Nello stesso anno in cui mette in scena un Jason Statham avido di giustizia con l'opera prima Redemption, Steven Knight da' vita a un one man movie dove ancora una volta l'uomo è capace di affrontare la propria catarsi. Girato quasi in tempo reale, Locke è un viaggio in auto che va da Birmingham verso Londra; poco meno di un'ora e mezza in cui Ivan Locke vedrà dissolvere intorno a sé tutte le certezze costruite in una vita: una famiglia amata e un lavoro stabile.

Ambientato interamente in auto, tutti gli avvenimenti (by)passano attraverso l'altoparlante del vivavoce. Lungo il tragitto, Ivan rimane costantemente in contatto con le pedine del destino; una telefonata dopo l'altra in cui decide di prendersi le proprie responsabilità e cercare di aggiustare le gravi conseguenze che ne derivano. Lascia a casa moglie e figli che lo aspettavano per la consueta partita in televisione; decide di non andare al giorno di lavoro più importante di sempre per un solo errore: a Londra sta per partorire l'amante di una notte conosciuta in una trasferta lavorativa pochi mesi prima. Si troverà quindi costretto a confessare il tradimento alla moglie e cercare che "la più grande colata d'Europa" programmata per il giorno seguente (Ivan è un rispettato costruttore) vada comunque a buon fine, nonostante la sua inusuale assenza.

Oltre alla magistrale prova interpretativa di Tom Hardy (ai suoi massimi insieme a Bronson), risiede proprio nell'escalation di distruzione psicologica del personaggio e nei dialoghi telefonici il punto forte di Locke – non mancano neanche frangenti in cui mentre il protagonista sta al telefono con il collega di lavoro che lo deve sostituire, allegorie sul calcestruzzo e altri momenti riescono a strappare qualche sorriso. Knight non doveva certo dimostrare la sua bravura da sceneggiatore visto i precedenti – quella de La promessa dell'assassino di Cronenberg è sua, per dirne una – non riesce invece a essere incisivo a livello visivo, né qui né in Redemption, le uniche due opere dove fin'ora si è cimentato sia a livello di scrittura sia a livello di regia. Lo script di Locke non da sicuramente adito a nessun tipo di virtuosismo, ma il reiterato passaggio dall'interno del veicolo alle luci della notte, anche se ottimamente rappresentata, rende il tutto troppo minimalista e alla lunga noioso.

La vita di Ivan Locke continua inesorabilmente a sgretolarsi: la moglie sembra non accettare il suo tradimento ("tra 'mai' e 'una sola volta' la differenza è tutto", gli dice); il capo, "The bastard" come si vede scritto nell'agenda, lo licenzia immediatamente. Londra è sempre più vicina e la forte sicurezza iniziale nel poter vedere risolti tutti i problemi lentamente scompare, facendo strada a un crollo psicologico sempre più acceso. Credeva di poter risolvere tutto Ivan Locke, ma evidentemente non si possono aggiustare le crepe nell'anima delle persone così facilmente come quando si utilizza il calcestruzzo.

La motivazione che lo spinge a compiere un gesto così estremo e autolesionista risiede nel suo passato. Durante il tragitto infatti a più riprese parla direttamente con il fantasma del padre seduto sui sedili posteriori, guardandolo dallo specchietto retrovisore. Ivan Locke non vuole essere come il padre che lo ha abbandonato e trascurato, vuole prendersi le sue responsabilità e subirne le conseguenze. Questa risulta una trovata sicuramente obbligatoria per dare un senso alla propria decisione, ma allo stesso tempo forzata, creando una semi-psicosi del personaggio che, trauma infantile o meno, sembra proprio non appartenergli.

 

Locke, regia di Steven Knight, USA/Gran Bretagna 2013, 85'.