Dopo i Re Magi di El cant des ocells e il Don Chischotte di Honor de cavalleria anche in Historia de la meva mort ricorri a figure archetipiche, come Casanova e Dracula. Come mai? E in che modo le elabori in fase di scrittura?

In alcuni casi penso che la maggior parte della gente conosca gli archetipi a cui mi riferisco dunque preferisco far a meno di mostrare i loro aspetti più tipici, come si fa generalmente in un film "normale". Penso che quasi tutti siano a conoscenza delle caratteristiche principali riguardanti il plot o il personaggio, quindi fin dall'inizio mi concentro piuttosto su ciò che riguarda lo stile e l'atmosfera. Il resto lo trovo abbastanza noioso e può diventarlo anche in fase di riprese: una delle mie regole fondamentali è che le riprese non debbano mai essere noiose. Anche per questo motivo tendo a inserire cose divertenti, assurde, perché creano a loro volta la possibilità di generare altre cose interessanti. Come sapete giro tantissime ore e il mio proposito, al momento delle riprese, è girare materiale interessante, perché poi in sede di montaggio ciò mi mette in uno stato d'animo allegro e mi sforzo di capire come contestualizzarlo. Questo puoi farlo solo se dimentichi tutto ciò che ha a che fare con gli aspetti drammatici e psicologici più risaputi del plot o dei personaggi. Il secondo motivo, invece, ha a che fare con il fatto che i soggetti borghesi della contemporaneità mi interessano poco, le questioni di coppia, i problemi lavorativi, il fidanzato, la fidanzata… Non me ne può fregare di meno. Vengo dalla letteratura e la letteratura che amo è quella dei grandi temi, delle grandi ambizioni e dalla grande forza spirituale, e anche se capisco che con lo stile giusto anche questi "piccoli temi" – chiamiamoli così – possono raggiungere un certo valore, penso che la grande letteratura abbia più a che fare con lo stile che con il contenuto, perché è il primo a nobilitare il secondo e mai il contrario. Ecco perché mi interessano le grandi figure del passato, sono una grande fonte di ispirazione e mi aiutano a fare quello che mi piace. Girare un film è come fare un sogno, avere la possibilità di uscire dalla routine quotidiana, e se mescoli questi soggetti "alti" con la presenza di attori non professionisti tutto diventa molto più interessante. Ad esempio vedere che a interpretare Casanova è una persona qualunque, non un attore professionista… E posso dirvi che il personaggio del film è molto vicino a quello descritto nei Memoirs. Non che questo per me sia obbligatorio: i miei Don Chishotte e Sancho Panza di Honor de cavalleria erano molto diversi da quelli raccontati da Cervantes. Poi non so, magari il mio prossimo film sarà di tutt'altro tipo, dopo Don Chischotte, La Bibbia e ora Casanova forse vorrò partire da qualcosa di diverso, perché ogni nuovo film deve costituire una nuova scommessa.

Sembra che non solo non ti interessi la componente borghese della vita odierna ma che rifiuti la contemporaneità in toto…

Non saprei… Riconosco che ci sono cose interessanti anche nella contemporaneità, e in campo artistico c'è chi produce cose valide ma quello che intendevo dire è che non mi piace proprio l'idea di girare all'interno di un ufficio o nella cucina di un appartamento. Detesto queste ambientazioni tipiche della contemporaneità. Mi piace filmare all'aperto, in Paesi che conosco poco o niente, con attori non professionisti che interpretano Dracula o Casanova in un posto sperduto della Romania. Mettere la gente e i personaggi fuori contesto, in qualche modo. Credo che tutto dovrebbe sempre essere fuori contesto per essere più interessante. Tutto ciò ha a che fare con l'ironia, un altro elemento che ritengo fondamentale – e tenete presente che la questione dei non professionisti non riguarda solo gli attori ma anche la troupe tecnica, perché non mi affido mai a grandi nomi per la fotografia, il montaggio, il suono… Preferisco lavorare con gente che conosco bene, esperti ma non super professionisti, e questo può creare qualche problema in più ma aggiunge una particolare componente di ironia alla lavorazione, sul versante tecnico, perché altrimenti sarebbe tutto troppo perfetto, e la perfezione per me è detestabile. Per Historia de meva mort, per esempio, abbiamo deciso con il direttore della fotografia che il film sarebbe stato in 4:3 ma a un certo punto, nel mezzo delle riprese, ho cambiato idea e ho deciso che l'avremmo fatto in 2.35:1, esattamente l'opposto, ma non l'ho detto al direttore della fotografia! E non avete idea che divertimento è stato tagliare le inquadrature, perché a quel punto dovevo decidere se tenere la parte di sotto o quella di sopra, e non sempre questo era possibile, così abbiamo buttato via anche scene interessanti ma in cui questo lavoro non si poteva fare. Tutto questo ha dato al film maggiore libertà nella composizione delle immagini, proprio perché all'inizio era stato pensato in un altro modo!

