Le mie ragioni, quelle consapevoli, sono a posteriori, perché quando ho deciso di fare questo film non ho fatto dei ragionamenti, non mi sono domandato quali potessero essere i messaggi da comunicare. Piuttosto sono stato mosso da un sentimento. Leggendo il Vangelo mi sono molto commosso, ho ritrovato me stesso e l’esperienza di tutte le umane vicissitudini e ho sentito il desiderio fortissimo di tornare a raccontare questa storia con un film. Da quel momento mi sono adoperato solo per questo, affrontando e superando ogni ostacolo.

 
Solo ora che il flm esiste e anch'io comincio a esserne spettatore posso ricostruire dei motivi. Direi che un motivo è richiamare le ragioni di una spiritualità che non ha bisogno di apparenze esteriori, di ricchezza, di cornici preziose. Su Re è in un certo senso un film severo, nello stile essenziale e ruvido, nell’assenza di musiche, nel prevalere dei silenzi, nella scelta dell'interprete di Gesù privo di bellezza esteriore.
 
Un altro motivo di questo film è rappresentare le ragioni della speranza e del desiderio di riscatto che è nell’animo di tutti. Quello stesso sentimento che avevo provato io leggendo il Vangelo. Forse è proprio questo il messaggio principale, la speranza. Un sentimento che è dichiarato esplicitamente nelle ultime parole del film, quelle del profeta Isaia, recitate in sardo da mio padre, Michele Columbu, parole che alludono alla Resurrezione: “A pustis de tanti dolore Issu torrata luchere, e cun Issu su mundu”. Ma la speranza, che forse si nutre anche di ragioni contrarie, è anche nella rappresentazione della violenza. Una violenza che non è mai mostrata per fare spettacolo né per soddisfare una curiosità morbosa e che per questo si associa all’idea del male e della barbarie, sollecitando il bisogno di giustizia. 
 
Nel film la speranza è anche nel coraggio e nell'orgoglio di Maria che di fronte a Pilato e alla folla che invoca la morte di Gesù dichiara l'innocenza del figlio e implicitamente afferma un principio di giustizia.  È in Giuseppe D’Arimatea, l'uomo che si presenta a Pilato per domandargli di seppellire il corpo di Gesù e, pur in un mondo dominato dalle temibili ragioni del potere, si definisce con l'appellativo più antico e profondo che qualifica un legame: come "un amico". La speranza è nel volto fragile di Giuda che forse è anch'egli strumento di una necessità. È nei volti silenziosi dei poveri e dei malati che condividono le sofferenze di Gesù. È anche nella debolezza di coloro che sono più vicini a Gesù, gli apostoli, che sembrano non capire mai quello che dice il Maestro, che si addormentano, fuggono, lo rinnegano, ma poi troveranno il coraggio per dichiararsi apertamente. La speranza è nell’idea generale del film, nella rappresentazione della storia in Sardegna, in un luogo diverso da quello storico che sta per ogni luogo del mondo in cui la stessa storia può vivere e tornare a rivelarsi.