La discussione che, da parecchi mesi, occupa le pagine di Cinema Nuovo (così che il titolo di essa, Sciolti dal «Giuramento» sembra quasi diventato il titolo di una rubrica) ha preso le, mosse da un articolo di Renzo Renzi; e a me sembrò, fin dall’inizio, che essa nascesse male. Tanto che, subito, intervenni polemicamente, a mostrare come premesse, deduzioni, argomentazioni e conclusioni fossero, in quello scritto, sballatissime. A distanza di parecchi mesi, debbo constatare che i successivi interventi sono rimasti tutti nella linea di Renzi, replicandone gli stravaganti errori, e solo rincarando la dose, come s’usa nelle malattie ostinate. Perché questi giovani (che non sono nemmeno di primissimo pelo) intendono proprio curare una malattia che sembra li affliggesse, dalla quale essi presumono di esser guariti e dalla quale vogliono ora pietosamente guarire tutti gli altri che ne sarebbero affetti.

Renzi e i seguaci suoi hanno iniziato col fare una confessione o autocritica che dir si voglia. Benissimo. Ma come? Tutti si sono comportati come quella caricatura del funzionario comunista, che a volte si sente ripetere. «Compagni, vogliamo fare un po’ di autocritica? Allora diciamo subito che voi non avete capito niente della linea politica del partito, che siete dei settari, dei massimalisti e, qualche volta, anche dei gretti opportunisti, degli incapaci, degli idioti, dei mascalzoni e, insomma, oggettivamente dei traditori». La caricatura è divertente e anche intelligente perché ha il merito di indicare, all’evidenza, ciò che non si deve fare. Ed invece è quello che hanno fatto quegli scrittori che, sciolti dal giuramento, hanno sciolto anche la penna e riconquistatasi (dicono loro) la libertà di pensare, ne fanno piovere, a iosa, parole in libertà. Essi sono passati, da una sbrigativa ammissione di qualche loro scusabile errore e di qualche loro colpa veniale, alla severa denuncia dei madornali errori e delle mostruose colpe della critica di sinistra. Qualcuno non si è nemmeno limitato a questa indebita generalizzazione delle proprie malefatte, né si è limitato, attribuendole alla critica di sinistra ad elevarle a potenza; ma gliene ha attribuito mille altre, ancor più nefande. E qualcuno (intendo il mio amico Vento) è passato addirittura a una requisitoria contro la politica culturale del Partito comunista, imputato da un altro (il patito Massimo Mida) di avere dei dirigenti che gettano acqua sul fervido entusiasmo dei giovani. Infine: io non posso trovar soltanto divertente e riderne ma solo allibire, quando un Paolo Gobetti, colla sua statura, scrive a conclusione di qualche sua elucubrazioncella, che “si tratta di mettersi sulla nuova strada”, indicata da lui e che «solo così la cultura marxista saprà meglio elaborare i suoi principi estetici».

Cominciò dunque l’agghindato carneadino della critica cinematografica, Renzo Renzi, a montare in cattedra e ad elencare sette capi d’accusa contro la critica di sinistra; ed io, nella mia risposta, mostrai, pazientemente, punto per punto, che quelle imputazioni non ci toccavano affatto (noi, critici di sinistra) e che, semmai, esse andavano rivolte ai nostri avversari. Dopo aver, beninteso, cercato di fargli capire che la critica di sinistra non è un’associazione a delinquere, legata da un giuramento di omertà, e che lui, intendendola come tale e presumendo di farne parte, aveva dato prova – come dire? – diciamo: di poca comprensione. Renzi dichiara di aver profuso lodi (che egli credeva, e crede, immeritate) al film di Čaurelij, Il giuramento, e al film sovietico in genere, per ragioni di propaganda politica. (C’è bisogno di citare Lenin: che la forza della nostra propaganda sta nel dire la verità?) Egli si crede, quindi sciolto da questo giuramento di omertà, perché la Literaturnaja Gazeta ha pubblicato che il film di Čaurelij è stato un contributo al “culto della personalità” di Stalin. Ed ha dimostrato così di essere ancora lontano dal possesso di quella libertà di pensare, che egli crede di essersi conquistato, dopo tanto, non richiesto, conformismo. Ma è proprio necessario spiegare che la libertà di pensare non piove mai dall’alto e che non te la può dare la Literaturnaja Gazeta, è proprio necessario spiegare che non bisogna confondere la Literaturnaja Gazeta coll’Arma dei Carabinieri e che è una pretesa puerile (sebbene abbastanza diffusa) quella di credere di poter fare la rivoluzione coll’autorizzazione, in carta da bollo, dei carabinieri?

Tutte queste cose io le avevo già apposte con altre parole, a Renzo Renzi, al quale voglio ora dire, con molta serietà e franchezza, che egli ha scritto senza riflettere e che la spensieratezza, in uno scrittore significa trasgressione al proprio dovere verso il pubblico. Colla stessa serietà e franchezza voglio chiedergli: a chi giova uno scritto di accuse generiche (perché non fare nomi e non produrre documenti e prove?). Se pensa che i lettori meno preparati possono esser tratti a condannare prima la critica di sinistra e poi, sulla scorta dei seguaci di Renzi, tutta quanta la sinistra e i suoi partiti, bisogna dire che la campagna Sciolti dal «Giuramento» giova proprio ai nemici della libertà. Renzi, che ha già oscuramente sentito e pubblicato, proprio nell’articolo in questione, che “si può esser agenti di qualcuno anche senza saperlo” adesso lo sa, ne è stato avvertito, polemicamente certo, ma senza mettere in dubbio la sua buona fede. E se egli vuole ragionare e agire conseguentemente, deve fare una nuova, e migliore autocritica, alla quale, non dico la critica di sinistra, ma i suoi lettori hanno diritto. E dico autocritica perché non credo che egli sia passionista, cioè di quelli che fanno le confessioni in pubblico e, se il suo mea culpa fosse fatto unicamente al suo confessore, non servirebbe a nulla.

