Il film di Joaquim Pinto – regista, produttore e soprattutto tecnico del suono portoghese a servizio di autori come Monteiro, De Oliveira e Ruiz – si apre con un mollusco in primo piano che striscia tra gli arbusti, solleticato da un vento leggero e inebriato da un lume solivo che ne accentua rughe e imperfezioni. È l’immagine-emblema del film, diario torrenziale di un anno passato tra aeroporti e ospedali: sieropositivo da anni (e affetto da una grave forma di Epatite C), Pinto filma senza filtri sequenze intere di giornate e sofferenza. Il suo interlocutore risiede nella macchina da presa: è a lei che racconta ogni passaggio, ogni momento e ogni sensazione del proprio vissuto. Che non circoscrive esclusivamente l’arco temporale di cui sopra: il viaggio intellettuale e sentimentale di Pinto condensa in egual modo i momenti decisivi del passato, quelli dell’anno appena trascorso e quelli di un futuro incerto. Vi sono momenti in cui il regista – nonostante l’incedere della malattia e lo stress causato dagli effetti collaterali dei medicinali assunti – lavora felicemente sul montaggio visivo e, soprattutto, su quello sonoro: le sonorità della natura e delle città s’impongono come dispositivo imprescindibile e sinestetico delle implosioni emotive dell’autore.

Il film vive volontariamente nel caos, ed è grazie a questa confusione che E Agora? Lembra-me sviluppa ragionamenti e riflessioni di delicata grandezza sul destino e le finalità dell’essere umano. Il resoconto di Pinto destruttura e scinde immagini e attività ideali di corpo e mente indagandole in ambito cinematografico con straordinaria potenza, giungendo a un importante risultato finale: il suo film è totale, violento, inaudito e sfrontato. In grado di veicolare impressionanti smottamenti esistenziali anche quando il suo autore è semplicemente riverso sul letto, fiaccato dalla stanchezza e dai dolori. O quando la luce del sole, ancora una volta, rischiara la natura attorno alla campestre abitazione che divide con Nuno, compagno fedele coinvolto e inglobato nei meccanismi del film, con il quale consuma un vorace rapporto sessuale: atto estremo, doloroso e necessario di sfogo e umanità.

È un film coraggioso non tanto perché piazza davanti la macchina da presa un malato di HIV, ma perché non teme il disordine: il racconto è scombinato, ricco di momenti anaforici e, nel contempo, tra loro eterogenei. Contesti e situazioni si ripetono per poi sparire di colpo, e riapparire più avanti, senza rispetto per qualsiasi forma di congruenza; si tratta pur sempre di un diario, è vero, ma la volontà di Pinto è di farne un quaderno esperienziale. E l’esperienza non si ottiene con l’ordine: come diretta e fluviale conseguenza di questo teorema, sullo schermo affiorano più e più volte i cani del protagonista, la flora selvaggia, la memoria di un passato che sfugge il confino della mera malinconia. La storia di Pinto non è mai schematica: viene indistintamente avvolta dal vento, dalla pioggia, dal caldo, contaminata da tutte le sensazioni insopportabili ma necessarie e vitali per comprendere la grandezza del film: la noia, su tutto. Senza noia viene meno tanto dolore, e senza dolore non c’è esperienza che tenga.

Non manca un sotteso livello di fascinazione: c’è un continuo volgere lo sguardo – da parte del regista – a notiziari, telegiornali, programmi d’informazione trasmessi in tv. Le notizie scorrono implacabili e incontestabili: Pinto le osserva, sfinito dal sonno mancato che gli distrugge l’esistenza. La sua sofferenza è talmente tanta, ed è talmente compromessa la sua capacità di ragionare in maniera lucida – lui lo sa, lo ammette più volte – che quelle notizie, fagocitate senza moderazione nel percorso dell’opera, perdono validità effettiva per diventare realtà trascesa, trasfigurata.  E Agora? Lembra-me non evoca speranze, paure o desideri: corre libero, al di là del bene e del male, oltre ogni dicotomia che ne affievolirebbe il vigore. Incide tracce profonde ma indispensabili: è cinema vissuto allo stato puro, senza sconti.

 

E Agora? Lembra-me, regia di Joaquim Pinto, Portogallo 2013, 164'.