Una generazione di cinefili può dire di essersi formata con le rassegne e i pregevoli commenti di Vieri Razzini per la Rai, tra gli anni ’80 e ’90. Si ricordano con nostalgia le sue introduzioni, come quelle di Claudio G. Fava, lucide, brillanti, garbate e aneddotiche, e soprattutto sincrone. È ora possibile ascoltarlo di nuovo negli extra dei dvd di film da lui stesso selezionati per la collana “Il piacere del cinema”. La sua proverbiale flemma non può non trovare sintonia con l’apice del cinema ‘british’ rappresentato da Michael Powell ed Emeric Pressburger, inducendolo a pubblicare un cofanetto di tre film del duo, Duello a Berlino (The Life and Death of Colonel Blimp, 1943), Narciso nero (Black Narcissus, 1947) e Scarpette rosse (The Red Shoes, 1948), quest’ultimo nell’ultimo restauro voluto da Martin Scorsese. Film contrassegnati dal loro marchio di fabbrica, la freccia nel bersaglio degli Archers, la loro casa di produzione, e con la immancabile dicitura “Scritto, prodotto e diretto da Michael Powell ed Emeric Pressburger”. Indicazione quest’ultima di quanto profondo fosse il loro sodalizio e di come i loro ruoli fossero intrecciati anche se di base Pressburger si occupava delle sceneggiature e Powell della messa in scena.

Stupisce, nel rivederli oggi, quanto i tre film siano profondamente classici e al contempo avanti con i tempi, conservatori e radicali come i loro autori. Romanzeschi, impregnati di quel senso dell’esotico coloniale kiplinghiano, del meraviglioso e del romantico, i film di Powell & Pressburger si pongono nel solco del pittoricismo cromatico in technicolor alla Mamoulian, e allo stesso tempo si ricordano per le loro soluzioni di regia estremamente raffinate e innovative. Valga per tutte quella del duello di Blimp ripreso dall’alto con l’inquadratura che si allontana progressivamente, supera il soffitto fino a comprendere, dissolvenza su dissolvenza, l’intera città di Berlino sotto la neve cadente, per poi ridiscendere fino ad arrivare al finestrino della carrozza da cui uscirà la protagonista. E le strepitose, immaginifiche sequenze oniriche dei balletti di Scarpette rosse. Non a caso la schiera di registi che li ha ammirati, e riconosce espressamente debiti nei loro confronti, va da Scorsese a Coppola, da Tavernier a De Palma. E in effetti il thriller voyeuristico, di quest’ultimo come del primo Dario Argento, è già tutto contenuto in L’occhio che uccide (Peeping Tom, 1960), opera del solo Powell – Pressburger non si sarebbe spinto tanto in là. E ancora oggi si può ravvisare uno scampolo di Scarpette rosse, ibridato con il depalmiano Il fantasma del palcoscenico, in Il cigno nero di Aronofsky. E Scorsese rivela quanto sia stato ispirato nella sua carriera artistica dal famoso scambio di battute di Scarpette rosse: «Perché vuoi ballare?»/«Perché uno vuole vivere?».

È il senso della necessità dell’arte, della sua ineluttabilità, della dedizione assoluta, fino alla morte, nei suoi confronti, che è palpabile nella prima scena del film, quando gli studenti, nei cui volti si può leggere quella pulsione per l’arte, si accapigliano per prendere posto al Covent Garden e assistere allo spettacolo. Nell’opera del cineasta italoamericano, tornerà ogni volta che si occuperà del rapporto tra arte e vita, come in New York, New York, anche nei suoi aspetti compulsivi, trattati in Lezioni dal vero, episodio di New York Stories. La commistione tra vita e rappresentazione artistica trova l’apice in Scarpette rosse, film che incarna lo spirito autentico del balletto, senza scadere nel musical e non limitandosi al teatro filmato. La scena di ballo centrale, del numero “The Red Shoes”, con la trasfigurazione delle scenografie teatrali in paesaggi onirici, sancisce la superiorità dello spettatore cinematografico, unico a percepire quei passaggi, il superamento della dimensione teatrale in favore di una più ampia, cinematografica.

La megalomania con cui Powell ricostruisce in studio le vette himalayane di Narciso nero può essere paragonata a quella di uno Sternberg, con il risultato di ottenere un esotismo dai colori pastello, da libro di illustrazioni d’epoca, assai più affascinante di un realistico documentario National Geographic. E gli strapiombi del film appaiono ancora vertiginosi nonostante, visti oggi, la loro evidenza di effetto ottico ottenuto con un “glass-shot”. Le poche scene girate in esterno di questo film sono state fatte nel Sussex, nei giardini esotici dove sono stati importati rocce, alberi e fiori dall’Himalaya. Questo fa comprendere la sensibilità britannica di Powell, simile a quella di quei vecchi ufficiali o aristocratici dell’Impero che, affascinati dalle Colonie, cercavano di ricrearne gli ambienti nelle proprie dimore. È un Blimp che vive in un mondo da operetta, incarnato in Scarpette rosse e che prova una profonda affinità per il suo ufficiale prussiano, alter ego del collega ungherese con cui instaura un sodalizio artistico che dura diciotto anni. E malato di anglofilia è anche il produttore Alexander Korda, figura chiave del cinema inglese, che viene rappresentato dal personaggio dell’impresario Lermontov di Scarpette rosse. È stata proprio la forte opposizione di Korda a evitare che Powell e Pressburger cedessero alle profferte di Hollywood, come invece aveva fatto Hitchcock. E con il maestro del brivido va segnalata una curiosa parabola di allontanamento e riunificazione. Powell infatti inizia la sua carriera negli anni ’30 proprio con sir Alfred e, quando quest’ultimo torna nella perfida Albione a conclusione della sua, realizza Frenzy che si richiama palesemente a Peeping Tom. Forzando un po’, si può dire che il maestro sia diventato l’allievo.

La britannicità dei due cineasti può includere elementi sgradevoli: come negare, in Duello a Berlino, i massacri compiuti dalle truppe di Sua Maestà nelle guerre boere, ma allo stesso tempo comprende un’apertura all’incontro con altre culture. Narciso Nero è tutto incentrato su questo conflitto, tra cattolicesimo e paganesimo, civilizzazione e ascetismo, puritanesimo e sessualità, in definitiva tra cultura e natura. Le suore del convento da un lato e dall’altra la sensualità animalesca della danzatrice indiana con il gioiello al naso, interpretata da una Jeans Simmons camuffata, ancora una volta una imitazione.
Grande merito quindi per Vieri Razzini anche nel far conoscere opere poco note in Italia. Spiace dover rilevare come, a parte i sempre suoi ottimi commenti, la quantità di materiale tra gli extra davvero misera in confronto a quella delle edizioni Criterion, che ormai stanno facendo uscire Powell & Pressburger in Blu-ray, o anche delle francesi dell’Institute Lumiere. Ma per il mercato italiano è già tanto.

COLLEZIONE POWELL & PRESSBURGER (Flamingo Video)
Duello a Berlino (The Life and Death of Colonel Blimp), regia di Michael Powell e Emerich Pressburger, Gb 1943, 163′
Narciso nero (Black Narcissus), regia di Michael Powell e Emerich Pressburger, Gb 1947, 100′
Scarpette rosse (The Red Shoes), regia di Michael Powell e Emerich Pressburger, Gb 1948, 133′