Abbiamo letto che tu non stai mai dietro la macchina da presa e che non hai un monitor sul set. È vero?

Il monitor assolutamente, mai. Quanto a stare dietro la macchina da presa è vero in genere, ma qualche volta do una controllata. Non mi fido del tutto delle persone e allora preferisco dare almeno un'occhiata per limitare il rischio di avere terribili sorprese in fase di montaggio, scoprendo che qualcosa che pensavo andasse bene non è stata fatta così bene… E in generale, in questi ultimi film, parlo anche un po' di più con i miei collaboratori, ma senza modificare il mio stile, che si elabora sempre in una maniera molto caotica…

Possiamo dire che ti piace scoprire il film in sede di montaggio, quindi?

No, scoprire non è la parola esatta. Il problema è che se durante le riprese sei troppo concentrato sull'immagine, sull'inquadratura, perdi di vista tutto il resto. Cosa puoi vedere nello schermo? Nient'altro che una questione di composizione. Perdi l'atmosfera del set e, nel mio caso personale, faccio fatica anche a capire se l'attore sta recitando bene se guardo il monitor. Non mi piace l'idea di giudicare costantemente il mio lavoro, preferisco andare avanti con le riprese, avere fede in quanto sto facendo, perché se tutti gli elementi sono a posto, il film sarà buono e se nelle riprese ci sono cose interessanti si troverà il modo di dare vita al film con esse. Ho girato 440 ore e il film l’ho montato tutto da solo, nell'arco di un anno e mezzo.

In sede di montaggio ti piace essere sorpreso da quello che vedi?

No, non mi piacciono le sorprese! Preferirei trovare quello che penso dovrebbe esserci. Le sorprese non mi piacciono, in generale, non solo sul piano lavorativo. Perché quasi sempre si tratta di brutte sorprese! Per quello che ho potuto sperimentare della vita, l'80% delle sorprese sono negative. Raramente si tratta di buone notizie, qualcuno che ti chiama per dirti che vuole darti un milione di dollari, mai! Molto più spesso a chiamarti sono quelli che ti dicono mi devi ancora mille euro! È mia ferma convinzione che l'80% delle notizie inaspettate nella vita sono cattive, ecco perché cerco di tenermene alla larga, almeno sul lavoro, dove ho qualche possibilità in più di gestire la situazione.

Come si fa a stare alla larga dalle brutte sorprese?

Non è possibile al 100% ma cerco di farlo, ho i miei mezzi. Ad esempio rifiuto qualunque tipo di comunicazione sul set. Ho iniziato a farlo nel primo film e negli ultimi ho rafforzato questa mia convinzione. Innanzitutto con gli attori, ma anche con i tecnici e il produttore. Così sul set si crea una situazione per cui nessuno sa bene cosa fare, o quantomeno non ne ha un'idea precisa, non sa di che umore sono, se sono felice o insoddisfatto. Ma è la mia maniera di tenere sotto controllo ciò che non si può controllare fino in fondo.

Come avviene questo rifiuto della comunicazione. Intendi dire che non rivolgi la parola a nessuno?

