Lo statuto ontologico dell’immagine è da sempre al centro delle interrogazioni di coloro che lavorano sul cinema del reale. Se nella forma convenzionalmente definita documentaria vi è una dialettica costante fra gli accadimenti e la loro rappresentazione, l’avvento di Youtube è stato certamente un elemento di detonazione ulteriore rispetto a certezze consolidate su cosa possa essere quella porzione di mondo/cinema racchiusa nello spazio di un frame. E così potenzialità (e responsabilità) che scaturiscono dal gesto apparentemente banale di posizionare uno strumento di registrazione audiovisiva di fronte al mondo e a se stessi, sono diventate di colpo oggetto di un processo di diffusione orizzontale automatica (non necessariamente democratica), che travalicando il cinema ha contaminato un intero macrocosmo fatto non più di registi ma di utenti.

Prendendo a prestito e sviluppando fino al parossismo l’idea tutta televisiva di canale e palinsesto, coniugata con una forma di video diario in pubblico potenzialmente alla portata di ogni essere umano sul pianeta, Youtube ha contribuito indirettamente alla nascita di milioni di nuovi autori – più o meno consapevoli – di immagini e racconti dove il confine fra cinema diretto e finzione finisce per svanire. Qual’è la posizione del cinema nei confronti di questo cumulo infinito di pixel affastellati in milioni di video? Come le categorie che abbiamo utilizzato fino ad oggi per investigare il documentario possono aiutarci a comprendere immagini che per numero e dimensioni oggi superano senza ombra di dubbio quelle prodotte per il grande schermo? Il lavoro del regista quebecoise Dominic Gagnon – oggetto di una personale nell’ambito dell’edizione 2016 di Visions du Réel – a partire dal 2009 ha abbandonato completamente l’idea di filmare la realtà per come questa si presenta o si mette in scena di fronte alla macchina da presa, in favore di una ricerca ortodossa e a tratti maniacale che interpreta l’universo di Youtube come il reale da filmare e trasformare in universo narrativo. Gagnon ha dato così vita ad un corpus di opere spigoloso e controverso che testa i limiti del documentario e dell’autorialità e che getta lo spettatore (ancora cinematografico?) in quella che è la prima linea della produzione di (auto)rappresentazioni del mondo contemporaneo.

Al termine di R.I.P. in Pieces America (2009) leggiamo: “Le tournage de cette vidéo c’est achevè le 25 octobre 2008”. Nei sessanta minuti precedenti abbiamo visto e ascoltato un’insieme eterogeneo di Talking Heads, Youtubers ripresisi in primo piano secondo la modalità classica di coloro che decidono di condividere su Internet il proprio punto di vista sul mondo. Ciascuno dei protagonisti del film, secondo le forzatura tecnica che vuole l’occho della camera coincidere con l’immagine del proprio volto riflesso nello schermo del computer, si posiziona al centro del quadro, ritaglia una piccola porzione di ambiente e dà libero sfogo al proprio appello al mondo. L’insieme delle loro parole va a comporre un coro che, pieno di sicurezza, mette in allerta un’umanità distratta e assopita rispetto alla fine prossima del genere umano. Survivalism e Armageddon. culto delle armi e teorie della cospirazione: racconti prepotentemente impregnati di visioni e scenari che provengono dal cinema, diventano improvvisamente reali, irrompono nella case di questi cittadini americani che vedono il proprio paese prossimo alla rovina assoluta (vale la pena ricordare che ci troviamo all’alba della presidenza Obama). Il gesto totalmente debordiano di Gagnon consiste nel considerare Youtube come un enorme paesaggio da filmare ed esplorare, dove ciascun protagonista si identifica con la propria messa in scena. Il reale è un unico grande spettacolo 2.0 e gli uomini e le donne dei film di Gagnon coincidono con la loro autorappresentazione. Invece di uscire di casa con la video camera, l’artista quebecoise il 25 ottobre del 2008 ha deciso di impostare secondo alcuni parametri prestabiliti software di ricerca e registrazione, filmando quel paesaggio umano al contempo virtuale e prepotentemente reale nascosto nelle pieghe del web. Questo studio antropologico si dispiega nei quattro capitoli che costituiscono la sua tetralogia del web, andando a comporre un viaggio labirintico e disturbante nel nucleo più profondo e nero della psiche collettiva americana. Il tutto ripartito nei film come potrebbe essere organizzato in un motore di ricerca, con film/capitoli suddivisi per genere ed età. Dopo gli uomini di R.I.P. in Pieces America (2009) ci sono i personaggi femminili di Pieces and Love All to Hell (2011), l’anziano in Big Kiss Goodninght (2012), e i giovani di Hoax_Canular (2013).

