Uno sguardo precario di un cinema ai margini: così si potrebbe definire lo stile di uno dei dei documentaristi più alieni al panorama italiano. Giovanni Cioni, che lavora tra Toscana, Francia e Belgio, si è accostato in questi ultimi anni a soggetti di impossibile definizione: gli adolescenti (nel vulcanico Gli intrepidi) e i malati mentali (nell’ondivago Per Ulisse) per alla fine affrontare la testimonianza di un sopravvissuto ai campi di sterminio nazisti in Dal ritorno.

Il film è il racconto di un incontro, quello tra il novantenne Silvano, prigioniero politico durante la Seconda Guerra Mondiale (poi addetto ai forni crematori), e il regista Giovanni, chiamato a raccogliere una testimonianza a lungo tenuta segreta. Ma potremmo anche dire che quest’opera (in maniera meno evidente ma più profonda di altri recenti tentativi sul tema) mette in evidenza l’impossibilità della trasmissione di una vicenda che non si offre come memoria ma come un’esperienza reale ancora in atto.

Silvano è un uomo inchiodato nel teatro della Storia, nel quale continua a recitare, con una forza straordinaria e una precisione millimetrica, gli atti che fu costretto a commettere in una situazione di primordiale sopravvivenza. Sono gesti, parole, espressioni che hanno la forza di riportare il passato nel presente, ma anche di “imprigionare” fuori dallo svolgimento della vita chi li racconta. Non ci è dato di sapere se vedere proiettata al cinema la propria testimonianza avrebbe liberato Silvano, siamo certi però che il cinema di Giovanni Cioni abbia fatto un balzo in avanti nel cercare di raccontarci la dicotomia tra un corpo che è sopravvissuto, si è sposato, è persino stato uno dei tanti turisti borghesi con un super8 tra le mani, e uno spirito che ha rivissuto ogni giorno l’odissea dei campi, in segreto da quell’uomo responsabile che ha dovuto dimenticare per essere accettato dalla sua famiglia e dalla società.

Contro questa visione standardizzata del reale si muove il cinema di Giovanni Cioni che con l’estrema umiltà di una telecamera in perenne movimento esaspera la precarietà dell’esistenza umana e rende manifesta la difficoltà di un incontro profondo attraverso la comunicazione. Tra Silvano e Giovanni servirà un viaggio, talmente difficile da rendere fantasmatico (una dimensione suggerita anche grazie all’accurata partitura sonora) ogni possibile ritorno.