La validità artistica o meno de Il giuramento non può essere discussa qui, da me. Non perché sia una questione indifferente, e tanto meno per la sede di questa discussione. Giacché Cinema Nuovo (pur negando naturalmente i compartimenti stagni che separino la politica e l’arte) è soprattutto una rivista di cinema.
Sarebbe bene rivedere, e far rivedere il film, e poi aprire su di esso una discussione rigorosamente critica. Comunque l’importanza del Giuramento sta soprattutto nel fatto di aver richiamato l’arte del film alla strada maestra che da quando mondo è mondo, è la strada della grande arte: quella dei grandi temi e degli interessi collettivi, quella che tratta il destino di tutto un popolo. Solo nel peggior periodo della borghesia si è creduto di potere fare arte e di interessare il prossimo coi «fumetti» antelettera che descrivevano interminabilmente gli umori e i malumori di qualche isolato nevrastenico, innamorato di una ragazza, che aveva il buon senso di non volerne sapere. Se ne potrà riparlare.

Se la discussione non coinvolgesse questioni serie e importanti, per il film e per la cultura, si potrebbe finire, invitando i lettori di Cinema Nuovo a leggere, come per un “finire”, l’ultimo intervento di un tal Caldiron di Padova: tanto palese è, in questo scritto, il rovesciamento della verità, così totale e sistematico, da sembrare addirittura fatto per burla. Costui rimbrotta la critica di sinistra per la sua “provincialità”, la imputa delle più gravi colpe, tra l’altro di starsene oziosamente a “guardarsi l’ombelico”, ignorando Croce, Russo, Fubini e Brunello Rondi. Critica provinciale? Ma in quale parte del mondo sono, come in Italia, tradotti, noti, studiati e discussi tutti gli autori cinematografici di qualche rilievo, da Pudovkin a Béla Balázs, da Ejzenštejn ad Arnheim, da Grierson a Lawson, da Sadoul a Ždan? Per dire solo i primi che vengono alla mente? Dove si è avuta una rivista che ha informato criticamente gli altri, come Lebedev, Groll, Iros, Timošenko, Rehlinger ecc.? Dove si ha una Storia delle teoriche del film, ricca e informata come quella dell’Aristarco? E, per “il processo di osmosi”: i libri di Chiarini sono stati tradotti in più lingue, in russo come in spagnolo; la Storia delle teoriche del film è studiata nella scuola statale di cinematografia di Lodz, la Storia del cinema italiano di Lizzani è anche tradotta; io stesso sono stato insegnante, nel ’49, a Lodz, dove son state pubblicate le dispense e via discorrendo. E allora l’ombelico? Ma forse è l’autore a cui, come direbbe il Belli “je s’è sciorto el bellicolo in fontana”.

“A tutt’oggi non ho visto chi abbia parlato del saggio di Brunello Rondi sul neo-realismo italiano”. Se il nostro patavino leggesse l’Unità si sarebbe accorto che io ho dedicato a quel libro un articolo di tre colonne. Del Russo si sono occupati il direttore di Cinema Nuovo e il direttore di Filmcritica; mentre Luigi Chiarini ha pubblicato sulla rivista Belfagor uno dei suoi articoli più impegnativi; è da credere dunque che l’esistenza di un Luigi Russo fosse giunta all’orecchio del Chiarini. Il quale doveva avere qualche idea anche dello idealismo filosofico italiano, se Giovanni Gentile gli ha scritto una prefazione per il suo primo libro, Cinematografo, e se Benedetto Croce gli ha scritto una lettera personale per discutere o meno dell’artisticità o meno del film. Forse anche il filosofo di professione e professore di università Galvano della Volpe, che è autore del problematico e profondo Il verosimile filmico, non ha sentito nominare Croce per la prima volta dal signor Caldiron di Padova. Lo stesso si può affermare anche per Libero Solaroli, che uno dei più fini scrittori di cose cinematografiche, oltre che professore di lingua e letteratura francese. Ignora forse il Croce Carlo Ludovico Ragghianti, che ne è stato ideale discepolo e il cui primo scritto a stampa fu pubblicato proprio su La Critica? Ignora il Croce il sottoscritto che, ancora oggi, si sente qualificare di crociano assai spesso e, recentissimamente, dalla Enciclopedia filosofica?
E il Fubini, e Arte e critica? Ma quel libro non fu recensito al suo apparire, ancora da me, e proprio su di una rivista cinematografica, Filmcritica? Forse i nomi che io ho fatto non ricorrono troppo di frequente nelle riviste lussuose che si stampano in carta patinata a spese del denaro dei contribuenti. Ciò avviene perché le personalità citate sono la critica cinematografica di sinistra. Che è la sola critica valida. E, per spiegarlo al patavino, col suo Croce, perché “in tempi di reazione la sola letteratura valida è quella di opposizione”. Mi pare che molti di questi signorini, sciolti dal giuramento, abbiano fatto la figura de l’arroseur arrosé. E mi permetto di consigliare loro, restando nell’antiquata metafora: “claudite iam rivos pueri, sat prata bibere”.

(Cinema Nuovo, anno VI, n. 117, 1° novembre 1957)