«A volte le donne creano un’ombra, come le nuvole, oscurando la luce del sole. Quest’ombra scivola e si sposta intorno a voi. È l’amore che vi hanno dato e che non è più là» in questa nota a margine del copione citata in un’intervista a Libération, Philippe Garrel riassume l’intuizione poetica alla base de L’Ombre des femmes, presentato quest'anno a Cannes in apertura della Quinzaine des Réalisateurs.

Ancora una volta la portata lirica del suo cinema marginale e rigoroso si associa a uno spunto autobiografico, che funge da motore per il film. Se La Jalousie nasceva sulla scorta della morte del padre, incarnato dal figlio Louis nei panni di un attore precario, “l’officina familiare” si fa qui più sottile, meno esplicita, benché, ancora una volta, il protagonista non sia che un alter-ego del regista (stavolta c'è Pierre, documentarista interpretato da Stanislas Merhar). E il figlio Louis è comunque presente come voce narrante, esterna ma introspettiva: non tanto una terza persona onnisciente quanto una guida all'interiorità capace di offrirci una visione più limpida e pura. Un'istanza enunciatrice che ritorna più volte nel cinema di Garrel e che spetta solitamente all'enfant (basti pensare al ruolo assunto dalla figlia di Louis in La Jalousie, quasi un filo conduttore dell’intreccio: è grazie alla curiosità infantile che si scopre come la madre abbia occupato il proprio tempo mentre la figlia trascorreva il pomeriggio al parco con il padre e la sua compagna, ma è anche il mirino attraverso il quale si intravedono le debolezze psicologiche dei protagonisti; ed è ancora lei a interrogare la madre circa la separazione dei genitori, spinta dal desiderio di conoscere chi dei due ha smesso di amare l’altro).

Elemento essenziale e funzionale al racconto è l’appartamento, non solo in quanto rivelatore della situazione finanziaria dei personaggi ma soprattutto come riflesso della loro condizione psicologica. Metafora delle incrinature che minacciano la coppia, luogo capace di svelarne il malessere, abitato dai loro desideri ma soprattutto dalle loro mancanze, l’appartamento è un tramite attraverso cui accedere all’intimità di chi lo abita. La sobrietà del monolocale di Philippe in Le Coeur fantôme richiama la solitudine di un uomo che, dopo aver lasciato l’appartamento borghese a moglie e figli in seguito al tradimento della donna, si accontenta di una pila di libri e di un materasso dove riscoprirà l’amore con Justine, poco più che maggiorenne. In La Jalousie, la soffitta è il luogo opprimente che alimenta furtivamente la nevrosi della protagonista, tanto che lei stessa afferma di sentirsi soffocare e di aver bisogno di luce.

L’Ombre des femmes si apre con l’irruzione del proprietario nell’appartamento di Pierre e Manon e con lo sdegno per la scarsa cura rivolta al suo mantenimento. Se agli occhi del padrone di casa l'abitazione si presenta come un campeggio, lo spettatore abituato agli interni di Garrel, non tarderà ad accorgersi della singolare intensità che avvolge la casa, più ampia e luminosa e, senza alcun dubbio, più abitabile delle precedenti.

Una rapida analisi dei caratteri femminili in La Jalousie e L’Ombres des femmes rivela la forza e il temperamento atipico di Manon. Insoddisfazione e risentimento dominano l’ex-compagna di Louis, tratteggiata come una sorta di Jeanne Dielmann, interamente sacrificata al ruolo di madre sola, obbligata a occuparsi della casa e della spesa. Condizione sinteticamente riassunta nel breve ritratto che la vede intenta a rammendare a letto. In Claudia è evidente, invece, il desiderio di maternità, di una situazione finanziaria meno precaria, di una casa più accogliente. La soffitta condivisa con Louis è il luogo del disagio, propulsore di un movimento centrifugo che la allontanerà progressivamente e definitivamente da lui. Con il volto segnato da una soddisfazione quasi allucinata, aprirà a Louis le porte dell’appartamento ricevuto dall’amante architetto.

Laddove in La Jalousie Claudia è pervasa da un sentimento di frustrazione nei confronti di Louis, perché riesce ancora a ottenere delle occasioni come attore che a lei sono precluse, in L’Ombres des femmes Manon non si lamenta della propria condizione, al contrario dirà alla madre che non c’è niente di meglio che poter lavorare con l’uomo che si ama. Qualcosa accomuna poi Claudia ed Elizabeth – amante di Pierre interpretata da Lena Paugam, stagista al Fort d’Ivry – e questo qualcosa si situa precisamente nell’oppressione del luogo che abitano e nella stessa fisionomia dei loro sguardi, marcati dalla natura inquieta. Invisibile ma impotente, Elizabeth spia il rientro a casa del suo amante per scoprire il volto della donna che vive con lui e che lui ama.

