Dopo il documentario cinefilo del 2004 Z Channel: A Magnificant Obsession, la figlia d'arte Xan Cassavetes scrive e dirige una pellicola di genere vampiresco che si pone come rilettura depurata di un filone imbastardito dai canoni estetici ed ideologici più recentemente consolidati. Pur giocando con lo spettatore attraverso sottotesti dicotomici, Kiss of the Damned non nasconde mai l'esplicita volontà di essere omaggio al passato, assumendo codici "classici" per trasmettere la prospettiva interiore della regista, che vampirizza citando, smembrando e riassemblando le idee di quel cinema horror – principalmente degli anni Settanta – che va da Jess Franco a Dario Argento, passando per Lucio Fulci, la Hammer e il glam softcore di Miriam si sveglia a mezzanotte (1983) di Tony Scott.
 
D'altronde, l'intenzione di rifuggire il presente si evince dal primo fatale incontro tra la vampira Djuna e lo sceneggiatore Paolo, in un videonoleggio tra scaffali colmi di VHS. Non mancano atmosfere altolocate e decadenti di matrice europea, soundtrack dalle reminiscenze gobliniane, una fotografia vivida e patinata per dare il giusto tocco pulp e personaggi che parlano con l'accento poco inglese tipico dei B(ava) movie. Elementi che da una parte concorrono a tematizzare l'implicita relazione di immortalità e ricorrenza tra cinema e vampiri, dove vivere per sempre significa guardare sempre indietro (il vampiro non sarebbe altro che il costrutto retrò per definizione). Dall'altra, rischiano di far collassare l'intera operazione in un'idea estetica prettamente indie, racchiudendo il film in una morsa di stucchevole citazionismo cinefilo. 
 
È grazie ad un malizioso espediente nell'allestimento narrativo che la Cassavetes riesce ad andare oltre, affrancandosi sia dal costume neopuritano e sentimentale dei nuovi vampiri americani sia dal bozzolo di ragnatele del revivalismo vintage. 
Dopo aver risolto in meno di mezzora quella che è la drammaturgia dei cinque film della saga di Twilight, la coppia perfetta di vampiri moralmente responsabili scopre di non voler altro che una vita eternamente normale, quindi eternamente tediosa, tra sogni per una casa nuova, banchetti notturni a base di opossum di campagna e chic cocktail party in cui non mancano calici di sangue sintetico e dibattiti pseudofilosoficamente provocatori.
 
Se quindi l'idea dell'amore sempiterno per una vita immortale si tramuta in integrazione sociale e preservazione della normalità borghese, è l'apparizione di Mimi (Roxanne Mesquida) a fare da naturale contrappeso. Mimi è la pecora nera, metà riot girl e metà supermodella da passerella, mandata in rehab poiché la sua trasgressività distruttiva e autodistruttiva rischia di mettere in pericolo la stabilità psicosessuale della coppia perfetta e, per estensione, della società (vampiresca). 
È Mimi che catalizza la tensione erotica e orrorifica del film, risucchiando tutto e tutti nel vortice del proprio istinto irrefrenabile. Lei non reprime il demone interiore: lo asseconda e lo mostra agli altri, innesca gelosia ed insicurezza, dissipa la foschia tra desiderio ed esecuzione. Il mostro riemerge: meglio sopprimerlo e seppellirlo di nuovo con un sacco dell'immondizia, un bacio romantico e una dissolvenza in nero.
Per sempre felici e contenti…
 
Kiss of the Damned, regia di Xan Cassavetes, USA 2012, 97'.