In un contesto cinematografico interessato solamente a una pallida illustrazione o satira di un costume italiano, Boris – Il film appare come un’opera spiazzante e dalle premesse e dagli obiettivi profondamente diversi dalla produzione filmica nostrana. Sono pochi i film, infatti, che cercano di emergere dalla coazione a ripetere in cui sembra da troppi anni ristagnare il nostro cinema. Garrone, Sorrentino e Gaglianone parlano dell’Italia ma soprattutto costruiscono i loro film attorno ad un’urgenza prima di tutto estetica, segnando in quella direzione la differenza tra loro e gli altri film contemporanei che trattano di mafia, di potere, di piccole storie ai margini seguendo schemi già vecchi trent’anni fa.

Di questo immobilismo del cinema italiano parla Boris – Il film, che mette in scena la continuità asfittica del prodotto filmico con quello televisivo, l’impossibilità di un cinema alternativo a quello prodotto con gli stessi soldi di chi produce fiction e serie TV. In questo senso la satira si rivolge evidentemente a chi si occupa senza soluzione di continuità di produrre Tv e Cinema e all’oligarchia, al clientelismo, al conformismo culturale e alla prigionia dei cliché da una parte come dall’altra. Bersagli immediati sono i cine-panettoni e un presunto cinema più serio e impegnato, trasfigurati attraverso due poli tra i quali oscilla René Ferretti, il regista della serie Gli occhi del cuore, che all’inizio della vicenda abbandona il set de Il giovane Ratzinger per tentare finalmente la strada del cinema. I due titoli rappresentativi della morsa che soffoca la produzione italiana sono Natale con la casta e Valdo e l’acqua cotta, apparentemente diversi ma figli in realtà delle stesse ipocrisie e delle stesse strategie di mercato. Il cinema non è una scappatoia rispetto all’universo televisivo, ma un mondo dove tutto ciò che perseguitava René in TV si ripresenta ingigantito dalla difficoltà del realizzare un prodotto che in Italia, paese sempre più di teledipendenti e sempre meno di spettatori cinematografici, parte svantaggiato e non può permettersi il lusso di rischiare.

Boris – Il film è interessante anche se lo si legge alla luce della continuità con la serie da cui prende le mosse. Nel momento in cui si fa più dura la critica nei confronti del mondo del cinema e della televisione, entrando nello specifico si perde una delle caratteristiche principali e più accattivanti della serie, quella di esprimere attraverso il mezzo non solo una critica al mezzo stesso ma anche alla società tutta, utilizzando il microcosmo televisivo come metafora della situazione economica, sociale e culturale del nostro paese. Dai drammi dello stagista, iniziale punto d’ingresso nel mondo descritto dalla serie, ci si è spostati via via verso il punto di vista del regista, coronato proprio dal passaggio sul grande schermo. L’urgenza di una rivoluzione prima di tutto estetica del nostro cinema fa passare in secondo piano l’intelligente riflessione sulla contemporaneità. Ma è l’unica pecca di un film lucido nel suo cinismo e nel suo far ridere spietatamente.


Boris – Il film, regia di Giacomo Ciarrapico, Mattia Torre, Luca Vendruscolo, Italia 2011, 108’