L’abilità del cineasta consiste nel rivisitare lo schema tradizionale di ogni storia d’amore compromessa da un tradimento; a rendere originale e innovativo l’intreccio è l’inversione dei ruoli femminili. Se il canone prevede che sia la moglie tradita ad accanirsi nel voler scoprire l’identità dell’amante, Garrel impone invece al personaggio di Elizabeth tale modo di agire. Amante consumata, ossessionata dal desiderio di conoscere la donna di Pierre, Elizabeth si strugge per l’amore che rende la coppia indivisibile, un amore che non sarà mai in grado di sciogliere. Malgrado l’accanimento con il quale si sforza di indebolire il legame tra i due rivelando a Pierre la relazione extra-coniugale di Manon, nulla potrà separarli, mai lui sarà sfiorato dall’idea di poterla sostituire con la giovane dottoranda. Parallelamente, non è nell’indole di Manon reagire con una scenata di gelosia né cogliere in flagrante il compagno; come preciserà a Pierre, diversamente da lui, non ha bisogno di conferme o prove per essere certa del suo tradimento.

Amore eterno non vuol dire amore perfetto. Per salvaguardare un amore eterno, un ruolo importante è giocato dal sacrificio. Sacrificarsi significa essere pronti a tutto perché l’amore perduri e non appassisca; e, nel caso specifico di Manon, il sacrificio non sta nell’annullamento della propria individualità, nel farsi assistente e sostenitrice dei progetti lavorativi di Pierre – la voce off di Louis Garrel lo precisa fin dall’inizio: “Elle ne vivait pas à l’ombre de son homme, elle poussait dans la lumière” quanto nella forza che le permette di vivere in silenzio il tradimento del marito, colto grazie a un’intuizione spiccatamente femminile, ma soprattutto nel colmare il bisogno di essere guardata, amata e toccata da un altro uomo.

Né Manon né Pierre amano i corrispettivi amanti; a spingerli a compensare nelle braccia di un altro partner le pulsioni fisiche che li abitano è soltanto la distrazione, una dimenticanza tipica delle coppie che condividono da tempo le stesse mura, le stesse passioni, le stesse abitudini. Ed è proprio la routine che fa scivolare il corpo dell’altro, il desiderio fisico, la passione nel torpore. Pierre dirà a Elizabeth: «io e Manon non abbiamo più bisogno di dirci che ci amiamo». Pierre non prova alcun sentimento nei confronti di Elizabeth ma ciò che gli impedisce di troncare la relazione è la dipendenza carnale nei confronti del suo corpo. Lo stesso movente spinge Manon a rifugiarsi nel corpo di un altro uomo, ma con una sincerità disarmante, che non si fa scrupoli ad ammettere: “è da te che vorrei sentirmi amata” confessa a Pierre che l’accusa di tradimento.

Per marcare ulteriormente le differenze tra le due figure femminili, Garrel ci mostra al microscopio alcune sottigliezze che confermano la sua capacità nel ricorrere con efficacia all’utilizzo del dettaglio. I noodles preparati nell’acqua del bollitore la dicono lunga sulla solitudine di Elizabeth a cui è contrapposta la sollecitudine di Manon nel cucinare con cura un pasto sano e frugale o l’intimità che l’avvolge nella scena iniziale quando coperta soltanto da un accappatoio si asciuga i capelli con aria assorta, lasciando intuire la sua passione per i piccoli piaceri quotidiani.

Con L’Ombre des femmes Garrel esplora il tema della libido, smentendo uno dei capisaldi delle teorie di Freud, e cioè che la libido sia uno stato psicologico prettamente maschile. Inoltre precisa come uno dei motivi principali del film sia l’uguaglianza dell’uomo e della donna attraverso i mezzi e i limiti propri del cinema, dispositivo originariamente pervaso da un’ottica maschile. Se, tutto sommato, il film resta l'opera di un uomo, è da ammirare il tentativo di sforzarsi nell'avvicinarsi all’universo femminile servendosi per la scrittura della collaborazione di due donne, Caroline Deruas e Arlette Langmann, oltre a Jean-Claude Carrière.

Da sempre il cinema di Garrel punta all’essenziale, e L’Ombre des femmes riconferma questa peculiarità: l’essenziale è nella semplicità dei costumi e nella sobrietà degli interni, così come nella mancanza di ogni riferimento all’attualità storica o politica. Ed è grazie a queste scelte se con i suoi film riesce a creare un universo poetico a-temporale, scevro di connotazioni sociologiche e aldilà di un epoca precisa e definita. L’essenziale è, come già accennato, nella cura del dettaglio, che isola e sublima ciò che più di prezioso e intimo può esserci tra due esseri che si amano: è la mano di Manon che si posa su quella di Pierre durante la visione dei filmati di archivio o la delicatezza con cui Garrel rinuncia alla rappresentazione esplicita del rapporto sessuale, spostando la macchina da presa per ben due volte sulla finestra della camera da letto.