Assolutamente. Se qualcuno viene a chiedermi "Ti piace come è venuta?", me ne sto zitto, oppure mi allontano senza rispondere. Cerco di non aiutarli a fare il loro lavoro, devono farlo da soli. Aiutarli sarebbe sbagliato, e poi, insomma, mica posso fare tutto io, come diceva Fassbinder! Ognuno deve assumersi i propri rischi, io mi prendo i miei, tu ti prendi i tuoi! Ma la gente non è abituata a questo rifiuto della comunicazione, perché il regista decide tutto – o almeno così immagino, non sono mai stato sul set di qualcun altro! -, oppure c'è l'assistente alla regia che tiene tutto sotto controllo, dice a tutti cosa devono fare e spiega cosa c'è nella testa del regista. Io credo in quello che diceva Godard, riguardo l'esistenza di tue tipi di registi: quelli che filmano ciò che c'è davanti alla macchina da presa, e quelli che filmano ciò che c'è dietro la macchina da presa. Lui era uno di quelli che filma quello che c'è davanti alla macchina da presa, e anch'io appartengo alla stessa categoria. È anche questa è una cosa che ho scoperto presto, non bisogna avere troppe idee prima di girare perché poi in fase di montaggio scopri che certe cose non sono venute bene e altre che non avevi pensato fossero così importanti invece sono venute meglio. Questo metodo funziona, perché non mi è mai capitato di avere solo brutte cose! L'importante è che il concetto alla base del film stia in piedi, sia inattaccabile. Anzi la parola giusta è «unfuckable».

Cosa intendi?

Nel senso che i miei film li devi prendere in blocco o lasciar perdere, ma dentro non ci sono errori, ti possono piacere o no, ma non ci sono cose sbagliate dentro: non voglio dire che siano senza difetti, quello non m’importa, quello che importa è la loro concezione, che in sé è «unfuckable»: non puoi andare nel dettaglio e dire «ah, questo è così… o forse questo è cosà…», no, si tratta del film intero. Bello oppure brutto, o addirittura eccellente oppure orribile, non puoi coglierlo con le sottigliezze. E io penso sempre che questo nuovo film, come gli altri, è «unfuckable», perché è oltre le possibilità di critica. Quando giro il mio scopo è riprendere cose interessanti, cose che renderanno poi al montaggio, che contribuiscono alla coerenza globale del film. Così, in un certo senso, il film è «unfuckable» perché tutto il processo delle riprese è un ‘sbagliato’, è difficile da spiegare: diciamo che il montaggio è un’operazione molto precisa, ma avviene su un materiale che è tutt’altro che perfetto, ha un sacco di sbavature, incoerenze. Così, quando inizi a montarlo, il materiale è pessimo, ma poi pian piano acquisisce coerenza e questa coerenza esiste perché la stabilisco io al montaggio: non può essere paragonata con qualcosa che esiste precedentemente a questa fase, per esempio con la sceneggiatura, per cui si possa dire: «Questa cosa l’avresti potuta fare in questo o in quest’altro modo». Quando vedi il film, non vedi il processo che vi è dietro, vedi solo il prodotto finale ed è l’unica che pioi immaginare. Per questo è «unfuckable», perché è qualcosa di molto calcolato, ma lo diventa solo dopo le riprese. Non devi chiederti qual era l’idea iniziale, cosa c’era nella sceneggiatura, cosa è successo nelle riprese, non puoi fare paragoni.

Torniamo a Casanova. Avevi già in mente quest'attore in particolare, che a quanto ne sappiamo è un curatore d'arte?

Certo. Non comincio mai a fare un film se non ho già in mente gli attori, ma forse saprete che non faccio prove, non le ho mai fatte. Il primo giorno delle riprese per me è anche il primo giorno in cui vedo un attore indossare il costume. Il protagonista del film lo conoscevo di sfuggita, ci eravamo incrociati in diverse occasioni, ma senza che ci fosse mai stato tempo per approfondire la nostra conoscenza. Questo dell'attore non professionista è un altro mito da sfatare, ad ogni modo: l'idea che sia necessario conoscerlo a fondo per creare un'atmosfera di intimità, etc. Sapete quella storia riguardo la maniera in cui Pasolini sceglieva gli attori? Era a Roma e chiese a Ninetto Davoli di andare da un tizio che aveva visto per strada e di presentarsi da lui con una mappa della città per farsi spiegare come raggiungere un luogo. Si trattava di un percorso complicato, difficile da spiegare e il tipo infatti si è messo a gesticolare e parlare in una maniera molto particolare e Pasolini pensava di comprendere se questa persona andava bene o no per il ruolo dalla maniera in cui il suo cervello processava le informazioni e le trasformava in gesti e parole. Per me si tratta della stessa cosa. Ho scelto alcuni attori dopo averli visti solo una o due volte per strada o in un bar. Nel caso particolare dell'interprete di Casanova, mi piaceva molto la maniera in cui si esprimeva, in cui parlava. Sapevo che aveva scritto molti libri e che era una persona colta, anche se c'era qualcosa che non avrei mai potuto immaginare: non era in grado di memorizzare niente! Trattandosi di un poeta non avrei mai previsto una cosa del genere: dentro di me dicevo "finalmente posso lavorare con una persona colta e sarà spontaneo ma allo stesso tempo avrà più capacità degli altri" e lui invece faceva enorme fatica a tenere a mente le battute!

