Questo doppio numero di Cinema & Film esce in un momento particolare, un momento che sembra pretendere – più di quanto avvenisse nei precedenti numeri – un intervento che superi la semplice azione per il cinema degno d'essere seguito e incoraggiato […].

In altre parole, le agitazioni universitarie italiane, i fatti del Maggio: il risveglio politico, ci arricchiscono e ci aprono orizzonti, ci impongono come individui e come uomini di cinema. Non ci costringono però a improvvisi «aggiornamenti», che possono manifestarsi ora come rifiuto (o accettazione a denti stretti) di un cinema immediatamente engagé, ora come rinuncia tout court al cinema: bisogna appendere la macchina da presa e prendere il fucile… Sappiamo di condurre una battaglia settoriale, non ce ne vergogniamo, riteniamo anzi di potere così operare trasformazioni concrete. […]
 
In questa azione settoriale, poi, vogliamo che Cinema & Film si qualifichi sempre di più come una rivista per il (nuovo) cinema italiano (quindi, implicitamente, contro i facili orecchiamenti della situazione del momento; non basta più prendersela con Petri o Lizzani; bisogna non avallare le operazioni aggiornate dei debuttanti i cui film di proposito non figurano nel sommario di questo numero). In questa direzione intendiamo muoverci col n. 7, che nascerà direttamente dalla «presenza» dei nuovi film di Bertolucci (Partner, fin da ora «manifesto» per il nuovo cinema italiano), Pasolini, Ferreri, Taviani, dai debutti di Schifano, Amico, Ponzi, Brunatto, dai film di alcuni stimolanti «sperimentalisti», da tutte le altre opere di giovani che si annunciano e che non abbiamo ancora visto. E non si tratta solo di un problema di qualità – che è fondamentale, beninteso – ma anche della proposta di nuove strutture produttive (nel caso degli «sperimentalisti», anche distributive), che fin da questo numero affrontiamo con la nostra prima tavola rotonda, e sulle quali torneremo. Bisogna insomma, proponendo un «fare cinema» diverso, stabilire anche le nuove relazioni fra l'opera, i suoi (indispensabili, piccoli o grandi che siano) finanziatori e il pubblico al quale l'opera è rivolta (al quale l'opera appartiene).
 
Dedicare un numero di C&F al «nuovo cinema italiano» non significa tanto consacrare (sia pur criticamente) qualcosa che già esiste come dato, quanto intervenire concretamente, e in prima persona, entro qualcosa che (forse) è en train de se faire – le opere, se non gli autori e una politica, lo testimoniano validamente – e di cui comunque ci interessa la dinamica […].
La struttura dichiaratamente aperta di questo numero implica anche che il N.C.I. non ci interessa soltanto dal punto di vista degli autori; ci interessa anche, e in concomitanza, da quello della produzione, distribuzione, ecc. o, meglio, dal punto di vista globale e dialettico di una figura, ancora inedita o appena nascosta, di autore-produttore-distributore, di cineasta totale, che sia intellettuale nella mischia, militante di base uguale ad altri militanti, e perciò maggiormente responsabile nei confronti di se stesso e del pubblico al quale si rivolge. […]
 
Ci chiediamo se valga la pena, a proposito di nuovo cinema italiano, parlare della critica italiana. Non ci sentiamo immodesti – dal nostro punto di vista, che è quello di chi si sente sempre meno «critico» e sempre più cineasta – nel rilevare il desolante livello di un'attività che vede i generosi classificatori accanto agli ignoranti recensori: in quasi tutti manca il senso che fare critica è fare cinema (e viceversa); che fare riviste di cinema o scrivere recensioni o curare pagine dello spettacolo dovrebbe essere un intervento creativo (e politico), non un'attività d'informazione, di passiva trasmissione.
 
(Estratti da: Cinema & Film, nn. 5-6, estate 1968, e nn. 7-8, primavera 1969)