Fra i punti di forza del regista va aggiunta, poi, la grande capacità nella direzione degli attori; Garrel non parte da un’idea precostituita del personaggio ma lo costruisce indagando più che nel vissuto degli attori nelle emozioni che li attraversano durante le riprese; ad esempio parla di una vera e propria apertura di Lena Paugam, che, durante la realizzazione del film ha dato alla luce il suo primogenito. La magia del cinema di Garrel è nelle intenzioni dei suoi attori, nella loro fedeltà all’uomo o la donna che incarnano; un appropriazione totale che assottiglia la frontiera tra l’attore e il suo personaggio (e che lo stesso Garrel esplicita a parole: «non credo alla possibilità di far fare agli attori altro da ciò che sono»).

Con questo modo di procedere si pone come obiettivo il raggiungimento dell’universale e dello specifico propri dell’amore, della gelosia e di ogni sentimento indagato. Raggiungere questo livello di introspezione richiede un lavoro scrupoloso sul testo e un esercizio di lettura che può richiedere parecchi mesi. Solo così nella recitazione possono fondersi l’attore e il personaggio. Eliminando l’improvvisazione, alla quale ha ricorso spesso in precedenza, Garrel utilizza la scrittura per esplorare la possibilità di una suspense psicologica unicamente raggiungibile attraverso la parola scritta. Tuttavia la sceneggiatura non può prevedere tutto, ci sono cose che si possono scrivere solo con la macchina da presa. Di qui l’urgenza di filmare le scene cronologicamente, 21 giorni a Parigi e nei dintorni con un budget limitato che consente di girare in pellicola una sola ripresa per ogni scena.

L’Ombre des femmes è forse, fra tutti i suoi film, il più ottimista. Garrel semplifica la materia e i silenzi; i dialoghi puntano all’essenza. Una sincerità situata nello sguardo dei personaggi che si esprimono poco a parole: nel volto di Pierre in lieve contre-plongée che, occupando tutto il campo, è sconcertato dalla rivelazione del tradimento. Nell’espressione tormentata di Elizabeth colta dietro un angolo a spiare la coppia, o ancora nel riflesso del volto di Manon ripresa di spalle nella stanza d’albergo di fronte a una finestra, assorta nel buio e avvolta dal sottofondo di un orgasmo femminile che la porta a struggersi silenziosamente.

Non è difficile comprendere come l’ottimismo che pervade il film sia costruito non soltanto dalla narrazione ma da continue scelte estetiche. L’Ombre des femmes è girato principalmente di giorno, in camera pervase da una luce potente e dal tempo del lavoro che in maniere diverse sfiora l'amore, ma c'è di più: la proposta di Manon di passare le vacanze estive in Bretagna, i ciliegi in fiore al Fort d’Ivry, le passeggiate in abiti leggeri conferiscono al film una luminosità e una trasparenza mai sfiorate in precedenza così consapevolmente. Questa apertura sembra una risposta al film precedente: quell'invocazione di Claudia verso il bisogno disperato di luce. E se l’opera di Garrel può essere letta come un unicum, in cui i complessi rapporti tra maschile e femminile si fronteggiano senza trovare pace, si può constatare che finalmente la sua ricerca approda a un (momentaneo?) esito positivo.

Perchè L’Ombre des femmes può essere letto come un film sulla riscoperta dell’amore e dell’essere amato, ed è proprio il tradimento a rendere possibile questo riavvicinamento: fin dal momento in cui Elizabeth gli rivela di aver visto Manon con un altro uomo, qualcosa si riaccende in Pierre che, dopo un breve momento di incredulità, riparte alla conquista della sua compagna. E se in questo film l'intervento femminile trova maggiormente spazio è per la spiccata ironia attraverso cui è tratteggiato Pierre: con le sue convinzioni maschiliste e i suoi modi un po’ burberi, è il classico personaggio garrelliano, costantemente mosso, nel bene e nel male, dalla sua indole passionale (come quando, dopo aver ritrovato per un attimo l'intimità con Manon, non può trattenersi dal chiederle: «è così che scopavi con lui?). Così l'eroe romantico diventa ridicolo agli occhi di chi lo osserva, e forse è proprio grazie a questa trasformazione che si prepara l'inedito happy ending. Quando la madre e un'amica di Manon stanno parlando con lei in un bistrot e lo vedono nascosto dietro l'angolo della strada, si intuisce che “l'ombra di Manon” è lo spazio protetto dove può avvenire persino una trasformazione del singolo per ritrovare un'unione che prenda in considerazione le nostre vite precedenti.