La notizia dell’improvvisa morte di Paolo Rosa mi era sembrata troppo incredibile, troppo inverosimile, per rendermi veramente conto che Paolo non ci sarebbe stato più. Io, come tutti coloro che lo hanno conosciuto, ero attonita, sgomenta, spaventata dal vuoto provocato dalla sua mancanza. Ieri invece, alla cerimonia funebre alla Fabbrica del Vapore, abbiamo tutti dovuto accettare che Paolo non c’è davvero più, che non avremo mai più modo di incrociare il suo sguardo luminoso, che non avremo più il privilegio di stargli seduti di fronte e osservare il suo volto attento e pacato mentre ci ascolta parlare di una nostra idea, mentre ci regala un po’ del suo prezioso tempo. Paolo viveva giornate infinite, non so come ventiquattro ore potessero bastargli, trovava tempo per tutto e per tutti: per una riunione in Studio su un nuovo progetto, per ascoltare uno dei suoi studenti di Brera, per scrivere, per interessarsi alle cose nuove, per seguire la realizzazione delle sue opere insieme ai suoi collaboratori, per idearne di nuove, per insegnare, per conoscere le persone, per interrogarsi sul fare arte, per continuare ad essere sempre curioso, aperto, riuscendo a non trascurare i suoi tre figli e la compagna di sempre Osvalda.

Ho avuto il privilegio di collaborare con lo Studio Azzurro su due progetti, il film Il mnemonista, girato proprio alla Fabbrica del Vapore alla fine degli anni 90, quando ancora era uno spazio industriale dismesso, e la video-installazione Megalopolis realizzata per la Biennale Architettura 2000. Per la mia formazione il periodo di lavoro con lo Studio Azzurro è stato un momento fondativo; non solo è stato entusiasmante partecipare alla loro “bottega”, entrare in relazione con Paolo, Fabio, Leonardo, Stefano e tutti coloro che lavoravano lì, è stato illuminante e fonte continua di ispirazione, anche oggi, un perenne punto di orientamento. Orientamento, sì, perché penso a Paolo e allo Studio un po’ come a una stella che guida, che orienta flotte di naviganti dell’arte, di ricercatori di immagini e suoni, di creatori di immaginari, di sperimentatori, di artigiani visivi. Aver condiviso, anche se brevemente, la pratica teorica e artistica del lavoro di Studio Azzurro nel processo del fare, è stato un passaggio a cui idealmente, segretamente, continuo a fare riferimento, e sono certa che sia così per tutti quelli che hanno incrociato il loro percorso con quello dello Studio.

Paolo è stato un artista rigoroso, di grande coerenza etica e per nulla “protagonista”, uno sperimentatore di grande umanità, in relazione profonda con i suoi compagni e collaboratori, un ricercatore di sensazioni tra le cose vere e “semplici” della vita: le emozioni che ci muovono, che ci fanno sentire di essere insieme agli altri, proprio come gli “ambienti sensibili” delle sue opere.

E’ stato anche un maestro vero, di quelli che ti ascolta e ti aiuta a capire, che ti insegna a pensare facendo. Un giorno andai da lui per parlargli di un progetto di film che volevo fare su mia madre: sentivo l’urgenza di fare quel film, ma ero spaventata, ero smarrita, e volevo un consiglio da lui, ingenuamente speravo che lui mi desse “l’idea giusta” per iniziare il lavoro. Parlammo nella piccola sala riunioni dello Studio, allora alla Bovisa, raccontai a Paolo della storia drammatica di mia madre, gli mostrai le foto e i diari, ciò che intanto avevo scritto, e, come una bambina, gli chiesi “secondo te come lo devo fare questo film?”… Lui osservava le immagini e le carte poste sul tavolo e mi ascoltava in silenzio, con grande attenzione, e con quel suo modo rassicurante, timidamente mi disse che non poteva dirmi nulla, che non aveva consigli per me, che non c’era un modo piuttosto che un altro… Mi disse che io “sapevo” come lavorare a quel progetto tanto importante per me. Non dimenticherò mai quel momento, quell’insegnamento così rispettoso nei miei confronti proveniente da un uomo tanto grande e geniale. Da allora non ebbi più paura e trovai dentro di me il modo per fare Un’ora sola ti vorrei e in seguito gli altri film.

Voglio continuare a pensare a Paolo anche un po’come a un mago e un illusionista, con quel suo sorriso che aleggia agli angoli della bocca, anche l'altro ieri, quando continuava a guardarci dalla grande e bellissima foto proiettata sulla parete della “cattedrale” della Fabbrica, con quella sua tipica espressione po’ sorniona e al tempo stesso leggera, anche in quel momento di insostenibile pesantezza. Forse sta solo aspettando che qualcuno di noi tocchi lo schermo e… che l’immagine video prenda vita nuovamente, proprio come in una delle sue video installazioni…