Un altro personaggio molto interessante è quello di Pompeu…

Assolutamente: è un personaggio tragico, perché, ormai al suo terzo film con me, ha conservato tutta la sua innocenza, ma in un film dove non ce n'è più da nessuna parte: è questo che lo rende tragico. Mi piace molto quando, nel momento della sua morte, viene morso e si alza di colpo goffamente uscendo dall’inquadratura: non capisci se sia una cosa comica o meno, è difficile definire quale sia il tono, l’atmosfera di quel momento, ma perché in generale è la sua posizione nel film a fare problema, non trova il suo posto, è troppo innocente per essere lì.

La sceneggiatura, o il soggetto che ha presentato ai responsabili del canale televisivo che ha prodotto il film era quella che poi hai girato o ha dovuto fare delle modifiche?

Sì, grosso modo era quella. Anche se avere i finanziamenti necessari sta diventando sempre più difficile Trattandosi di un canale nazionalista, catalano, i cui funzionari conoscevano bene i miei lavori precedenti, mi hanno finanziato a scatola chiusa, si può dire. D'altra parte sprecano così tanti soldi per fare brutti film che a nessuno importa realmente se ce n'è uno migliore! Credo che il fatto che esistano persone come me rende più utile la loro esistenza. Se spendessero tutti i loro soldi per produrre stronzate la loro vita non avrebbe senso! Dare soldi a me li rende persone migliori! Succede la stessa cosa con i multimilionari che devolvono i propri fondi per atti di carità: devono compiere atti buoni per compensare tutto il male che fanno. Sono ottimista, da questo punto di vista, credo che riuscirò sempre a trovare qualcuno disposto a finanziare i miei film.

Che idea ti sei fatto del futuro del cinema e del tuo futuro in quanto cineasta?

Nel mio caso si tratta solo di soldi. Non voglio dire che lo faccio per i soldi, ma sono povero e vengo da una famiglia povera. Allo stesso tempo non possiedo un'ideale romantico del cinema. La letteratura è stata sempre la cosa più importante per me, la mia vera passione, e questo unito al mio amore per la gente del popolo e i non professionisti sono le due cose a cui non rinuncerò mai e che caratterizzano il lavoro che faccio.

Sono aspetti che ci ricordano quello che fa Straub…

Assolutamente, è uno dei miei maestri. Credo di avere un mio stile e non faccio così attenzione al linguaggio, alla parola, come fa lui ma si tratta di un punto di riferimento assoluto. In Spagna mi considerano un personaggio aggressivo, ma perché non ho peli sulla lingua, insulto colleghi e altra gente del'ambiente. E per vendetta nei confronti di tutta questa gente, di questi "professionisti", realizzo i film che realizzo, per dimostrare loro che utilizzando non professionisti riesco a fare film caratterizzati da più stile dei loro, film dotati di una sofisticatezza che loro non raggiungeranno mai. Trasformo la merda in oro, come fa Casanova nel film! L'attore che ho preso da un bar per fare Don Chischotte è il miglior Don Chischotte della storia del cinema e sfido chiunque a dire il contrario! Si tratta anche del miglior film in assoluto su Don Chischotte. Il misto di ambizione e innocenza che sta alla base del mio lavoro lo rende un gran film e il primo impulso che mi spinge a fare film è quasi sempre un moto di vendetta.

