«Un’immagine non è mai sola»: è partendo dalle illuminanti parole dello stesso Sylvain George che si può provar a ragionare sul suo cinema e, soprattutto, sulla sua personale idea di cinema. L’immagine non è sola perché quello dell’autore francese è un approccio fondamentalmente dialettico, che mira alla complessità del reale, consapevole di un «tutto» che sfugge, per natura, a quei limiti che una storia o una semplice immagine impongono. Ma soprattutto, ciò che traspare dalla parole del regista francese nell’intervista rilasciata qualche anno fa proprio su queste pagine [https://www.filmidee.it/article/200/article.aspx], è una concezione cinematografica precisa e articolata, attenta tanto alle questioni etiche che un documentario d’attualità comporta quanto alle ragioni estetiche che esso deve perseguire. Un’idea precisa perché maturata nel tempo, dopo anni di studi e riflessioni, alla ricerca di un proprio personale percorso artistico. Determinante per il regista è stato l’incontro con la filosofia, e in particolare con il pensiero di Walter Benjamin. Un’influenza che non si limita agli aspetti più evidenti – le citazioni e gli estratti presenti nei suoi lavori, assieme a quelli di altri autori da lui molto amati, come Arthur Rimbaud e Lautrémont – ma che è da ricercarsi più in profondità. È, infatti, sul rifiuto di una concezione positivista di progresso e di Storia (come sostenuto da Benjamin nel celebre testo Tesi di filosofia della storia) che George concepisce i propri lavori. Ogni tentativo di rappresentazione di una storia è falso. Al limite, si può provar a cogliere un divenire non lineare, strettamente connesso all’azione, alle mutazioni, al cambiamento. Ed è proprio da qui che, come vedremo, scaturisce l’interesse di Sylvain George per alcuni episodi, cruciali e significativi, dell’Europa di questo decennio.

Già al suo primo lungometraggio, L’impossible – Pages arrachées (2009), Cristina Piccino aveva inquadrato perfettamente il cinema di George, caratterizzato da «una ricerca formale che è, appunto, militanza politica»; un cinema che non si limiti alla denuncia ma che, piuttosto, «sposti l’uso critico dei propri sistemi di percezione» [1]. Da qui, tutta una serie di soluzioni formali che, di film in film, costituiscono un universo coerente e compatto, immediatamente riconoscibile, fatto di immagini e situazioni ricorrenti – pensiamo al dettaglio dei polpastrelli delle dita, sfregiate per impedirne l’identificazione. Così come ricorrente è, per George, la frequentazione di alcune precise tematiche, in particolare l’immigrazione e, come nel caso del recente Vers Madrid – The Burning Bright (2014), le contestazioni giovanili durante le manifestazioni. Ad oggi, dunque, quattro lungometraggi – finalmente disponibili da aprile per il mercato home video francese, in due DVD, grazie al lavoro della Potemkine Distribuzioni – che nonostante la loro intrinseca natura di work in progress definiscono in maniera lucida l’opera di quello che è, con tutta probabilità, uno dei nomi più interessanti del documentario europeo.

C’è però da fare una precisazione: quelli di Sylvain George non sono solo, o semplicemente, dei documentari in senso stretto. Come scrive infatti uno dei più appassionati sostenitori del regista, ovvero il filosofo francese Jacques Rancière, «Ce n’est pas un documentaire, mais le résultat d’un travail de recherche, de présence, de formulation, de formulation qui change»[2]. Benché interessato a determinati temi politici  dell’attualità – in particolare, alla situazione precaria di quegli emigranti che, cercando di raggiungere l’Inghilterra, restano bloccati nella città di Calais: un argomento comune sia a Qu’ils reposent en révolt (Des figures de guerres I) (2010) che al successivo Les Éclats (Ma gueule, ma révolte, mon nom) (2011) – quello di George non è un cinema facilmente collocabile nel documentario (o, più che altro, nella sua accezione comune). Piuttosto, quella compiuta da George appare come una radiografia che evita di raccontare in maniera programmatica (o, peggio ancora, morale) una situazione. Egli cerca di recuperare frammenti di storie, di volti, di gesti. Non è casuale, dunque, che il titolo di una delle sue opere più celebri, Les Éclats, stia proprio a significare, emblematicamente, “frammenti”. Afferma lo stesso Sylvain George nell’intervista già citata per Filmidee: «Cerco […] di operare su delle monadi, con dei frammenti che entrano in discussione, in dialogo, in corrispondenza gli uni con gli altri». E ancora: «Elementi del passato, tracce e racconti si urtano con gli elementi del presente in una costellazione che li fa risaltare sotto una nuova luce e li restituisce in quello che sono, che erano, che avrebbero potuto essere».

Seppur rifacendosi a modalità proprie del giornalismo (presa diretta; formato video), il regista se ne allontana: non solo egli ricerca un dialogo etico con chi riprende o intervista – e quindi distante da tanto giornalismo, per così dire, speculatorio – ma, soprattutto, effettua un’operazione di tipo formale, che egli ama definire di «decostruzione». Se si escludono infatti alcuni isolati momenti de L’impossible, tutti i suoi lungometraggi sono in un bianco e nero molto contrastato (girati prima a colori e poi virati in b/n in post-produzione). Si tratta di una scelta estetica fondamentale: «Il bianco e nero o la slowmotion per me sono sistemi per tentare una decostruzione della rappresentazione dominante della realtà»[3]. Attraverso queste particolari (e desuete) tecniche di ripresa, George intende far scontrare fra loro passato e presente, in modo tale da «distruggere questa concezione lineare del tempo e il mito del progresso». È questo l’obiettivo centrale del suo cinema, così intimamente politico e sovversivo: forse, oggi, uno degli ultimi baluardi di quello che fu il cosiddetto cinéma-vérité.

Des Figures de Guerre I , Ed. Potemkine, versione originale in francese, sottotitoli in inglese.


[1] Cristina Piccino, La rivoluzione dell’impossibile, «Il Manifesto», 17/07/2009, http://www.cinemagay.it/news-rs.asp?BeginFrom=24580&idrassegna=14373

[2] Jacques Rancière, Savoir où l’on place l’intolérable dans nos vies, http://www.ecosociosystemes.fr/savoir_intolerable.pdf

[3] Valentina Alfonsi, Vers Madrid, intervista a Sylvain George, http://www.loudvision.it/vers-madrid-intervista-a-sylvain-george/