Un salto nel vuoto, una sfida contro l’azzurro, mare e cielo, e il bianco della pietra che non fa paura, ma risveglia il corpo e lo spirito a velocità suicida.

Una banda di ragazzi vive l’estate di Marsiglia sul filo della scogliera, la Corniche Kennedy, a bordo autostrada, alla ricerca di rocce sempre più alte da cui scagliarsi, intrepidi e vitali, sprezzanti della fisica e della polizia sempre alle calcagna. L’incontro con i “tuffatori” selvaggi della Corniche cambierà la vita di Suzanne (Lola Créton), una ragazza borghese che si aggira solitaria ai piedi dell’acqua, bloccata dalle vertigini e dalla noia di un ambiente incapace di soddisfare la sua ansia vitale.

La regista francese Dominique Cabrera torna a parlare di banlieue, ispirandosi al romanzo omonimo di Maylis De Kerangal e servendosi di Marsiglia per raccontare la gioventù francese, oggi più che mai rappresentata dalla seconda generazione di immigrati, a metà tra due culture che a tratti si incontrano, più spesso si scontrano generando lotte interiori che amplificano il caos e la trasgressione dell’adolescenza. Per alcuni di loro tuffarsi è un atto di ribellione, di liberazione e di contatto. Suzanne viene attratta magneticamente dall’assenza di regole e dalla spontaneità del gruppo: prima li osserva da lontano, poi la fascinazione si trasforma in identificazione, appartenenza emotiva a una fede fatta di roccia e acqua. Saltare significa essere vivi, ed è grazie all’incoraggiamento di due ragazzi di periferia, Mehdi e Marco (Kamel Kadri e Alain Demaria), che riesce finalmente ad abbandonarsi al blu e a fidarsi del vuoto. Le poche parole non contano, sono i corpi a parlare, strumenti grezzi lanciati nella fisicità della sfida e nella tenerezza degli abbracci.

La vita al di là della Corniche sembra offrire poco ai giovani protagonisti, segnati dall’amarezza di famiglie assenti, e dalle scarse possibilità di redenzione. La droga, la microcriminalità, il carcere fanno parte della loro quotidianità, e lasciano poche speranze di una vita migliore. Sulla scogliera, però, non esistono differenze, e ognuno è nudo di fronte alle proprie paure, scintillante e (apparentemente) immortale. L’ambiente accecante e scosceso di una Marsiglia infuocata esalta la fragilità e la forza dei corpi in tensione prima del salto.

Nata in Algeria da una famiglia di pied-noir rimpatriati nel 1962, formatasi nell’ambito del cinema documentario e da sempre vicina a tematiche sociali legate alla poetica delle periferie e dei confini, a cui ha dedicato molti dei suoi primi lavori (Chronique d’une banlieue ordinaire, Une poste à La Courneuve, Un balcon au Val Fourré, Rêves de ville – poi raccolti sotto il titolo Il était une fois la banlieue), Dominique Cabrera sceglie la via della finzione per costruire un racconto intimo che indaga la realtà difficile e contraddittoria della società francese, frammentata quanto multietnica, attraverso i sogni e le disillusioni dei suoi figli più giovani. La regista si mostra sensibile alla tematica della difficile costruzione dell’identità e del rapporto con il paese d’origine, che rivive nelle vicende di Mehdi e Marco: i ragazzi della Corniche non rispettano il ramadan come i loro padri, ma continuano a credere in Dio. Se è genuina l’intuizione che la spinge a concentrare la propria riflessione sulla delicata fase precedente la maturità, raggiunta troppo presto, a partire dalla quale prende forma l’emotività e il senso di appartenenza dei personaggi, Corniche Kennedy rischia di mantenersi sulla superficie dell’acqua, mancando di immergersi nelle profondità psicologiche e sociali dei suoi protagonisti.

Il desiderio e l’attrazione che legano Suzanne a Marco e Mehdi in un triangolo amoroso a rischio cliché, rimangono appena tratteggiati, e la tensione erotica suggerita manca di sensorialità e trasporto. Cabrera mantiene uno sguardo adulto, e le scelte musicali e dei dialoghi, scritti a quattro mani con la collaborazione di Maylis De Kerangal, non riescono a colmare, ma anzi sottolineano una distanza generazionale che priva il film di intensità e di verità. Il lirismo delle scene a cui fa da sfondo la scogliera, in cui sono racchiuse le intenzioni più sincere e intuitive dell’autrice, è smorzato dai toni polizieschi che spesso invadono la storia, con inseguimenti, omicidi e fughe vertiginose. La scelta di una tematica d’attualità non basta ad affrancarsi da un’impostazione classica e a tratti didascalica del racconto.

Per Mehdi ciò che conta è il coraggio di lanciarsi, sfidare la morte per onorare la vita. E in questa sfida Dominique Cabrera non si abbandona fino in fondo, perdendo la sua occasione di tuffarsi dalla Corniche.