Per ogni adolescente che abiti in aree urbane periferiche, l’espressione “andare in città” suona come la promessa di un’avventura che disinneschi la monotonia del quotidiano. Eppure in En ville – primo lungometraggio di finzione della videoartista francese Valérie Mréjen e del compagno filosofo Bertrand Schefer – la sedicenne Iris ha lo sguardo disincantato di chi già conosce la vanità di questa promessa. Immersa in una periferia stratificata e senza punti di fuga, in lei si scontrano la tentazione all’immobilismo e l’irrequietezza dell’età di passaggio che sta attraversando. Iris abita una cittadina portuale di cui non ci è dato sapere il nome, ma che potrebbe essere Nantes (dove sono state effettuate le riprese), ha un fidanzato a cui non desidera concedersi, un padre con il quale non vuole convivere, e conduce la sua esistenza silenziosamente, lasciandosi sballottare da incontri casuali insieme all’amica Isabelle (Adèle Haenel, protagonista di Naissance des pieuvres di Céline Sciamma). Un giorno, mentre attende un autobus che sembra destinato a non arrivare mai, incontra il quarantenne Jean, un fotografo che arriva da Parigi e che le domanda dove si trovi il centro di quella cittadina senza nome. Dal momento in cui Iris decide di accompagnarlo e di salire sulla sua automobile, i due intraprendono un percorso che non li porterà mai in quel “centro” dove inizia la vita, ma piuttosto a incagliarsi in un legame basato sul comune senso di stanchezza verso l’esistenza. Un rapporto che, non evolvendo in passione carnale, troverà nella condivisione della parola e degli spazi urbani anonimi che li circondano il suo mezzo di espressione.

Nel suo vagabondare tra gli interni di umili appartamenti e gli esterni desolati della cittadina, Iris appare costantemente senza riparo, e spesso dispersa nei vuoti del paesaggio portuale. La macchina da presa evita di posarsi sull’azione, per catturare la noia della ragazza e dei suoi coetanei da un lato, e dall’altro quella della controparte adulta, rappresentata da Jean e dalla sua compagna (interpretata da Valérie Donzelli). Lo stesso vuoto è anche il soggetto privilegiato delle fotografie di Jean (tra l’altro nel film è inserito il lavoro dell’artista Nicolas Moulin sulle zone industriali): i suoi scatti vorrebbero conferire vita a non luoghi come fabbriche, porti, docks; e anche la pellicola, nella sua parsimonia di inquadrature e stacchi di montaggio, ricorda talvolta una successione di fotografie.

Risulta tuttavia difficile rintracciare la forza di uno sguardo in un’opera che sembra costantemente indecisa tra un approccio realista e uno esistenzialista. La macchina da presa si trova a oscillare tra l’adesione totale all’universo interiore di Iris e Jean e un’opposta distanza critica rispetto agli  eventi che li vedono coinvolti. Se le prime sequenze di En Ville riescono a sedurre come rappresentazione di alcune situazioni sociali (come la viscida delicatezza manifestata in discoteca da un adulto in giacca e cravatta verso Iris e Isabelle), successivamente l’astrazione perseguita nella messa in scena del legame tra Iris e Jean fa precipitare il film in un’operazione concettuale mal riuscita e ricca di cliché. I temi non nuovi della relazione impossibile tra un adulto e un’adolescente e del conflitto tra generazioni differenti vengono sviscerati attraverso i dialoghi tra due personaggi sempre più simili a caricature, figure immobili che si esprimono in maniera letteraria e artificiosa, citando Paul Valéry, Victor Hugo e Marcel Proust. Da questi istanti anche le parole degli altri personaggi, adolescenti e adulti, diventano vacue e pretestuose, come a voler rispondere all’urgenza di innalzare il tono della pellicola, nel timore di un’insufficienza semantica dell’immagine; il risultato è un didascalismo che banalizza le tensioni che pure sono ben suggerite. Paradossalmente, l’unica alternativa all’intellettualismo sterile di quest’uso della parola è rappresentata dall’amico di Iris, segretamente innamorato di lei, che non si esprime emulando il linguaggio racchiuso nei libri, ma citando i testi esplicitamente, e denunciando così l’abuso di questa pratica.

Nonostante l’incertezza che domina l’opera della Mréjen, è tuttavia evidente la volontà di tracciare il ritratto di Iris, personaggio femminile che sta vivendo il passaggio tra due età e dunque l’inquietudine di cambiare pelle. L’incontro inatteso con Jean la costringe a porsi degli interrogativi che fino a quel momento aveva cercato di eludere. Ma la ragazza risulta enigmatica sia quando si accompagna ai suoi coetanei, sia nei momenti di intimità con l’uomo, tanto che, pur scrutandola in lunghi primi piani, la Mréjen non arriva a scalfirne l’impenetrabilità e sembra così arrendersi all’impossibilità di definire il personaggio attraverso un ritratto compiuto. Ugualmente, Jean fatica a realizzare una fotografia che catturi la vera natura della ragazza; nei suoi scatti l’uomo riesce a cogliere solo la superficie del suo soggetto. Così, la gigantografia del primo piano di Iris viene stampata sulle mura di un edificio che è esso stesso senza anima, in una sovrapposizione di vuoti che vorrebbe forse richiamare Michelangelo Antonioni e Blow-Up, senza condividerne la stessa solidità teorica e formale.

Seppur evocata dal posizionamento dei personaggi nella desolazione e nell’anonimato del paesaggio urbano, siamo ben lontani anche dalla riflessione sull’incomunicabilità dell’autore italiano, e piuttosto prossimi a un allineamento programmatico a un certo cinema francese indipendente che prende in esame proprio il momento della crescita (come quello della già citata Céline Sciamma). Interessante nel suo approccio iniziale, ma limitato dalle sue pose intellettualistiche, En Ville finisce per non restituirci mai realmente l’anima dei luoghi e dei personaggi, nonostante un corpo attoriale come quello di Lola Créton, capace di avvolgerci nel mistero con un battito di ciglia.

En Ville, regia di Valérie Mréjen, Francia, 2011, 75′.