In una delle sue ultime opere – il trailer girato per la Viennale di quest’anno – Chris Marker ha ipotizzato l’esistenza dello spettatore perfetto, agognato fin dalle origini del cinema: Bin Laden che, platonicamente prigioniero della propria caverna, fissa lo schermo televisivo su cui si inseguono le sagome di Tom e Jerry. Con il consueto distacco ironico, il cineasta francese recentemente scomparso ha sigillato la messa in crisi dell’immaginario occidentale post-11 settembre su cui tanti teorici si sono soffermati nell’ultimo decennio. Marker, come Godard, ha spalancato la strada a una modalità autoriflessiva dell’audiovisivo che oggi è più attuale che mai. E se in Italia manca ancora uno studio della critica cinematografica per mezzo dell’immagine (fatta eccezione, forse, per le incursioni notturne di Ghezzi & Co. su Fuori Orario), ci è parso doveroso portare allo scoperto una pratica ormai ampiamente diffusa in ambito internazionale, della quale proprio Marker va considerato un precursore. Il rapido (ma approfondito) sopralluogo in un territorio per lo più ignoto è stato possibile anche grazie al lavoro di Laura Rascaroli, studiosa del cinema in prima persona, e Catherine Grant, curatrice della rivista online Frames e ideatrice del canale Audiovisualcy.

E se qualcuno si è stupito per la rilevanza acquisita da una regista come Chantal Akerman all’interno del poll indetto ogni dieci anni dalla rivista inglese Sight & Sound, ciò non può che essere letto come il segnale forte di una tendenza del cinema contemporaneo: un rinnovamento che passa attraverso nuove pratiche, leggere e radicali. Proprio quelle indagate nell’altro speciale di questo numero, dedicato ad alcuni registi italiani impegnati a portare avanti la propria idea di cinema in maniera autonoma e decisa, voltando le spalle all’appiattimento circostante. Peccato, dunque, che il Festival di Venezia, pur presentando un’interessante selezione italiana, abbia sostanzialmente abbandonato un percorso di ricerca in ambito internazionale, caratteristica che riteniamo imprescindibile per una manifestazione di prima grandezza. A preservare questa vocazione è stato, così, il Festival del Film di Locarno, nel cui mare magnum della direzione Pére ha fatto improvvisamente irruzione Leviathan di Véréna Paravel e Lucien Cataing-Taylor, una delle opere più sconvolgenti degli ultimi anni.
Tra gli abissi oceanici e le volute celesti, su onde incerte e pericolose, veleggia spedita una nuova forma cinematografica, senza bandiera ma corsara.
Daniela Persico / Alessandro Stellino