar-wai circolava in una pessima copia VHS che rendeva ancora più fulgida la sua unicità; per non parlare di Love Massacre e Burning Snow di Patrick Tam, entrambi visti in cassette di qualità infima, copia della copia della copia, uno dei due senza nemmeno i sottotitoli. Anche questo era (è?) possibile: non capire quasi niente della trama, con la certezza di aver visto un capolavoro assoluto.

2009. Fuori campo, a pezzi

Non esistono romanzi minori di Faulkner, così come non esistono film minori di John Ford. Forse anche per questo dai romanzi di Faulkner non si possono trarre film all’altezza. James Franco continua a provarci, inutilmente, visto che nemmeno Douglas Sirk c’è riuscito. Se leggete Santuario a diciassette anni, la scena dello stupro della protagonista con una pannocchia si trasforma immediatamente in una scena primaria, non c’è bisogno di un adattamento cinematografico per visualizzarla. Eppure tal Stephen Roberts nel 1933 portò il romanzo sullo schermo con il titolo The Story of Temple Drake e la deliziosa Miriam Hopkins nel ruolo della protagonista. Sono gli anni della Hollywood “pre-code” (la breve era di lassismo morale prima che il pruriginoso codice censorio stilato da W. Hays nel 1929 entri definitivamente in vigore nel 1934), quindi ci potrebbe scappare anche qualcosa di “grafico”. Ma il film non si trova: distribuito all’epoca in Italia con il titolo di Perdizione finisce nel limbo dei dimenticati, in DVD non si trova da nessuna parte del mondo e nemmeno in rete. Solo su Youtube, in lingua originale e diviso in otto parti di una decina di minuti ciascuna. Lo si può guardare così, con una pausa di qualche secondo tra i vari segmenti, oppure scaricando le singole parti con l’ausilio di uno dei tanti programmi ad hoc, per poi montarle insieme con l’ausilio di un altro dei tanti programmi ad hoc. Al ché lo guardate sul computer o lo caricate su una USB e lo vedete in TV. La qualità non è il massimo e il film è modesto, naturalmente. Ma almeno potrete avere conferma una volta di più che quando il cinema si cimenta con Faulkner in maniera letterale produce solo opere dozzinali. E, nonostante il “pre-code”, la scena dello stupro con la pannocchia resta inevitabilmente fuori campo. Anzi, della pannocchia non si fa nemmeno menzione.

2013. Un’altra persona

Mi imbarco in una missione eroica: vedere tutto Bergman per il Dizionario dei film di Paolo Mereghetti. Scopro che anche di Bergman non esiste un film minore, impazzisco per L’ora del lupo, Il rito e Un mondo di marionette. Il compito più difficile: riscrivere la scheda di Persona. Per fortuna i film sono stati distribuiti in DVD in Italia dall’emerita BIM, anche se non c’è la possibilità di vederli in lingua originale sottotitolati (peccato!). Alcuni me li passa “il Mereghetti” stesso (che non li riavrà mai più indietro), altri li compro a 5 euro al Libraccio, usati, o ancora avvolti nel cellophane. Rivedo il film: magistrale, anche se resta fuori dalla cerchia dei preferiti. In quel periodo coltivo l’idea di far tradurre a un’amica greca di stanza a Londra alcuni testi di critica cinematografica militante “al femminile” per questa rivista. Immagino che abbia già visto Persona ma, com’è d’uso, vado a cercare su Youtube lo spezzone della confessione di Bibi Andersson alla silente Liv Ullman per condividerlo con lei. Lo trovo: in svedese sottotitolato, perfetto! Lo guardo per vedere che ci sia tutto e – incredibile – quello che Bibi Andersson dice in questo spezzone su Youtube non ha niente a che vedere con quello che dice sul DVD. Qui si parla di fare pompini a estranei su uno scoglio, mica di scambiarsi carezze… E al ritorno a casa non è felice di tornare dal marito, senza colpa: è infelice, perché ha maturato la consapevolezza di un matrimonio che non la soddisfa. Chiedo a “il Mereghetti” se era al corrente della cosa. “Del caso specifico, no”, mi dice, “ma non mi stupisce: a distribuire i film di Bergman in Italia erano quelli della San Paolo…”. Morale: la distribuzione su Youtube è filologicamente corretta, quella in dvd BIM no. Attenzione al doppiaggio!

[continua]