Nella scrittura di Aaron Sorkin spicca una qualità piuttosto rara per gli sceneggiatori contemporanei: la parola non è un semplice strumento finalizzato ai dialoghi e al racconto, ma il vero metronomo del film, che dà ritmo, musicalità, spessore e valore ai singoli passaggi. Una scena all’apparenza innocua o superflua per lo svolgimento della storia, in un film scritto da Aaron Sorkin può rivelarsi una delle più significative o memorabili. In Molly’s Game questo accade ad esempio quando la protagonista Molly Bloom (un’eccezionale Jessica Chastain), al termine di una delle serate di poker clandestino organizzate in una delle suite di lussuosi alberghi dove cementifica la sua popolarità, si paragona alla Maga Circe, la dea della mitologia greca che aveva il potere di trasformare arbitrariamente gli uomini in animali. Questa battuta viene fraintesa da uno dei giocatori, in quel momento palesemente alterato dalla condizione alcolica, che non capisce il senso della battuta e chiede a Molly il motivo per cui è così severa con se stessa. Forse si tratta proprio del momento migliore del film, quello che sintetizza con maggiore chiarezza ed efficacia il tema più interessante tra i troppi a cui ambisce Sorkin, senza approfondirli: il controllo di una donna, dietro le quinte, sull’intero genere maschile, qui rappresentato da quei dipendenti del gioco d’azzardo che si presentano sotto le spoglie rassicuranti di sportivi, attori, manager e miliardari. Scavare più in profondità il conflitto del gender, a favore di una manifesta superiorità femminile, sarebbe stata forse una scelta davvero vincente e avrebbe potuto attribuire all’esordio dietro la macchina da presa dello sceneggiatore di The Social Network e Steve Jobs un’autentica originalità nel panorama del cinema americano di oggi.

Purtroppo Sorkin, pur confermandosi un funambolico fuoriclasse della parola, capace di tenere costantemente viva l’attenzione dello spettatore nonostante il getto continuo e ininterrotto di monologhi e dialoghi, si dimostra un regista ancora acerbo e convenzionale, impaurito di adottare uno sguardo personale che si allontani dalle scelte più ovvie e prevedibili. Non c’è dubbio che l’ambizione di Molly’s Game sia quella di avvicinarsi a un grandioso affresco d’impronta scorsesiana su caduta e rinascita, sulle contraddizioni del sogno americano e sulle regole del successo della società odierna. Si sente però che, al di fuori dell’attenzione chirurgica a valorizzare l’adattamento dell’autobiografia originale della vera Molly Bloom, non sia stato dato altrettanto peso a una messinscena originale e brillante, che non si limiti a raccontare il rocambolesco percorso intrapreso sul confine dell’illegalità da parte della protagonista, ma sia in grado di offrire una lettura ulteriore rispetto a quella che viene offerta dai soli eventi. Verrebbe facile pensare che il risultato finale sarebbe stato migliore se la sceneggiatura di Sorkin fosse stata al servizio di David Fincher o Danny Boyle: alcune clamorose ingenuità, senz’altro, sarebbero state evitate.

Il tono cinico e amorale del film, per esempio, viene incredibilmente messo a repentaglio con la “resa dei conti” tra Molly e il padre Larry (Kevin Costner), in una sequenza permeata di patetico familismo e redenzione moralista. Allo stesso modo, persuade davvero poco la decisione dello scettico avvocato Charlie Jaffey (Idris Elba) di difendere Molly perché convinto dalla figlioletta, che ha letto le vicende della donna sui giornali ed è certa della sua buona fede. Cadute di gusto che vengono gestite nella maniera secondo gli standard ell cinema americano più commerciale e rassicurante. L’impressione generale è, quindi, quella di una mano troppo pavida di fronte a una materia che potenzialmente giocava le carte migliori per diventare un nuovo capitolo fondamentale della filmografia di Sorkin, risultando lontano sia dalla lucida analisi sul rapporto tra ambizione e apparenza di The Social Network e Steve Jobs, ma anche dalla romantica apologia della sconfitta di Moneyball, e non oltrepassando le gabbie del prodotto di “buon intrattenimento”.