Nella quiete di Recife, tra palazzoni alienanti e ville signorili, regna l'illusione di poter nascondere lo sporco sotto il tappeto. Le favelas sono un passo più in là, fuorischermo: agglomerati insensati di costruzioni che a stento possono chiamarsi case. Ricchezza e povertà, prestigio e umiliazione, il lato oscuro del Capitale che mai come in Brasile tocca livelli di apartheid sociale che nessun Lula può ribaltare. 

Questo l'humus che genera l'inquietudine alla base del cinema di Kleber Mendonça Filho; ma è solo una traccia, una delle molteplici chiavi interpretative. Il resto lo regala il talento, grezzo (e per questo ancora più puro e efficace) di un meticoloso ricercatore dell'inquadratura perfetta, intento a misurare gli spazi con un impeccabile goniometro, ad ascoltare i rumori della quotidianità per cogliere quel che Lynch osservava in un orecchio abbandonato in un prato. 
 
Piccole paranoie crescenti: latrati incessanti combattuti a colpi di ultrasuoni, vibrazioni di elettrodomestici che possono donare piacere, un ronzio di fondo che prelude a una deflagrazione che pare imminente. Tutto è giocato, al limite del colpo a effetto, attraverso una strategia della tensione che seduce per linguaggio (lo studio di cornici, finestre e inquadrature, mirabile) e cattura per intreccio, per suggestioni impercettibili. Come se il cinismo di Seidl incontrasse la velenosa critica sociale di Chabrol, come se il ground zero della società di Rodrigo Plà trovasse un degno contraltare visivo, all'altezza del messaggio da veicolare. 
 
E se forse il presagio di incubi premonitori – in cui sangue e paura, manifestazioni tangibili del senso di colpa e di minaccia perenne avvertito dai nuovi fazenderos – sa di concessione, così come il cinema in rovina – in cui ancora riecheggiano i suoni di un'epoca in cui la settima arte univa e conquistava – sa di strizzatina d'occhio cinéphile, il debutto di Filho riserva momenti che lasciano pochi dubbi sulle doti di un nuovo autore. Cinema novissimo (e insieme doverosamente cosciente del proprio passato).
 
Neighbouring Sounds (O Som ao Redor), regia di Kleber Mendonça Filho, Brasile 2012, 131'.