C’è un luogo in cui il tempo si ferma, regalando la percezione dell’eternità. Un luogo impervio da raggiungere, nascosto tra i pendii irregolari del canyon che disorientano e spaventano. Per scovarlo bisogna perdere se stessi, abbandonare il proprio controllo sul mondo, provare attimi di assoluto smarrimento e profonda infelicità. Per trovarlo bisogna amare ed essere consapevoli che nulla ci appartiene e ogni cosa può svanire in un attimo, rivelando la propria natura d’ombra.

Questo luogo per Lisandro Alonso, uno dei più grandi artisti visivi dei nostri tempi, si chiama Jauja, caverna magica nel cui tempo sospeso ha luogo un nuovo abbraccio tra un padre e una figlia – persa fanciulla, ritrovata ottuagenaria – in una sfida alla prigione del tempo. Questo luogo noi lo chiamiamo semplicemente il cinema, quando ci provoca ad abbandonare i nostri soliti percorsi e ad addentrarci in nuove forme narrative, quando ci svela che dietro le immagini della rete c’è altro, quando è in grado di immergere il quotidiano nell’immaginario e viceversa. In questi attimi, nella caverna luminosa di Alonso, possiamo fare esperienza dell’infinito.

Il cinema è quanto di più lontano ci sia dalla piazza dei social network, dove riversiamo la superficialità delle nostre insoddisfazioni; ci costringe a metterci realmente in discussione, ci disturba nella quotidianità perché ci sbalza in avanti, oltre l’esperienza reale. Il cinema impone un confronto con le immagini digitali della guerra in Siria e ne rivendica il loro statuto di “gesto” politico, umano, ultraterreno, rompendo ogni possibile indifferenza (Silvered Water, Syria Self-Portrait, un film che resterà nella storia del documentario). Il cinema obbliga a una presa di consapevolezza sociale, in un’Europa eticamente devastata (Deux Jours, une nuit dei fratelli Dardenne). Il cinema ci accosta al candore e alla risolutezza della prima adolescenza, facendoci domandare quanto possa resistere quello sguardo nell’età in cui tutto si fa deserto (Le Meraviglie di Alice Rohrwacher).

Su alcuni di questi film ritorneremo più avanti: da Cannes siamo tornati con l’urgenza di confrontarci con l’enfant terrible Xavier Dolan e il suo intenso e struggente Mommy, ma anche con il desiderio di condividere le riflessioni di Godard (Adieu au langage), i doppi femminili di Assayas (Clouds of Sils Maria), la ricercata stilizzazione di Bonello (Saint Laurent) e altro ancora. E reduci dalla visione della serie TV più acclamata degli ultimi tempi (True Detective), abbiamo pensato fosse finalmente giunto il momento di affrontare la questione del rapporto tra cinema e serialità americana: per fare piazza pulita di ambiguità sul tema, e mettere ordine dove regna la confusione e con sbrigativa (e miope) sollecitudine si sostiene che il miglior cinema di questi anni l’abbia proposto il piccolo schermo.

Inoltre, siamo felici di aver potuto dare vita, per il secondo anno di fila, alla Filmidee Summer School, sostenuta in questa edizione dalla Fondazione Sardegna Film Commission. Nata per temeraria scommessa, crediamo possa diventare il luogo d’incontro reale tra i nostri collaboratori e i nostri lettori, creando momenti di confronto, di riflessione e di visione collettiva. In un momento in cui il rapporto tra autori e critica sembra incrinato, anche a causa della doppia crisi che investe il cinema (e la stampa), dal 24 al 31 luglio potremo contare sull’inestimabile presenza di ospiti come Alina Marazzi, Alice Rohrwacher e Gianfranco Rosi. E insieme ai 40 iscritti provenienti da tutta Italia trascorrere una settimana in riva al mare per festeggiare una comune passione dura a morire.

Daniela Persico / Alessandro Stellino