Ad Illich Ramírez Sánchez, detto Carlos, il film di Olivier Assayas ispirato alle sue gesta non è piaciuto: a suo parere, infatti, la versione televisiva sarebbe troppo nevrotica e distante dall’immagine che ha di se stesso. Avrebbe preferito un dipinto a tinte più nette, capace di delineare un rivoluzionario senza troppe sfumature, freddo professionista in una guerra senza esclusione di colpi. Assayas ne fa invece un personaggio sfaccettato (“sulfureo” lo ha definito il regista di Désordre e L’eau froide), capace di attirare le simpatie del pubblico (e per questo Assayas è stato molto criticato, ma ha chiuso a suo modo la questione dichiarando di affidarsi alla capacità di discernimento del singolo spettatore) e al contempo di indurre alla riflessione su quanto mostrato. Tale è stata l’avversione di Illich Ramírez Sánchez che il suo avvocato, nonché sua terza moglie, ha tentato di bloccare la distribuzione dell’opera, andata in onda in Francia su Canal+ lo scorso anno e in aprile anche in Italia per la Fox.
   
Lo svolgimento, nonostante si sviluppi nell’arco di circa vent’anni (dai primi Settanta agli anni Novanta), è facilmente riassumibile: venezuelano, Carlos si trasferisce in Europa dove compie alcuni atti terroristici per conto del Fronte per la Liberazione della Palestina. Il più eclatante è il sequestro dei ministri dell’Opec nel 1975 a Vienna: disobbedendo agli ordini del FLP sulla conduzione dell’affaire, ne viene espulso. Da quel momento diventa un mercenario, al servizio di libici, blocco sovietico, siriani e infine sudanesi, prima di essere catturato dai servizi segreti statunitensi e francesi e condotto in Francia dove, processato nel 1997, è condannato all’ergastolo per gli omicidi di rue Toullier (gli unici, ad oggi, per cui sia stato dichiarato colpevole).
Presto divenuto uno dei terroristi più noti al mondo, Carlos è ben consapevole della sua dimensione mediatica. Quello delineato nel film è stato definito un “terrorista superstar”, e non poteva essere altrimenti, dato che Assayas è un vero e proprio enfant du rock che inserisce in quest’opera numerosi brani dei Feelies, New Order, Wire, Lightning Seeds, tra gli altri. Esemplare in questo senso la sequenza dell’arrivo di Carlos all’aeroporto di Algeri: seduto in un’auto scortata, è assalito dai fotografi ai quali si concede non senza un buon grado di narcisismo, giocando con gli occhiali da sole e il suo sorriso.

Assayas, distante per partito preso dalla televisione (“è il regno della convenzione”, ha dichiarato in occasione della presentazione del suo ultimo lavoro), ottiene grande libertà e un budget considerevole per una serie (in Francia qualcosa di simile è avvenuto con Les Prédateurs di Lucas Belvaux, dedicato all’affaire Elf e trasmesso nel 2007) che ha dato vita anche a un film destinato alle sale della durata di due ore e tre quarti (uscito in Francia il 7 luglio dello scorso anno): all’incirca la metà delle cinque ore e venti del progetto televisivo originario trasmesso in tre parti.
La differenza tra le due versioni non risiede tanto nella forzata eliminazione di numerosi episodi (soprattutto relativi a fatti di sangue in Europa) che potrebbero in qualche misura minare la comprensione delle complesse vicende di Carlos, quanto perché è proprio il tempo, il suo concreto svilupparsi nel corso delle oltre cinque ore di film che rappresenta uno dei motivi di grande interesse del lavoro di Assayas.

Occidentale, multilingue, con grande libertà di movimento tra i blocchi (infatti dopo la caduta del muro di Berlino diventa quasi scomodo per i suoi vari “datori di lavoro”), Carlos è l’incarnazione del terrorista ideale. Vagabondo capace di muoversi tanto nello straordinario quanto nel quotidiano, è l’errante capace di avere un atteggiamento complessivamente oggettivo, perché a caratterizzarlo è anche l’assenza di attaccamento e la distanza tipica dello straniero. Un avventuriero che è a suo modo un artista, un individuo che ha nei confronti della vita un atteggiamento eccezionale, capace di rompere la monotonia dell’abitudinario (si veda in questo senso la prima forzata interruzione della sua attività, costretto per qualche tempo a vivere nello Yemen) e di ipotizzare nuove direzioni. Uno dei suoi tratti fondamentali è quello di vivere, almeno apparentemente, in un eterno presente. Carlos è un giocatore (un flambeur, direbbero i francesi) e come il vero giocatore vive nell’assoluto presente. Nonostante i cambi di look e il variare del peso corporeo, anche lui si illude di essere immutabile, accompagnato nelle sue imprese dalla musica rock, per antonomasia la musica dell’attuale.

Carlos non sembra quasi concepire l’idea di un passato – non fa praticamente mai riferimento ad episodi trascorsi e l’unico vero ponte tra la prima fase della sua “carriera” e la seconda in Africa è la permanenza in carcere della moglie – e non si cura del tutto del futuro (si veda, a titolo di esempio, la crisi del suo rapporto con la moglie in relazione all’educazione della figlia). Lo spettatore si trova, nonostante sia perfettamente informato, attraverso sovrimpressioni e altri riferimenti, della cronologia degli eventi, in un continuo presente. Una sensazione rafforzata dalla sostanziale mancanza di confini spaziali: il protagonista è infatti costantemente ici et ailleurs. Cittadino di nulle part proprio perché cittadino di un dappertutto che è temporale: è, per l’appunto, il presente. Carlos sembra vivere un’esperienza totale (nel senso letterale, ovvero priva di vincoli) che, nonostante i propositi (è pur sempre un terrorista che si dichiara anti-imperialista ed è, in linea di principio, costantemente attento agli avvenimenti contemporanei), lo distacca da ogni concreta esperienza storica. La stessa ampia durata della serie trasmette la sensazione di un’opera senza fine. In fondo, e pur senza giungere a questo punto, anche alcuni tra i precedenti film di Assayas sono in larga parte costruiti intorno a questioni temporali: L’eau froide, Irma Vep, Fin août, début septembre, Demonlover, nonché HHH, il suo ritratto di Hou Hsiao-Hsien, regista che del lavoro sulla dimensione cronologica (e cronica) ha costruito l’intera sua opera.

Il tempo dell’adesso, si dice, è il tempo dei giovani. Se Carlos fosse stato “solo” il protagonista di un film, avrebbe ancora vent’anni.


Carlos, miniserie tv in tre parti, regia di Olivier Assayas, Francia 2009, 331′