Seppur con qualche eccezione, 12 dicembre (1971) è già presente nelle storie del cinema militante italiano degli anni Settanta e in alcune delle filmografie più complete di Pier Paolo Pasolini. L’apporto di quest’ultimo è però solitamente registrato con l’attribuzione che compare nei titoli del film, dove si legge “da un’idea di Pier Paolo Pasolini”. In effetti, la pellicola risulta firmata dal militante di Lotta Continua Giovanni Bonfanti, che figura anche come produttore e co-sceneggiatore insieme a Goffredo Fofi. Ciò nondimeno, la partecipazione di Pasolini a quest’impresa collettiva fu ben più importante sia perché fu lui a ottenere da Alberto Grimaldi il sostegno economico necessario per la lavorazione (che si protrasse dal dicembre 1970 all’estate 1971), integrandolo poi con un suo proprio contributo economico, sia perché concepì il progetto e molte delle riprese del film, come raccontò lui stesso in un paio di interviste di quel periodo e come ha sempre ricordato Maurizio Ponzi, che lo aiutò nel montaggio e girò anche alcune sequenze dell’opera. Né Grimaldi né Pasolini ritennero però opportuno comparire ufficialmente nei crediti per sottrarsi a eventuali conseguenze legali. Bisogna difatti ricordare che proprio nella primavera del 1971 Pasolini era stato denunciato per due volte dalla Procura di Torino e verrà poi portato a processo in quanto direttore responsabile del giornale di Lotta Continua, per il quale ruolo aveva prestato il suo nome dal luglio 1970 al maggio 1971, come fecero in quegli anni anche altri intellettuali quali Piergiorgio Bellocchio o Roberto Roversi.
Oltre a ciò, ad affievolire la memoria di 12 dicembre ha concorso senz’altro il fatto che la versione originale è stata a lungo sostanzialmente invisibile. Una volta terminato, il film venne presentato in una sezione collaterale del festival di Berlino 1972 – nello stesso anno in cui in Concorso era stato selezionato I racconti di Canterbury, che vinse l’Orso d’oro – ed ebbe poi un’anteprima a Roma (ne resta una recensione di Moravia su “L’Espresso” del 30 aprile 1972) per essere in seguito proiettato unicamente nel circuito dei Circoli Ottobre e quasi mai nella sua edizione completa. Anche per questo, ad oggi, il film è stato pubblicato nel nostro paese soltanto in edizioni vhs (1996) e dvd (2011) notevolmente tagliate, la più breve delle quali (43 minuti) è peraltro disponibile su YouTube.
Si può però, infine, tornare a studiare 12 dicembre perché nel 2013 ne è stata ritrovata una copia originale della durata di 104 minuti in un archivio cinematografico di Amburgo. Nonostante la mancanza di negativi, la copia è stata restaurata dal laboratorio L’Immagine Ritrovata per conto della Fondazione Cineteca di Bologna ed è al momento edita in dvd soltanto in Germania all’interno di un cofanetto curato dalla casa editrice amburghese Laika Verlag che contiene tra l’altro Contratto (1970) di Ugo Gregoretti e Ipotesi sulla morte di G. Pinelli (1970) di Elio Petri oltre ad alcuni cinegiornali militanti del Movimento studentesco, a Come favolosi fuochi d’artificio (1967) di Lino Del Fra e a In cerca del sessantotto. Tracce e indizi (1996) di Giuseppe Bertolucci. Dopo l’anteprima ospitata dalla XXIX edizione de Il Cinema Ritrovato di Bologna, con la partecipazione di Goffredo Fofi e Maurizio Ponzi, la copia restaurata ha iniziato a girare l’Italia, venendo presentata tra la fine del 2015 e il 2016 al Cinema Arsenale di Pisa e al Cinema Massimo di Torino a conclusione del ciclo di incontri “Cinema e politica. Il cinema dei movimenti, i movimenti al cinema” organizzato dall’Unione culturale Franco Antonicelli.
Come lavorò dunque Pasolini a questo particolare docu-film e cosa mostra la versione originale approvata, nonostante qualche contrasto con Bonfanti e Lotta Continua, dallo scrittore-regista? Come testimonia il titolo, 12 dicembre prende le mosse dalla strage avvenuta in quel giorno del 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano, l’attentato in cui morirono diciassette persone e che è passato alla storia come il primo atto di quella strategia della tensione che ha segnato gli anni Settanta in Italia. All’indomani della strage, e prima della controversa morte dell’accusato Pinelli, Pasolini scrisse di getto la poesia Patmos, in cui rendeva omaggio alle vittime milanesi e quando, cinque anni dopo, firmerà il famoso articolo intitolato Cos’è questo golpe? (apparso sul “Corriere della sera” del 14 novembre 1974) tornerà su quell’episodio tragico: “Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12-12-69. Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna […] Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi”. Nel frattempo, all’interno di Lotta Continua si era pensato a realizzare un film di denuncia sulla morte “accidentale” dell’anarchico Pinelli e sulle violenze di stato che si andavano verificando in quel periodo, e nel corso del 1970 sia Bonfanti sia Sofri entrarono in contatto con Pasolini che non soltanto era sensibile a tale argomento, ma stava anche cercando di riallacciare i rapporti con il movimento studentesco dopo le critiche ricevute per le posizione espresse dopo gli scontri di Valle Giulia nella poesia Il PCI ai giovani!! (1968).
