Con la rivoluzione dei Gelsomini la Tunisia ha dato avvio ad un fermento culturale e civile senza precedenti innescando un contagioso levarsi di proteste e rivendicazioni nella società civile di tutto il mondo arabo. Con l'approvazione di una nuova costituzione, lo scorso gennaio, la Tunisia si lascia alle spalle due dittature durate quasi mezzo secolo. Anni scanditi da ordinari abusi di potere e drastiche limitazioni alla libertà d'espressione. Ora che il peggio sembra essere superato abbiamo chiesto a dei cineasti tunisini di raccontarci il loro rapporto con la censura e le strategie inventate per aggirarla.
 
Il 14 gennaio 2011 una folla eccitata esultava nel centro di Tunisi. Festeggiava la fuga in Arabia Saudita di Zine el-Abidine Ben Ali, 23 anni presidente della repubblica e capo delle forze armate, in carica dal 1987. Da quel giorno tutta la società civile tunisina si mobilita, scrive, twitta, discute, manifesta, rapita da un’euforia contagiosa. In Tunisia inizia la costruzione della prima democrazia solida tra i paesi arabi, che ormai avanza sotto l’ala protettiva del neonato articolo 31 della nuova costituzione, approvata il 27 gennaio 2014. L’articolo garantisce piena libertà di opinione, di pensiero, di espressione, di informazione e pubblicazione, ciascuna da esercitarsi senza alcun controllo preliminare. Un dettaglio non da poco, quest’ultimo: un organo di controllo preventivo delle informazioni permetteva a Ben Ali di aggirare un corpus di leggi che già garantiva, solo sulla carta, pieni diritti e libertà. Un metodo già ben rodato dal suo predecessore, l’ormai padre della patria Habib Bourguiba, presidente in carica per 30 anni (1957-1987). Finché si è trattato di censurare media piramidali, stampa e televisione in testa, Bouguiba ha dormito sonni tranquilli, mentre la rivoluzione digitale e l’esplosione di internet hanno regalato a Ben Ali ben altre problematiche. La circolazione libera dei video su internet sembrava tra le maggiori preoccupazioni del regime. Grazie ai cyber-attivisti di nawaat.org, un blog di attivisti tunisini, sappiamo che nel 2007 l’ATI (agenzia per il controllo informatico) blocca l’accesso a siti popolarissimi di video-sharing come Dailymotion e Youtube, come anche la pagina della biografa in francese di Ben Ali su Wikipedia. Un particolare curioso: a questo dispiego di forze draconiano per ostacolare la proliferazione di video sul web non sembra corrispondere una censura cinematografca altrettanto severa. Eppure il cinema ha nel paese un’amplissima diffusione e la comprovata capacità di penetrare tutti gli strati sociali. Scorrendo un editoriale del 2006 sul sito uffciale delle Journées Cinématographiques de Carthage, il più importante festival cinematografco del mondo arabo, si legge che “la Tunisia vanta una censura cinematografca (diversamente da quella televisiva) indubbiamente tra le più morbide del mondo arabo”. Incuriositi da questo aggettivo siamo andati a Tunisi per abbozzare un affresco dello stato attuale del cinema tunisino, e per chiedere ad alcuni dei registi più popolari di raccontarci la loro esperienza di questa “censura morbida”.
 
Due volte vincitore alle JCC, Nouri Bouzid è una fgura chiave della cinematografa araba. Bouzid ci ha aperto le porte del suo appartamento a Tunisi per raccontarci i suoi trascorsi con la censura. Dopo un breve tour ci invita a seguirlo in cucina, e mentre ci prepara un caffè restiamo incantati dal sofftto, interamente tappezzato di locandine di flm. “Sono i miei amori” ci dice in un francese dal forte accento musicale. Poi ci porge le tazzine colme e inizia a raccontarci: “Ho cominciato a scrivere il mio primo flm, L’Homme de Cendres, mentre ero assistente alla regia su dei flm stranieri. Ho scritto e girato il flm in totale libertà dopo aver ottenuto la sovvenzione dal ministero. Parlo di pedoflia e delle origini di tutta una generazione tunisina violentata da una società patriarcale. Con il personaggio del signor Levi volevo mostrare che nel quartiere dove sono cresciuto c’era una comunità ebrea, ed eravamo amici. Questa presenza è stata il capro espiatorio per proibire l’uscita del flm. Mi hanno accusato di sionismo. Dopo un lungo negoziato col ministero ho dovuto tagliare, nel negativo, la cerimonia funeraria in yiddish del signor Levi, ma l’etichetta di sionista mi è rimasta per anni”.
