La visione di Mustang potrebbe suscitare svariate ipotesi sul senso del titolo. Un’allusione al cavallo selvaggio o al noto modello della casa automobilistica Ford? Denis Gamze Ergüven assicura che ogni interpretazione è valida e che l’una non esclude l’altra: Mustang è un film che irradia freschezza ed energia. E più che il titolo, a essere misteriosi sono i volti di queste cinque adolescenti, strette in cerchio l’una accanto all’altra in una luce diafana che avvolge un corpo il cinque teste formato da Lale, Nur, Selma, Ece e Sonay, cinque sorelle, orfane di genitori diversi e cresciute dalla nonna in un villaggio a mille chilometri dalla capitale turca.

Con leggerezza e semplicità, Denis Gamze Ergüven, affronta il tema della condizione femminile in Turchia, mostrando il desiderio e la ribellione che abitano il corpo delle protagoniste, pronte a tutto pur di poter vivere pienamente e senza intralci l’adolescenza. Una libertà che comincia all’uscita del loro istituto, è l’ultimo giorno di scuola, una massa di ragazzine in divisa sfreccia sul cortile. È anche il momento degli abbracci e delle lacrime, quelle di Lale, la più piccola delle cinque, la cui voce fuori campo si legherà alle immagini per tutta la durata del film.

C’è fretta di partire, di disfarsi delle divise, di indossare i costumi per immergersi nel mare. E perché privarsi di una breve sosta prima di tornare nella casa della nonna paterna? Le sorelle non si lasciano intimidire dal fucile dell’ortolano che le scopre in fragrante a cogliere le mele del suo frutteto per poi lanciarsi in acqua in divisa, sedute sulle spalle di alcuni amici del sesso opposto.

Ed è l’ingenuità di questo episodio – che si rivelerà essere momento cruciale del film – a portare nell’estate delle cinque sorelle una serie di conseguenze catastrofiche. Le reazioni della nonna, della vicina e dello zio non tarderanno a fare di questo gioco innocente un’oscenità e delle giovani che vi si sono prestate, delle promettenti lascive.

Accusate di essere state viste dalla vicina "strofinare le cosce contro la nuca dei ragazzi", se dapprima, le cinque, partono alla riscossa, accerchiando la casa della vicina in attesa della rivincita, a poco a poco saranno costrette a soccombere alla segregazione messa in atto dallo zio e dalla nonna.

È chiaro come fin dall'inizio le intenzioni stilistiche del film prendano una direzione inversa rispetto al documentario e al naturalismo: Mustang è il ritratto di un mondo rurale vissuto dal punto di vista delle ragazze, è un film di finzione e di evasione che sa tuttavia come affrontare in chiave ludica temi difficili come quello del ruolo della donna in Turchia, ma soprattutto, quello di una verginità tanto decantata da creare, paradossalmente, un effetto di sessualizzazione precoce nella società e in particolare nella ragazzina che riceve a 7 anni un’educazione sessuale sotto forma di manuale d’antan. Si pensa all’isolamento e all’alienazione di Kynodontas di Lánthimos e, inevitabilmente, a Virgin Suicides, film con il quale il primo lungometraggio della Ergüven condivide una certa morbosità, un rapporto ravvicinato con la morte e una sensualità costruita attorno alla bellezza diafana delle giovani attrici e delle loro lunghe chiome.

Ma ciò che il film può rivendicare, rispetto all’epopea delle sorelle Lisbon, è precisamente l’ironia sferzante e strafottente, sempre pronta a esplodere nei momenti in cui la tensione è al suo culmine: è il falò delle sedie insozzate dalle oscenità delle sorelle o la zia che priva il villaggio dell’elettricità per impedire che gli uomini scoprano in tv le cinque in tribuna ad assistere a una partita di calcio, che per motivi di sicurezza, ha eccezionalmente vietato l’accesso ai tifosi maschi.

I tratti distintivi del film sono, oltre a un’attenzione particolare per la sceneggiatura scritta a quattro mani con Alice Winocour, una costruzione "classica" dei personaggi, ciascuno dei quali riveste un ruolo ben preciso e permette di far evolvere l’azione e un lavoro di regia strettamente legato all’evoluzione della narrazione.

In sintesi, il film si compone di tre grandi momenti che ne delineano una struttura ad anello: la partenza da Istanbul, l’arrivo al villaggio e infine il ritorno ad Istanbul. Laddove all’inizio i movimenti della macchina a mano seguono l’effervescenza delle cinque al fine di dare vita a sequenze repentine, mosse e sfuggenti, creando l’impressione di un inseguimento à bout de souffle, l’arrivo nel villaggio segna un brusco cambiamento. Le inquadrature si stabilizzano, la composizione si equilibra rispettando le norme e le imposizioni a cui vengono sottomesse le cinque. Un ritorno all’ordine giustificato dagli abiti tradizionali – è per loro giunto il momento di adottare una nuova divisa: gli stessi "vestiti informi color merda" della vicina conservatrice – e da un’apprentissage della cucina turca in linea con le aspirazioni della padrona di famiglia che vorrebbe rimediare alla reputazione delle nipoti rendendole degne candidate di un matrimonio arrangiato.

L’epilogo del film si presenta in veste di road movie: le due sorelle minori viaggiano su un bus diretto a Istanbul; i movimenti diventano fluidi e si sposano armonicamente con l’orizzonte che mostra la città al suo risveglio negli ultimi bagliori notturni. Un espediente che consente di evadere dalla casa, trappola che alla fine inghiottisce chi avrebbe voluto intrappolare, e allo stesso tempo permette di compensare alla propria fissità.