In questo Gagnon vive un processo di alienazione radicale degno dei suoi protagonisti, si assume il potere dittatoriale del montaggio ma al contempo permea il suo lavoro di una serie di processi tecnici e tematici totalmente contrapposti ad un’idea di autorialità intesa come entità che tutto governa e tutto plasma. Si mette alla mercè del potere manipolatorio e seducende del discorso dei suoi “attori” e allo stesso tempo li compone in forma cinematografica, dando a questi stream of counsciousness che rasentato lo sfogo allucinatorio una temporalità segnata da un inizio e una fine.

Il protagonista di Big Kiss Goodninght (2012) segna il parossismo di un modello di ricerca artistica che coincide con un lungo e quasi infinito sfogo del suo unico interprete, carrozziere che si riprende ossessivamente nel suo vagabondare in auto raccontando al mondo e ai suoi pochi e cattivissimi commentatori le miserie della propria vita. Gagnon fa di Joetalk100 un personaggio quasi biblico, che incarna nel proprio vagare la figura del predicatore che, inascoltato, condivide con il mondo la rivelazione sul senso ultimo dell’universo. Le teorie della cospirazione divengono così per l’America di Gagnon una nuova forma di religione. Nell’epoca dell’alienazione e della messa in crisi di ideologie strutturate intorno alle quali raccogliersi per trovare un senso alla propria esistenza, la cospirazione diviene il meccanismo grazie al quale tutto improvvisamente acquista un senso, anche nei suoi aspetti più assurdi e contraddittori. Il New World Order e gli Illuminati plasmano il mondo e lo governano fino all’ultimo dettaglio. L’universo ha dunque un senso, che è atroce e coincide con la fine di ogni prospettiva individuale. Non resta dunque che prendere coscienza di questa teleologia apocalittica e farsi portatori della verità, condividerla in modo trasversale, farsi agire dalla parola della rivelazione e intraprendere al contempo da soli e insieme ad un nucleo ristretto di eletti la propria nuova guerra civile americana, in nome di un primordiale e paradossalmente fondativo individualismo armato. Raccontarsi storie di paura ed eroismo intorno al falò virtuale della rete.

A tratti sembra che Gagnon ami di un amore sincero i suoi personaggi, pare percepirne gli abissi di solitudine e alienazione celati in quei ritagli di camere e salotti stipati nei bordi dello schermo. Anche per questo in Hoax_Canular (2013), apice della tetralogia, il regista prende a prestito un modello più classicamente cinematografico e dedica a questa umanità dolente, costantemente in guerra con il mondo e con se stessa, un grande film epico sullo sfondo della supposta fine del mondo, prevista da Maya e tuttologi per il 21 dicembre 2012. Il film ci accompagna nella vita di un gruppo di giovani Youtuber che attendono con eccitazione l’Armageddon. Ma cosa accade quando la fine del mondo non arriva? Resta la traccia sul web delle proprie paure e del proprio inconscio, riflesso nello specchio deformante di infiniti diari finzionali. Resta un film catastrofico (mancato) dove Gagnon sfoga tutta la sua passione per il cinema di genere, mutuandone codici e schemi per raccontare forse un’apocalisse più grande, quella che vuole il reale svanito in un labirinto di specchi fatto di tante minuscole videate di Youtube.

Ma della resilienza del reale rimane traccia anche nei frammenti più paradossali di cui sono fatti questi film, nell’esitazione di uno sguardo, in una risata, nel peso eccessivo del trucco o di un fucile a pompa. Fra il tragico e il grottesco si cela ciò che resiste al trionfo dello spettacolo e ci rende ancora umani: in questo si nasconde probabilmente ciò che sfugge al controllo del demiurgo Gagnon e che ridona sovranità a quel popolo di autori inconsapevoli di cui il suo cinema vampirescamente si nutre.