Insieme a Bouzid ci spostiamo in una piccola stanza luminosa: di fronte ad una grande fnestra c’è un materasso a terra sormontato da un’amaca, un groviglio di corde nautiche attaccate al sofftto incornicia delle mensole piene di bamboline e ricordi. Su una mensola siedono due piccoli spaventapasseri di venti centimetri. “L’idea per il mio prossimo flm parte da questi piccoli spaventapasseri che ho fatto. Parlerà di una ragazza che torna dalla Siria dopo aver vissuto la così detta Jihad del sesso. Ora molti dicono che si è trattato di una montatura di Bashar Al Assad, ma noi ne conosciamo i protagonisti e sappiamo che è accaduto. Racconterò il percorso di questa ragazza verso la ricostruzione della propria identità”. Nel flm Making Of (2006), Bouzid aveva già affrontato il tema del fanatismo religioso. Le sue posizioni politiche, nettamente a favore di uno stato laico, gli sono già valse un’aggressione in strada nel 2011, per fortuna senza conseguenze. Anche se il regime è caduto Bouzid invita a non abbassare la guardia: “Nella Tunisia attuale quello che mi disturba non è più la censura strutturata e strutturale dello stato, ma la censura della società.
In questa fase ci sono molti che giocano al rilancio per sembrare più vicini a Dio rispetto agli altri: è un atteggiamento pericoloso. Perché il potere può incoraggiare e legittimare i gruppi estremisti ad intimorire un certo tipo di critiche. Il succo è che adesso siamo in un periodo indimenticabile per libertà d’espressione, ma c’è il rischio reale di beccarsi una pallottola in testa”. Poi sdrammatizza con un sorriso e conclude : “Io ho ancora una fglia minorenne, me ne devo occupare!”. Se per il maestro Nourid Bouzid i problemi sono incorsi per i temi trattati, per Salma Baccar nota regista tunisina, le problematiche sono partite dalla sua identità di genere. La incontriamo dopo qualche giorno di rinvio, la regista è infatti impegnata da quasi un mese nella stesura della nuova costituzione tunisina. Ci accoglie di fronte alla sede della costituente, durante la pausa pomeridiana della preghiera, permettendoci di superare le guardie e il flo spinato che avvolgono l’intero parlamento. Dopo i controlli di routine, ci conduce verso una sala conferenze che rimarrà vuota per almeno mezz’ora, il tempo che può concederci per l’intervista. "Ho scritto Fatma 75 nel 1975 in occasione dell’anno nazionale dei diritti della donna. Era un momento epocale per la Tunisia, sia per le tematiche, sia perché quello sarebbe stato il primo lungometraggio con questo soggetto girato da una regista donna. Ero molto emozionata e sentivo il peso della responsabilità di questo “privilegio” concessomi. Il flm ha come tematica principale l’evoluzione storica della condizione femminile in tre periodi storici tunisini: il periodo 1930-1938 che aveva condotto alla creazione dell’Unione Nazionale della donna tunisina, il periodo 1938-1952 che aveva condotto alle due lotte per l’emancipazione della donna e l’indipendenza del paese e il periodo posteriore al 1956 con le acquisizioni di diritti delle donne. Nonostante fosse stato censurato direttamente dal ministero il flm venne censurato a più riprese e per differenti ragioni in alcune sue parti fno al 2005, anno d’uscita del mio terzo flm Fleurs de l’Oublie.
 
Due furono i casi più eclatanti, sotto i due differenti dittatori tunisini. Sotto Bourguiba a causa della posizione che veniva concessa alla fgura di Bchira Ben Mrad, fglia di un noto politico progressista degli anni '20-'30, che fondò nel 1937 la prima organizzazione femminista tunisina. Una donna di importanza fondamentale per il lento processo di liberazione della donna in Tunisia e anche per il movimento anticolonialista e nazionalista: all’inizio sostenne la politica di Bourguiba, ma venne dallo stesso allontanata e messa a tacere per ragioni di convenienza una volta conquistato il potere. Io m'imposi di fronte ai tentativi di mistifcazione della sua fgura sottolineando il mio ruolo di cineasta come testimone della verità. Lo Statuto del Code Personale delle Donne non era nato dal niente o dall’arbitrio del dittatore, come voleva la versione uffciale di Bourguiba, ma dalla lotta di molti militanti, soprattutto donne, che avevano creato una possibilità dialettica differente di fronte al soggetto. Questo era il messaggio che il flm avrebbe dovuto passare.
