Contro le rimozioni della Cina contemporanea lavora il cinema di Wang Bing: proprio in questa direzione si possono leggere le sue due opere più importanti. Tie Xi Qu: West of the Tracks, documentario monstre di nove ore sullo smantellamento di un complesso industriale nel Nord della Cina, e il dittico documentario/finzione costituito da He Feng Ming e The Ditch, recupero della memoria negata riguardo ai campi di lavoro dove intellettuali e contadini “sovversivi” erano relegati durante gli anni di Mao. Con il nuovo film, Tre sorelle, sembra chiudersi un'ideale trilogia, che individua proprio nella classe contadina, residuale in una società che ha venduto a livello internazionale un'immagine di sé ormai totalmente rinnovata (in cui ha prevalso l'aspetto commerciale a quello tradizionale, le coste fiorenti rispetto al vasto e multiforme entroterra), l'anello di chiusura tra il non detto di oggi (il fantasma della fabbrica) e il negato di ieri (l'umiltà contadina).
 
Tre sorelle ha una genesi che risale a qualche anno fa, quando Wang Bing -prima di girare The Ditch– si avventura in uno sperduto paesino sulle alture dello Yunnan di cui ha sentito parlare tramite i toccanti racconti di uno scrittore, morto giovane e in circostanze tragiche. Il suo primo sopralluogo dà vita a Happy Valley: cortometraggio spettrale in cui si intravede un villaggio abitato solo da vecchi, coperti di polvere e fuliggine. Presenza estranea, e spaesante, è quella di tre piccole sorelline che invitano il regista a condividere con loro le ore di gioco e di lavoro. Proprio la loro infanzia abbandonata colpisce Wang Bing, che torna due anni dopo per seguirle tra sporcizia e mucchi di patate. Ne nasce un documentario di tre ore che ha vinto (ex aequo ma senza in realtà possibili rivali) la sezione veneziana Orizzonti e che FuoriOrario ha già mandato in onda: una saga contadina, fatta di abbandoni e ritorni, di solitudini e orizzonti negati.
 
Le tre bambine crescono e resistono, senza una madre accanto, senza la società, quasi senza rapporti se non un nonno che dedica loro qualche attenzione, mentre un padre giovane e distante compare ogni tanto promettendo una nuova vita altrove. Forse questa nuova vita arriverà prendendo le forme di un nucleo familiare aperto che getta una luce meno ostile sul futuro, già sufficientemente feroce quando si delineano con chiarezza i contorni di un abbandono politico e civile della comunità montana. Fantasmi dello Yunnan, invisibili alla Cina che cambia.
 
 
Come nella sua rappresentazione della classe operaia (ma senza la stessa concisione tra tempo del lavoro e tempo al lavoro), Wang Bing si rivolge a situazioni estreme in cui sussiste soltanto lo spettro dell'attività produttiva: in West of the Tracks gli operai continuano a reiterare i gesti della catena di montaggio incapaci di accettare la fine di un'epoca, qui i riti della vita contadina appaiono svuotati della loro essenza prolifica per rivelarne soltanto la condizione estrema, modello del ciclo della vita in cui la “celestialità” di un bambino incontra la decomposizione dello sterco. 
 
Alla radicalità dei presupposti, il filmmaker sa trovare una forma ripetitiva e laconica, segnata dalla durezza di un'infanzia che resiste, nonostante tutto, in piccoli guizzi e tenere occhiate. Il pedinamento dei personaggi e la fisicità del suo sguardo sono cifra (mai esibita) del suo cinema, in grado di gettare un ponte umano tra chi filma e chi è filmato, che scavalca ogni trappola pietista. Non cerca mai l'inganno della trasparenza, scegliendo di appartenere a un cinema della difficile messa in gioco, della relazione partecipata, del fuoricampo presente: il suo esserci è addirittura sancito questa volta da una quota di denaro, un biglietto pagato per poter prendere un autobus che porta il padre e le due sorelline più piccole verso la città. Nel costante impegno politico, prima ancora che artistico, Wang Bing sa che filmare, ridare un volto agli invisibili, vuol dire partecipare della loro fatica, scalare le montagne al passo veloce e leggero delle bambine, senza poter trattenere il fiatone. Consapevole, anche durante la rampicata, della sua ricerca di una posizione emblematica e potente, in grado di restituire epicità agli uomini delle montagne, stagliati su orizzonti degni di John Ford. Bambini inconsapevoli che stanno attraversando il crinale periclitante di un'epoca.
 
Tre sorelle (San zi me), regia di Wang Bing, Francia/Hong Kong Cina, 153'.