“Liberami”. Sono queste le parole pronunciate dalle tante persone che affollano ogni martedì la chiesa di Padre Cataldo. Alcuni sono fedeli, altri no, alcune sono presenze abituali, la maggior parte trascorre diverse ore per ottenere un incontro. L’attesa è lunga e forse una giornata non è sufficiente a soddisfare le innumerevoli richieste. Padre Cataldo non è un prete come tutti gli altri: è un esorcista, e i fedeli fuori dalla sua porta non attendono una semplice confessione. Liberami di Federica di Giacomo apre una finestra sul mondo dell’esorcismo nei giorni nostri. Vincitore del Concorso Orizzonti all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia, il film della regista di origine spezzina non è tuttavia una mera indagine sul rito, preferendo piuttosto costituire l’affresco di una comunità unita dalla volontà di liberarsi dal Male.

Fin dalla prima inquadratura del documentario Padre Cataldo appare come una sorta di super-star dell’esorcismo. Personalità carismatica, il suo metodo di lavoro sembra dipingerlo più come un personaggio a metà tra una macchietta da film horror e un santone da televisione locale che come un uomo di fede. Sbriga le problematiche generate dalla fila in quattro e quattr’otto, celebra la messa interpellando direttamente i propri fedeli come possibili posseduti, è ricercato alla fine delle funzioni anche per motivi apparentemente slegati dal proprio dovere di Chiesa (un uomo gli chiede persino una consulenza lavorativa più appropriata ad un ufficio sindacale, che risolve velocemente chiamando in causa la Madonna). Arriva persino ad esercitare le proprie funzioni al di fuori dei metodi tradizionali, come brillantemente mostrato in un’esilarante sequenza che lo vede alle prese con un esorcismo telefonico. Nella Chiesa di Padre Cataldo si cantano canzoni pop (una di queste intitolata, per l’appunto, “Liberami”) e ci si scanna nell’affollata calca per ottenere la preziosa audienza come se si trattasse di una coda alle Poste o al mercato del pesce. Tuttavia è quando il tono del film sembra propendere pericolosamente verso una sorta di humour antropologico che Federica Di Giacomo stabilisce la direzione di quello che sarà effettivamente il suo film. Se in un primo momento la camera si posiziona in maniera più distaccata nei confronti del rito e della comunità che ruota attorno a Padre Cataldo, successivamente si compie un avvicinamento rispettoso verso le persone che compongono questo mondo.

Il prete esorcista abbassa – anche se mai del tutto – il suo grado performativo, trasformandosi in una sorta di “guida”, in cui sono le differenti voci dei fedeli a prendere possesso della storia. È così che conosciamo un ragazzo cacciato di casa e dipendente dalla cocaina, che pur non essendo credente cerca disperatamente di ottenere un’audienza con Padre Cataldo per “liberarsi”. Oppure un’adolescente, proveniente da una famiglia fermamente credente, la cui Liberazione è sostenuta a forza dal genitore in una conversazione in automobile e che passa attraverso una serie di appuntamenti periodici costanti. Infine, una donna matura e sposata che dall’esorcismo sembra avere invece sviluppato una vera e propria dipendenza. È a questo punto che Liberami comincia a porsi delle domande: che cos’è questa “possessione” che chiamiamo Male? Da dove viene e per quale motivo cerchiamo qualcuno che ci liberi da essa? Viene da pensare al ricorso all’esorcismo al giorno d’oggi come una sorta di “sindrome” del ritorno alla religione di fronte all’assenza di strumenti laici (passando dalle scuole fino al sistema sanitario, per esempio), per far fronte al malessere sociale o individuale, ma forse non è sufficiente per comprendere il fenomeno. È dalle esistenze dei singoli personaggi, ciascuno di essi ritratto in maniera tale da dare vita di volta in volta a un nuovo capitolo narrativo, che sembra prendere forma il fantasma che ossessiona ciascuno di essi: la solitudine.

L’operazione di Federica Di Giacomo è assolutamente onesta e rispettosa, senza mai cadere nel giudizio. Ad ogni modo si dimostra osservatrice attenta, che non lascia sfuggire quegli elementi di scardinamento nel meccanismo costituito da Padre Cataldo. Gli stessi colleghi sacerdoti evidenziano difatti in una conversazione la problematica “personificazione della possessione”: numerosi fedeli durante la messa pubblica si lasciano andare a terra, gridano, scalciano, con l’obiettivo di catturare l’attenzione del prete esorcista. Esausto a fine giornata, Padre Cataldo chiude i battenti, e alcune donne di mezz’età habitué delle sospirate audienze riflettono dalla parrucchiera sulla possibilità di cambiare programma e cominciare magari ad andare a ballare, lasciando a casa i propri mariti.

Ad ogni modo, la missione del sacerdote non è affatto solitaria nel mondo della Chiesa contemporanea. Sul finire del film lo seguiamo in trasferta a Roma per seguire un corso d’aggiornamento sull’esorcismo. Sacerdoti da tutto il mondo accorrono verso la Città Eterna per prepararsi a far fronte alla crescente richiesta: obiettivo del Vaticano è quello di avere un esorcista in ogni diocesi. Padre Cataldo si allontana in solitudine per far ritorno a casa: la sua missione non è certo finita qui.