Sotto Ben Alì avvenne un altro caso insopportabile. Per l’8 marzo mi chiesero di passare il flm in televisione, ma senza la mia presenza a commentarlo. Accettai a malincuore. Sarebbe stato il primo passaggio su scala nazionale in patria del flm. Ero ansiosa e piena di speranza. Ma avvenne qualcosa che mi ferì molto e che ancora mi tocca ad anni di distanza. A poche ore dalla messa in onda la mia pellicola venne scambiata con un altro flm algerino senza alcun preavviso o spiegazione. Feci alcune telefonate, ma senza esito. Le motivazioni arrivarono molte settimane dopo, con mia grande rabbia. Il flm era stato censurato perché c’era “troppo” Bourguiba. E questo per Ben Alì, nuovo padre della nazione, era intollerabile. In questo episodio la natura della censura venne fuori in tutta la sua complessità e assurdità: ad un solo decennio di distanza il flm era stato censurato per due ragioni radicalmente opposte.
Negli anni la censura tunisina ha imparato a muoversi in modo sempre più insidioso negli interstizi della libertà di espressione, quasi senza essere percepita. E’ questo il caso di uno dei registi più giovani incontrati: Mohamed Zran, classe '59. Approfttiamo di una tiepida giornata di sole per incontrare il regista sulla terrazza di un caffè in avenue Bouguiba, il grande viale che spacca in due il centro di Tunisi. La carriera di Zran comincia a Parigi, dove studia cinema e scrive i suoi primi cortometraggi. La svolta nella sua carriera arriva nel 1996 con il flm Essaïda: “Volevo fare un flm che fosse vicino alla gente, alla vita quotidiana. Sono stato molto infuenzato dal cinema italiano”. Mentre parla i suoi occhi sembrano scorrere un catalogo immaginario: “ Rossellini, Antonioni, Fellini. Soprattutto Rossellini, mi ha molto colpito. Volevo fare un flm neorealista, parlare della società che vive ai margini e che rappresenta una larga parte della popolazione. Volevo uscire dall’immagine esotica, molto furba, che i flm tunisini andavano proponendo del nostro paese”. Improvvisamente la sua voce si riempie di entusiasmo: “È stato un successo! Quando Essaïda è uscito in due sale, proprio qui in avenue Bouguiba, c’è stato il delirio. C’erano migliaia di persone fuori dai cinema che volevano vedere il flm. Io stesso ho avuto paura. Sotto Ben Ali la polizia aveva paura degli assembramenti e alla fne hanno cacciato la gente a manganellate!”. Poi aggiunge con un sorriso complice: “I veri problemi li ho passati per far uscire il flm”.
Szran ci racconta i suoi trascorsi con la censura, praticamente una tragicommedia in due atti: “Tutto è cominciato con la sceneggiatura. All’inizio la commissione mi ha concesso la sovvenzione minima. Una cifra ridicola, secondo me apposta per non fare il flm. Per fortuna sono riuscito a continuare grazie ad un aiuto dei fondi europei, in Francia soprattutto. Sei mesi prima di girare sono tornato in Tunisia e ho chiesto alla commissione una seduta di revisione della sovvenzione. Sul momento me l’hanno negata, alcuni membri dissero che il flm aveva già avuto abbastanza soldi, e mi hanno accusato di fare un flm di propaganda contro il regime. Per fortuna però è successo un miracolo: nella commissione c’era un poeta che ha contattato il ministro e gli ha chiesto di difendere il flm a alla fne il ministro ha concesso un aumento della sovvenzione. Szran tace per un momento, quasi a rigustare lo stupore. Poi riprende “Ma i problemi non fniscono qui. Quando la lavorazione è fnita il flm é rimasto bloccato alla commissione censura, ci hanno chiesto diciassette tagli. Io non ho accettato nessun taglio, e li ho minacciati di raccontare tutto alla stampa estera. Sono stato ore a negoziare con il capo di gabinetto del ministro, e non ho voluto cedere. Alla fne, per non uscire a mani vuote dalla trattativa mi ha chiesto di aggiungere una frase alla fne del flm che dicesse che il flm era ambientato prima del 1987, cioè prima dell’arrivo di Ben Ali. Io l’ho messo alla fne dei titoli di coda e per soli due fotogrammi: nessuno l’ha mai letta”.
