Benché data per morta nel 1996 – l’anno di The Decay of Cinema, di Susan Sontag – la cinefilia nell’ultimo decennio è stata al centro di un dibattito teorico e critico vivace, che ha ben poco dell’elogio funebre. Lo dimostra l’alto numero di pubblicazioni sull’argomento uscite a partire per lo meno dal 2003, anno del volume collettaneo curato da Adrian Martin e Jonathan Rosenbaum, Movie Mutations: The Changing Face of World Cinephilia, seguito qualche anno dopo da un’altra raccolta, a cura di Marijke de Valck e Malte Hagener, Cinephilia: Movies, Love and Memory, e dal fondamentale studio di Christian Keathley Cinephilia and History, Or the Wind in the Trees[1], a cui si aggiunge alla fine del 2014 The New Cinephilia, di Girish Shambu. Shambu riparte proprio da Sontag, sottolineando la specificità categorica di quella cinefilia che per l’intellettuale statunitense si avviava al tramonto (una cinefilia che si consumava soltanto in sala, e di fronte un cinema non ancora assoggettato alle necessità dell’industria), e delinea invece i tratti costitutivi di una nuova cinefilia, quella contemporanea, che trova nei nuovi media inedite possibilità di incontro e di condivisione. Il volume, un testo agile ma allo stesso tempo denso, propone una disamina di ampissimo respiro sulle numerose questioni che un argomento ‘imprendibile’ come la cinefilia solleva. Si tratta di un saggio in senso adorniano: non un lavoro dalla struttura argomentativa rigida e rigorosa del testo scientifico per come, sempre più di frequente, siamo abituati a concepirlo, ma uno scritto che procede per associazioni, per frammenti che “si intrecciano l’uno con l’altro come in un tappeto”[2].

Per Shambu ci troviamo davvero di fronte a un’ulteriore declinazione della cinefilia, ma ciascun elemento di novità si chiarisce solo in funzione del confronto con le forme del passato. Non potrebbe essere altrimenti, visto che a suo parere la cinefilia è un fenomeno storicamente e culturalmente situato, per cui sarebbe più corretto parlare di ‘cinefilie’, come sostiene anche Adrian Martin: “la cinefilia è una «macchina da guerra», tattica e culturale. Si tratta sempre di una guerra diversa e quindi di un assetto diverso, dipende da dove ci si trova, e in che momento storico, da chi sono gli alleati e chi i nemici”[3]. Ma questa nuova cinefilia dialoga con la sua storia, è una cinefilia ‘espansa’, non un radicale ripensamento ma piuttosto una prosecuzione di un percorso, una nuova esperienza cognitiva e affettiva che risponde, comunque, alle esigenze di condivisione sensibile e intellettuale che alimentava tanto la militanza dei critici dei «Cahiers» quanto le discussioni che oggi avvengono sui blog e sui social.

Per questa ragione il percorso tracciato da Shambu è caratterizzato da dicotomie, tensioni, slittamenti. Fra le numerose questioni affrontate, quella del rapporto fra cinefilia e memoria: se il dibattito intorno al film e l’esercizio della scrittura servivano in passato anche a fissare nella memoria un’esperienza di visione, oggi che i film sono “eternamente presenti” grazie ai supporti digitali il cinefilo ha un territorio ancora più vasto – l’agorà digitale – da battere in cerca di letture e dibattiti che arricchiscano continuamente la sua esperienza di un film. Allo stesso tempo, la maggiore accessibilità e visibilità dei film libera la critica dalla necessità di descrizione: qui Shambu fa riferimento a nuove forme critiche che si avvalgono proprio delle immagini – videosaggi, tumblr dedicati al cinema – per sperimentare nuove modalità di ‘scrittura per immagini’ e di condivisione.

