UN GIORNO TUTTO QUESTO LIVORE SARÀ INUTILE

Pare che Terraferma di Crialese sia piaciuto molto al critico del New York Times.
Non so chi sia, il critico del New York Times.
Ma posso pensare che sia vero: qualche mese fa, a New York, ha avuto luogo la manifestazione “Open Roads: New Italian Cinema” (1-8 giugno) e i titoli in rassegna erano firmati Castellitto, Salvatores, D’Alatri, Manfredonia, Mazzacurati, Lucini e Molaioli.
Il nuovo cinema italiano.
È un dato di fatto: forse non è nuovo, ma questo è il cinema italiano.

“Il fatto che i Paesi anglosassoni abbiano capito il film mi conforta, ho ottenuto quello che volevo: fare un film con un linguaggio universale, che parlasse al mondo e non solo all’Italia. Sono curioso di vedere che effetto farà al Festival di Toronto” (E. Crialese, Il Corriere della Sera, 11/9/11).

Non c’è molto da aggiungere sullo stato della critica cinematografica in Italia. Abbiamo intrapreso questa rubrica un po’ per gioco, sapendo già come sarebbe andata a finire. Si è trattato di un’operazione programmatica, ammetterlo non è un problema: nessuno si illudeva di restare sorpreso dall’atteggiamento dei quotidiani e dalle parole che avrebbero stampato. Sapevamo già cosa avrebbero detto, dove sarebbero andati a parare e che cosa ci avrebbe divertito. Il livore era solo una finta.

La novità è un’altra: per la prima volta alcuni quotidiani hanno deciso di non inviare al Festival di Venezia il proprio critico.
Il caso più eclatante: Repubblica ha lasciato a casa Roberto Nepoti e per i reportage dal Lido si è affidata a Natalia Aspesi (che, come è già stato appurato, è la miglior critica italiana a non scrivere di cinema, a suo modo una pioniera), Arianna Finos e Maria Pia Fusco, una squadra tutta al femminile di attempate cheerleaders ancora capaci di ardite coreografie e arcrobatiche genuflessioni. Interviste, copia incolla di dichiarazioni catturate durante le conferenza stampa, gli abiti di Keira Knightley e Gwyneth Paltrow, gli attributi di Michael Fassbender, Monica Bellucci (nuda) e Vincent Cassel (il più elegante), Clooney (e la Canalis?), Timi (“prezzemolino”), Olmi vs Crialese (“La leggenda del santo migratore”, La Stampa 7/9/11).

È solo l’inizio. Rassegnamoci alla scomparsa del critico: l’unica consolazione è che non sarà l’unico a sparire. Arriverà il tempo in cui le cheerleaders lasceranno il posto ai comunicati d’agenzia, perché anche le divise colorate e i pon pon hanno un costo; e le agenzie ridurranno il proprio personale assumendo (ma anche no) part-time stagisti neo-diplomati. In cima agli articoli spariranno le firme, così come le iniziali puntate in coda. Finché i comunicati d’agenzia non si scriveranno da soli.

Intanto, lasciamoci dire dalle parrucchiere come sono i film, lasciamo che scrivano di Sokurov e Polanski – ma anche della Comencini, ci mancherebbe – come si parla di calcio al bar, che si tiri in ballo la “poesia” per tutto ciò che fa venire il magone e lo “scandalo” per tutto ciò che non lo fa, lasciamo che siano Marzullo e Roberto Saviano a dirci cos’è il cinema, o Paolo Guzzanti: “Terraferma è un bellissimo film perché ben fatto, ben scritto, ben girato, ben interpretato e quasi devastato da una fotografia troppo smagliante. L’ho goduto e applaudito, sicché sono stato contento vedendolo premiato per banale patriottismo”

Come dice il mio barbiere di fiducia: “Secondo me dovrebbero limitarsi a scrivere la trama del film, non mi interessa quello che pensano. Chi sono per dirmi se il film è bello o brutto?”.