 
Moncef Dhuib, noto autore indipendente tunisino, proprietario di una sala di proximité – una sala di quartiere – è l’ultimo dei nostri incontri. Ci aspetta in una saletta in costruzione del Cinema Le Vog, nel quartiere de La Goulette, accanto ad un vecchio proiettore a pellicola. “Per me il cinema è in primo luogo un posto fsico, prima di ogni metafora ed arte. E’ per questo motivo che ho deciso di ristrutturare questa sala. In primis per avere qualche certezza nel futuro dopo la rivoluzione e in secondo luogo per i giovani di questo quartiere, per garantire loro delle visioni lontane dal cinema commerciale. Dall’inizio di Ben Alì ad oggi le sale cinematografche tunisine sono praticamente scomparse, passando da 120 a poco più di 20 in tutto il paese. Il cinema viene così colpito direttamente attraverso una censura esplicita ed implicita sempre più presente e capillare che si manifesta in differenti maniere. In primis una censura che sottostà a semplici regole di mercato. In secondo luogo la censura sulla sceneggiatura stessa che può essere direttamente attuata dalle commissioni statali. In terzo luogo una auto-censura intellettuale dello stesso autore-regista per timore di non ricevere fnanziamenti o per semplice servilismo, una sorta di collaudato cavallo di Troia costruito dall’apparato di repressione nelle due passate dittature. E’ importante però, di fronte allo stato della libertà di pensiero in Tunisia, non cadere nella retorica o nella nostalgia e riconoscere con lucidità le questioni che ancora oggi tormentano il cinema tunisino, contrastandole con le azioni ». Moncef Dhuib ci saluta con una calorosa stretta di mano, annunciando la prossima fne dei lavori del Cinema Le Vog in primavera inoltrata. Prima di congedarsi ci lascia in omaggio una copia non censurata della sua ultima commedia El sultan de la Medina. 
Lasciamo la Tunisia a pochi giorni dalla fne dei lavori dell’assemblea costituente. Il testo della nuova Costituzione viene approvato con una maggioranza di 200 voti a favore, 12 contrari e 4 astenuti, in data domenica 26 gennaio, pochi giorni dopo il terzo anniversario della rivoluzione del 14 gennaio che costrinse Ben Ali ad esiliarsi. Prima di abbandonare defnitivamente il suolo nordafricano approfttiamo di un ultimo fortuito incontro con Debora Del Pistoia, giovanissima blogger e cooperante del COSPE. Le chiediamo notizie sulle ultime decisioni della costituente in merito alla libertà di stampa e di espressione e sul destino che attende registi, attivisti, intellettuali del mondo dell'audiovisivo. “L’articolo 31 sancisce che «Lo Stato garantisce il diritto all’informazione e il diritto all’accesso all’informazione», ed è stato approvato grazie alla forte pressione della società civile e della Coalizione per la Libertà d’Espressione. È un articolo pieno di signifcati perché inserito in un contesto ancora oggi caratterizzato da nuove forme di censura implicite e da attacchi continui ai difensori della libertà d’espressione, avallati anche in sede giudiziaria con il pretesto di reprimere comportamenti contrari alla morale. È stato infatti salutato con soddisfazione dalle organizzazioni del settore mediatico, che applaudono anche l’approvazione degli articoli relativi alla costituzionalizzazione dell'HAICA (istanza indipendente di regolazione del settore audiovisivo). Stando alle sue prerogative e all'ormai decretata autonomia l'HAICA dovrebbe far voltare pagina ad un paese oppresso per 50 anni dal controllo ferreo e discrezionale del Consiglio Superiore della Comunicazione, aprendo fnalmente il settore a uno sviluppo democratico e indipendente. Si, penso che questo possa fnalmente preludere ad un cambiamento di rotta e forse alla scomparsa della -censura morbida- che ha minato il percorso artistico e intellettuale di tanti registi non allineati al potere. La Tunisia post-rivoluzione del gelsomino sta tornando lentamente a credere nello stato, e tra luci ed ombre, lascia ben sperare in un futuro più libero.”
 
[Ricerca nata grazie alla Borsa di ricerca Movin' Up, Mobilità nel mondo per giovani artisti italiani assegnata nel 2013 a Irene Dionisio nell'ambito del progetto «Il cinema nascosto». Si ringrazia vivamente il prezioso contributo di ATAC (Associazione tunisina d'azione per il cinema)] 
 
Fotografia di Irene Dionisio