Visto che hai citato il processo alchemico di trasformare la merda in oro, ci piacerebbe sapere se anche la presenza del corvo, che è un simbolo di putrefazione, è voluta o è stata casuale.

Sul corvo ho una storia molto divertente da raccontare. Avevamo una persona che si occupava appositamente degli animali di cui avevamo bisogno sul set e a un certo punto mi ha chiesto se poteva interessarmi un corvo, capace di stare sulla testa delle persone, fa tutto quello che vuoi etc. Ho detto "certo, perché no?". Così gli ho chiesto di portarlo sul set e di mostrarmi quello che sapeva fare e lui teneva il corvo attaccato a un filo e lo faceva volare finché non cadeva a terra, perché arrivava alla fine del filo. Già questo sarebbe stato un problema, perché anche se il cavo era trasparente si sarebbe visto comunque, ma in ogni caso non l'abbiamo potuto utilizzare perché dopo qualche giorno l'abbiamo trovato morto dentro un'auto! Ho chiesto al tipo cosa fosse successo e lui mi ha risposto che aveva dato al corvo del gelato da mangiare ed era morto di polmonite immediata! Una storia davvero incredibile, ma vi giuro che non l'ho inventata.

Il film è stato girato in video, poi riversato in 35mm e dalla pellicola avete realizzato un DCP. Come mai?

All'inizio ho girato con due Alexa e ed era troppo complicato, mi facevano perdere molto tempo, e gli attori non riuscivano a essere ispirati, perché con gli attori non professionisti bisogna cogliere l'attimo e invece tutta l'attenzione che bisognava dedicare alle luci mi complicava il lavoraro. Così ho abbandonato le Alexa per le Sony ma è stato un incubo comunque… Durante le riprese ho scoperto che le Alexa hanno due slot per le cartucce ma non sono comunicanti e quindi non mi permetteva di girare per più di quindici minuti. Una macchina da 3000 euro e non fa questo lavoro! Ovviamente il direttore della fotografia era preoccupato perché con la Sony la qualità non sarebbe stata altrettanto buona ma chissenefrega. Preferisco che la memoria a disposizione mi permetta di girare scene più lunghe. Mi auguro che un giorno qualcuno inventi uno strumento che non mi dia tutti questi problemi e sia più funzionale al lavoro che faccio. Quanto al riversamento in 35mm, l'ho fatto perché mi piace la grana della pellicola e mi piacerebbe poter mostrare il film in pellicola anziché in DCP. Detesto l'estrema definizione di un certo tipo di digitale.

Un'ultima domanda, più generale: com'è la situazione per i registi che vogliono fare cinema d'autore in Spagna?

La domanda andrebbe riformulata, perché io sono l'unico a fare cinema d'autore in Spagna! E, certo, per me tutto diventa sempre più difficile. Per ricollegarmi alla domanda che avete fatto prima: i responsabili del governo sono vecchi, ormai, e si sono ritirati, e i giovani non sono altrettanto colti, preparati, quindi gli unici finanziamenti davvero importanti arrivano dal mondo dell'arte. Se lavori in quell'ambito tutto è possibile, puoi fare quello che vuoi e sei ancora più «unfuckable» perché c’è molta confusione e nessuno sa bene cosa pensare, se qualcosa è valido o meno, c’è molto caos e questo mi piace, è lo stesso caos che tento di creare durante le mie riprese, una sospensione del giudizio. Questo è molto bello e cerco di applicarlo anche ai miei film, ma allo stesso tempo ci tengo a preservare un’innocenza nei miei film, perché tutti i film hanno a che fare con l’innocenza: per fare un film ci vuole fede e per avere fede bisogna essere innocenti. È come credere in Dio, e a Dio non fai questioni, non puoi criticarlo, devi avere fede. Quindi per fare un film devi essere innocente e avere fede in quello che fai. Come vi ho detto ci sarà sempre qualcuno che mi darà dei soldi per pulirsi la coscienza. Il giorno in cui io smetterò di fare film queste persone si renderanno conto che la loro vita non ha più senso e si suicideranno. Ne sono assolutamente convinto.

(Intervista realizzata con la collaborazione di Francesco Boille).