La genesi del film è stata puntualmente ricostruita da Roberto Chiesi, responsabile del Centro Studi Pier Paolo Pasolini della Cineteca di Bologna in un articolo intitolato Pasolini e il viaggio nel presente di 12 dicembre (1972). Il progetto e il confronto con Lotta Continua, apparso in “Studi pasoliniani” (vol. 9, 2015). Chiesi è partito nella sua indagine da alcune dichiarazioni che Pasolini rilasciò all’epoca, come quella, riscoperta solo una decina d’anni fa (ora in Un pomeriggio con Pasolini, Tempi 2005), registrata durante un incontro con alcuni studenti universitari avvenuto il 22 giugno 1972: “Stilisticamente [12 dicembre] assomiglia molto a Comizi d’amore. C’ho lavorato, l’ho montato io, ho scelto io le interviste […] ho girato circa un sessanta per cento, ma l’ho montato tutto io. Però – e questo è il punto – non ci ho messo la mia ideologia. Da una parte ho messo quella che è la realtà, dall’altra ho fatto dire le loro idee a questi di Lotta Continua”. In un’altra intervista apparsa su “Panorama” il 31 dicembre 1970 in cui vi si riferisce con i titoli provvisori di Attacco al potere o anche 1969 (ora in Interviste corsare sulla politica e sulla vita 1955-1975, Liberal Atlantide Editoriale 1995), Pasolini spiega l’idea su cui è articolato il film, a cui contribuì in maniera determinante Fofi, di prendere spunto dalla strage di piazza Fontana per poi svilupparsi in un vero e proprio viaggio in Italia che nel montaggio definitivo comprende: Milano, con alcune riprese realizzate a un anno dalla strage, il 12 dicembre 1970, e varie interviste ai testimoni del caso Pinelli, per lasciare poi la parola a lavoratori e militanti di Trento, Sarzana, Colonnata e Carrara, Bagnoli e Napoli, Reggio Calabria, Torino e Roma.
Pasolini è riconoscibile, di spalle, in almeno una delle scene milanesi e ha senz’altro girato lui personalmente le toccanti riprese della tomba di Pinelli a Musocco e le interviste alla madre Rosa Malacarne e alla vedova Licia, la quale ha ricordato alcuni anni dopo (anche se Chiesi non la cita forse perché la presenza di Davoli potrebbe non essere attendibile): “Pasolini è arrivato con un mucchio di altri ragazzi, c’era anche Ninetto Davoli tutto estroverso, che chiacchierava in continuazione. Pasolini invece parlava poco, faceva domande ma non ricordo molto anche se siamo stati insieme tutta la giornata: al mattino da me, poi al cimitero a filmare la tomba, nel pomeriggio in riunione” (in P. Scaramucci, Una storia quasi soltanto mia, Mondadori 1982). Inoltre, si sente distintamente la voce di Pasolini interrogare i disoccupati campani e tutte le testimonianze concordano sul fatto che abbia realizzato anche le sequenze in Toscana, con delle bellissime riprese delle cave di Colonnata e i racconti degli incidenti sul lavoro e delle fatiche dei marmisti. Tutta l’attenzione di Pasolini si concentra durante questi incontri sui volti dei suoi interlocutori, così diversi da quelli dei milanesi che nella prima parte scappano col cappello calcato in testa alle domande relative alla strage di piazza Fontana. Come ha confermato anche Bonfanti in una sua memoria del 1996 (in Il malore attivo dell’anarchico Pinelli, Sellerio), furono girati in tutta la penisola da lui stesso, Pasolini, Ponzi e dagli altri operatori coinvolti circa 80000 metri di pellicola, di cui furono montati meno di 4000: gli altri sembrano purtroppo irrimediabilmente perduti.
A incorniciare il film sono però alcune parti più tipiche del cinema militante di quegli anni: l’intervista all’anarchico Lodovichetti che nel 1928 fu vittima di un episodio simile a quello di Pinelli (in apertura), scene ricorrenti di cortei e manifestazioni con un tappeto sonoro di cori contestanti, i commenti di un gruppo di attivisti di Lotta Continua, le interviste agli avvocati difensori di Valpreda e quella al deputato comunista Achille Stuani che raccolse le confidenze sul coinvolgimento di Ordine Nuovo nei fatti di piazza Fontana dall’avvocato Vittorio Ambrosini, poi “caduto” anch’egli da una finestra del Policlinico Gemelli (in chiusura). Nel complesso, dunque, appare chiaro che una delle ragioni della mancata fortuna del film da parte degli esegeti di Pasolini sta anche nei compromessi che lo scrittore dovette contrattare con Lotta Continua: come ricordato da Bonfanti, a Pasolini le facce dei “militanti” sembravano “già false o insignificanti; e anche dei nostri operai più bravi e noti temeva che avessero facce recitanti, oltre alle parole troppo confezionate. Per noi erano il clou del film, naturalmente. Gli stava a cuore quel repertorio di facce e gesti e lingue e abbigliamenti raccolto dal vivo attraverso il nostro viaggio dell’altra Italia”.
Queste immagini sono di fatto le uniche sull’Italia degli anni Settanta girate in presa diretta da Pasolini, che nei suoi film si andava rivolgendo sempre più alla ricostruzione di un passato fiabesco o allegorico. Ma anche quelle girate da altri e volute da lui, come le riprese fatte intorno alle baracche di Reggio Calabria e ai disordini scoppiati per l’annuncio di voler spostare il capoluogo a Catanzaro, così come tutto il resto della pellicola, sono oggi un interessante documento dell’epoca, e di un cinema usato come strumento di lotta politica e mezzo di contro-informazione.