Il regista di Weekend e 45 anni, Andrew Haigh, si mette a confronto con una storia di formazione ispirata al romanzo La ballata di Charley Thompson di Willy Valuti, abbandonando l’ambientazione inglese dei suoi precedenti film. Il risultato è un’opera toccante ed equilibrata, che esplora le viscere di un’America sofferente attraverso gli occhi del suo giovane protagonista. Charley (Charlie Plummer), un ragazzino allampanato dallo sguardo magnetico, si è appena trasferito con suo padre a Portland, Oregon, alla ricerca di un nuovo inizio. Abbandonato in tenera età dalla madre, vive un’esistenza solitaria e instabile, costretto a badare a se stesso di fronte all’assenza di un genitore irresponsabile e donnaiolo, seppur affettuoso. A pochi passi da casa sua, trova lavoro in un maneggio, dove scopre il mondo spietato delle corse e inizia il suo viaggio nel tentativo di salvare Lean on Pete, un cavallo ormai malridotto e non più in grado di correre.

Charley non è di molte parole, ma è avido di risposte. L’istintiva curiosità verso una realtà adrenalinica e a lui sconosciuta si scontra presto con il cinismo e la durezza del suo nuovo datore di lavoro Del (Steve Buscemi) e della fantina Bonnie (Chloe Sevigny). Il mondo degli adulti si manifesta nella sua disincantata ferocia, cui Charley si mostra presto deciso a non rassegnarsi, scegliendo di salvare Pete con l’implicita intenzione di salvare se stesso, sfuggendo così a un circolo vizioso di traumi e abbandono.

Solamente nei deserti sconfinati e aridi che attraversa in compagnia di Pete risuonano le sue parole, come un mantra contro la paura del buio e del silenzio, in un esercizio di memoria e di racconto che svela un’emotività fragile e dignitosa, e l’ostinata ricerca di normalità. A ogni tappa della sua polverosa fuga, Charley si trova cambiato, in una metamorfosi del corpo e dello spirito che la strada rende necessari. I grandi spazi inondati di sole fanno da eco al ritmo lento della fame e della sete, interrotto dagli incontri di cui è costellata la via, che mostrano progressivamente il lato oscuro e sommerso della società americana: il feroce proprietario di un fast food, i racconti disinvolti e brutali di due veterani, la dolce ragazza obesa incastrata nella convivenza con il nonno, la mensa per i poveri di una città senza nome.

Charley Thompson prende le mosse da un plot poco promettente e prevedibilmente melenso, l’incontro tra un adolescente e un cavallo, per confermare al contrario le attitudini di un autore estremamente maturo, che scardina una ad una le aspettative e aderisce alle corde ondeggianti di una ballata malinconica e dolente. Il crudo realismo del viaggio solitario del protagonista non prevale mai del tutto sul profondo senso di speranza e di necessità affettiva che muovono i suoi passi, mantenendo il racconto su un equilibrio delicato e complesso. Haigh continua a indagare il bisogno di sfuggire alla solitudine dei suoi personaggi, scegliendo uno stile sobrio, autentico. Se con Weekend era stato in grado di raccontare la dimensione più intima di un incontro amoroso, e la necessità umana di contatto con l’altro come specchio di sé, sceglie questa volta di aprire lo sguardo dando spazio ad un’analisi più ampia, che si sviluppa sui piani di una realtà molteplice. Al centro vi è l’odissea silenziosa di Charley, a cui fanno da sfondo, come un riflesso, le tante voci che compongono un ritratto trasversale dell’America più nascosta.

Laddove il cinema americano non arriva, stentando a riflettere su se stesso e sull’attuale società statunitense, sono spesso gli autori stranieri per contro a riuscire: basti pensare ad Andrea Arnold e al suo lucido e appassionato ritratto di gioventù in American Honey. Nel caso di Charley Thompson, attraverso lo sguardo distaccato e sensibile di Haigh vengono messi in luce gli aspetti più controversi della quotidianità americana, ben lontani dagli artifici dell’universo hollywoodiano e fedeli a una narrazione semplice, senza fronzoli, per certi versi epica e contemporanea, sostenuta da una memorabile interpretazione.

Il senso del tragico nel film di Haigh si apre al banale di ogni giorno, al riparo da sentimentalismi e sfarzi emotivi, arrivando a raggiungere il cuore pulsante e rabbioso di un paese al suo tramonto morale ed economico. Nei quartieri residenziali del Wyoming si susseguono, certo, le ville a schiera dal giardino curato, appena imbiancate, dove la vita è tranquilla e i figli vanno al college, ma negli angoli bui di una grande città, per un ragazzino senzatetto, il sogno americano non vale più di venti dollari.