On n’est pas sérieux, quand on a dix-sept ans. Rimbaud scrive Roman, il componimento da cui Téchiné trae il titolo del suo film, nel settembre del 1870, non ancora sedicenne, dopo la sua prima fuga a Parigi proprio nei giorni della caduta di Napoleone III. È un componimento diviso in quattro parti, e forse anche per questo Téchiné divide il proprio lavoro in trimestri. È il periodo in cui Rimbaud conosce la pienezza sensuale della vita, quello del precoce e rapidissimo adattamento, poi mai completato, del poeta all’esistenza. Da quest’esigenza e desiderio di consapevolezza e dalle parole del poeta francese recitate nelle prime sequenze prende spunto il lavoro di Téchiné.

Damien e Tom sono due adolescenti che frequentano la stessa classe al liceo. Senza apparenti motivi i due si odiano e spesso vengono alle mani. Damien appartiene a una famiglia ricca: il padre, pilota dell’Esercito francese, è perennemente impegnato in missioni all’estero, la madre è medico generico. Tom, di origine magrebine, è invece stato adottato da una famiglia di poveri pastori che vivono in montagna.

Téchiné è autore di pellicole di estrema precisione nella tessitura del racconto filmico, capaci di sottrarre e di modulare, con leggerezza e semplicità, concedendo il giusto allo spettatore. Legittimamente paragonato talvolta a Rohmer (di cui non possiede il rigore estetico) e talvolta a Fassbinder (di cui non possiede certamente l’esuberanza melodrammatica), Téchiné si è sempre coerentemente collocato in maniera equidistante dalla cinematografia dei due colleghi, realizzando opere originali di straordinario valore, spesso dirigendo con caparbietà attori di elevata caratura: Catherine Deneuve, soprattutto, ma anche Gerard Depardieu e Daniel Auteuil. Ma la differenza tra quest’ultimo film e il discorso cinematografico portato avanti dal regista per oltre un ventennio di carriera pare sostanziale.

Il film in oggetto invece è un lavoro statico, privo dell’atmosfera frizzante tipica dei precedenti lavori: freddo, il gelo invernale delle prime inquadrature si protrae anche nelle fioriture e nel verde soleggiato delle sequenze finali. È un film senza amore, nei suoi slanci, quelli delle lotte dei due protagonisti, impegnati in una prossemica fin troppo banale, in cui la distanza dello scontro prelude alla prossimità dell’amplesso. Slanci sempre troppo carichi di enfasi, iperrealistici e quindi controproducenti sul piano emozionale: come lo sgambetto iniziale di Tom a Damien, la violenta rissa in palestra o la stretta di mano imposta ai due dalla madre Marianne (un’azzeccatissima Sandrine Kimberlain). Problematiche cui la critica ha fatto riferimento come probanti della bellezza e del valore del film sono poste in modo superficiale, finte, in secondo piano rispetto all’estrema chiarezza di ciò che viene raccontato, talvolta al limite del ridicolo. Tematiche già affrontate e narrate da Téchiné, come l’ossessione per l’omosessualità e le difficoltà del percorso verso la maturità, sono qui trattate solo in quanto tali, ma la coesione del racconto cinematografico, che dovrebbe fare da collante tra loro, generarne il salto di qualità verso l’affezione, è debole e stereotipata.

Sempre a livello tematico, il film ricorda, sotto certi aspetti, il precedente Il luogo del crimine (1986): anche lì c’erano una madre e un figlio legati da un rapporto particolare, un figlio che non era un figlio naturale e anche lì c’era una violentissima esplosione di desiderio nel finale. Ma qui, citando nuovamente quell’eccesso d’enfasi di cui sopra, Damien è perfettamente integrato e conciliato con la società che lo circonda; i due protagonisti sono in lotta tra loro, ma autocompiacuti nel proprio isolamento: elemento poco congruo con la fatale incoscienza dei desideri e dei bisogni (a cui si fa riferimento nel film e a cui farebbe riferimento anche il titolo) non solo non vissuta, ma nemmeno fatta percepire o preludere allo spettatore, che subisce poi negativamente l’improvvisa esplosione della sessualità di Damien. Di tutt’altro tenore invece erano l’adolescenza del giovane protagonista de Il luogo del crimine e il calzante desiderio improvviso della madre, verso cui Téchiné sapientemente ci aveva guidato.

Si è parlato molto del fatto che Téchiné, settantatreenne, abbia dimostrato un acume straordinario nel calarsi dentro ad una realtà così lontana dalla sua età e dalla sua generazione, come può essere quella dei due protagonisti. Per chi scrive il problema invece non riguarda tanto la generazione anagrafica quanto quella cinematografica. Non tanto quindi la capacità di calarsi dentro alla realtà adolescenziale, quanto in quella della cinematografia della contemporaneità. On n’est pas sérieux, quand on a dix-sept ans, forse nemmeno dopo i settanta.