Altrettanto centrale la dicotomia fra cinefilia e accademia, fra scrittura critica e scientifica: il divario fra i due mondi è ancora presente, malgrado siano numerose le figure che fanno “da ponte” tra l’una e l’altra attività, ed è troppo spesso alimentato più dal pregiudizio che non dalle finalità effettivamente differenti. Per Shambu, invece, la teoria nutre e rivitalizza la critica, almeno quanto la militanza e la non scientificità della critica possono insegnare alla teoria “an openness to uncertainty, an embracing of a tentativeness of approach”[4]. Del resto, The New Cinephilia, come si è detto, è un saggio che si regge completamente su questo equilibrio: le numerose letture e suggestioni teoriche che Shambu propone sono paragrafo dopo paragrafo la ‘scintilla’ da cui scaturiscono le riflessioni dell’autore, che riesce a coniugare spunti teorici e suggestioni poetiche, a sintetizzare con chiarezza le questioni cruciali del dibattito integrandole con le esperienze personali. L’evidenziare gli elementi di continuità in esperienze variegate, geograficamente e storicamente distanti, e il tentativo di far dialogare la cinefilia dell’appassionato con quella dello studioso, “all the attempts at boundary-crossing and bridge-building”[5] insomma, non devono però trarre in inganno: The New Cinephilia è un testo militante, il cui scopo non è solo quello di conciliare posizioni divergenti, ma anche quello di promuovere una cinefilia engagée, le cui battaglie non si giochino soltanto sul terreno del gusto, della promozione e della diffusione di una (o di molteplici) idee di cinema, ma più in generale sul tentativo di fare delle immagini (non solo di quelle “artistiche”) un catalizzatore, uno strumento di dialogo e di confronto fra cinefili e non cinefili per spingere verso il cambiamento sociale. Non si avrebbe torto a considerare questa visione eccessivamente ottimista: del resto è lo stesso Shambu, con molta ironia, ad ammettere di aver fatto una scelta di campo, decidendo di mettere in luce le potenzialità e non le criticità della cinefilia al tempo della rete (“It is undoubtedly true that a chronicle of the problems, pitfalls and disillusionments of today cinephilia could provide enough material for a whole other project”[6]). Una scelta che in alcuni momenti può apparire una vistosa omissione: mi riferisco, in particolare, alla questione della visibilità in rete. Il cinefilo dell’era digitale trova in effetti il proprio appagamento nell’essere seguito e letto da altri appassionati, e ha in questa visibilità la motivazione per un impegno tante volte del tutto gratuito. Ma certamente la questione dei link, degli accessi a blog e siti internet, dei like su Facebook non è indifferente rispetto al modo in cui la critica e la cinefilia online prendono e mutano forma. Il numero di commenti o like è troppe volte determinato dall’opinione forte, dalla provocazione, dal gusto, e da nozioni come quella di autore cinematografico, logora e spesse volte usata a sproposito, che sono continuamente brandite dai vari schieramenti senza mai essere ripensate, ridiscusse, rivitalizzate. Mentre proposte di lettura più trasversali, di ampio respiro, che non cerchino solo di confermare o sfidare un’opinione ma che tentino invece di aprire a nuovi campi di indagine, finiscono per risultare, appunto, meno visibili in un sistema, quello della rete, il cui funzionamento rispecchia gli squilibri e le diseguaglianze che Shambu chiede ai cinefili di combattere. Ma l’attenta osservazione e l’analisi delle ‘buone pratiche’ online condotta in The New Cinephilia ne fa comunque un testo essenziale proprio per la ricchezza di modelli virtuosi.

Per Adrian Martin “quella della cinefilia è la storia di centinaia di rivoluzioni fallite”[7], mentre Shambu si affida all’utopia di una cinefilia che possa farsi strumento di dialogo e perfino di cambiamento. Due punti di vista antitetici, ma che forse trovano il loro punto di incontro nelle parole di un altro cinefilo, Martin Scorsese. Alla fine di Viaggio nel cinema americano il regista dice che “i film soddisfano un’esigenza spirituale. Le persone devono condividere una memoria comune”. Forse è questa la sfida che si può ancora combattere: far sì che il cinema continui a essere un patrimonio e una memoria condivisa.


[1] Adrian Martin, Jonathan Rosenbaum (eds.), Movie Mutations: The Changing Face of World Cinephilia, BFI, London 2003; Marijke de Valck, Malte Hagener (eds.), Cinephilia. Movies, Love and Memory, Amsterdam University Press, Amsterdam 2005; Christian Keathley, Cinephilia and History, Or the Wind in the Trees, Indiana University Press, Bloomington 2006.

[2] Theodor W. Adorno, Il saggio come forma, in Note per la letteratura. 1943-1961 [Noten zur Literatur, Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main 1958 e 1961], Einaudi, Torino 1979.

[3] Adrian Martin, La cinefilia è una macchina da guerra, in Daniela Persico, Alessandro Stellino (a cura di), Cinema is Not Dead, We Are – Filmidee vol. 1, Agenzia X, Milano 2015.

[4] Girish Shambu, The New Cinephilia, Caboose Book, Montreal 2014, par. 10 [ebook].

[5] Ivi, par. 16.

[6] Ibidem.

[7] Adrian Martin, La cinefilia è una macchina da guerra, cit., p. 45.