Il mio primo incontro con Ape (2012) di Joel Potrykus è stato da membro della giuria per Cineasti del futuro a Locarno. Essendo l'unico film di fiction americano nella selezione, la mia curiosità era già alta prima ancora che il festival cominciasse. Ape è stato una rivelazione, e la giuria era concorde: abbiamo assegnato a Joel il premio al miglior regista emergente. Una decisione facile: il film parlava al cuore della giuria internazionale con la sua storia profondamente politica riguardante i problemi socio-economici della middle class americana. Il nuovo film di Potrykus, Buzzard, che è stato presentato a South by Southwest e poi nuovamente a Locarno, continua quella esplorazione, guardando ad una America per la quale, per citare Buzzard, 2.000 dollari sono “il vero affare”. Potrykus rappresenta una merce di valore nel mondo del cinema indipendente, essendo qualcuno che lavora al di fuori del sistema messo in piedi da coloro che lavorano al di fuori dal Sistema. Il suo lavoro dovrebbe costituire una risposta per tutti quelli che trovano il cinema indipendente americano troppo preso a guardarsi l'ombelico, disinteressato a qualsiasi altra cosa che non siano i colpi di testa e le fisime di ricchi bianchi che vivono nelle maggiori città americane – Alex Ross Perry

Non essendo un fan del cinema narcisistico, ero molto scettico nei confronti di The Color Wheel (2012) di Alex Ross Perry, un film che sulle prime sembra essere poco più che un road movie scalognato, rissoso e nevrotico. Cazzuto e sfacciato, ti sfida a starci dietro ben sapendo di condurti verso un posto dove persino gli artisti più coraggiosi vanno molto raramente. Per dirla tutta, ero meravigliato. Non potevo smettere di parlarne. Più o meno, qualche veloce paragone con la New York soffocante del John Cassavetes degli anni Settanta o con le stanche arguzie verbali di un Woody Allen sarebbero stati accurati ma non al passo con quello che sarebbe venuto dopo, il successivo Listen Up Philip, presentato quest'anno al Sundance e poi a Locarno. Tanto regista quanto scrittore, Alex ritrae un romanziere egoista al culmine della propria carriera che potrebbe venir fuori da un capitolo della propria vita. Philip, interpretato da Jason Schwartzman, è un misantropo pedante che incarna tutto lo stile e il manierismo di Alex. È uno studio onesto ed eloquente che va molto più a fondo di una istantanea del successo o una lettera d'amore a Philip Roth. Il film dimostra quanto l'inevitabile connubio tra arte e commercio sia doloroso e a volte imbarazzante. Una parte di me cercava la rissa in questo articolo – Joel Potrykus

Alex Ross Perry: Vorrei iniziare questa conversazione da un punto che ci accomuna: cosa significa essere staccati dalle truppe del cinema indipendente americano, con il quale siamo di solito etichettati, e avere l'occasione di presentare The Color Wheel e Ape in Cineasti del presente a Locarno. Per me, è stato un momento cruciale e una conferma che il lavoro che stavo facendo era capace di raggiungere un pubblico più ampio, e il timbro di accettazione da un festival come Locarno avrebbe costretto a guardare al film diversamente.

Joel Potrykus: Era assolutamente il timbro di approvazione che da tanto tempo speravo di avere. Il giorno dell'annuncio, di colpo sono passato dall'essere un filmmaker del Michigan a un regista internazionale. Convalida assoluta. Non soltanto agli occhi di quelli che consideravano un passatempo quello che facevo con la mia gang, ma anche per me stesso e quelli che mi hanno supportato a lungo. Eppure, nonostante il successo dell'anteprima mondiale, i più in Michigan non avevano idea dell'importanza di Locarno, e solo dopo aver partecipato ad un miserabile festival locale laggiù la gente si è accorta di noi. Ridicolo, ma vero. C'era qualcosa di bizzarro. Noi eravamo parecchio piccoli e sconosciuti, venivamo dal nulla. Eppure chiunque era caloroso, e le proiezioni in sale da mille posti erano piene. Una cosa divertente. Ti ha intimidito la dimensione di Locarno? Ti sei mai sentito in dovere di difendere il diritto del film di essere lì?

Perry: A un party, dopo aver rivelato ad un produttore europeo il mio budget, mi hanno detto: “Con quei soldi non puoi fare un film che va a Locarno”. Da come l'avevo interpretata, avremmo potuto anche girare per Vienna, Lisbona o Lubiana, ma a Locarno ogni film e ogni poster ha dieci o quindici loghi di compagnie di produzione internazionali, e The Color Wheel, così come Ape, ne ha zero. In questo senso, era particolare essere ai festival internazionali (e noi eravamo abbastanza fortunati da farcela) ed essere comunque “il film americano” poiché ce la fanno veramente in pochi a raggiungere una tale esposizione per il resto del mondo. Così, in un certo senso, il punto non è difendere la nostra presenza là, ma smascherare l'opinione ottusa e di tanto in tanto giustificata che i cinefili hanno di quello che avrai di fronte se andrai a vedere “il film americano”, una formuletta che sta per “il film brutto, pieno di soldi e di attori che sono famosissimi per tutti tranne che per te”. Sembrava anche a te, come a me, di essere inavvertitamente diventato un ambasciatore part-time della cultura del cinema americano a low-budget quando andavi in giro con Ape?

Potrykus: Quei dannati loghi sembrano così professionali. Io non ne avevo nemmeno uno! Non credo di aver avuto una reazione negativa del genere perché vengo dagli Stati Uniti, almeno non in faccia. In genere, se c'era un po' di noia riguardo ad Ape, di solito arrivava dopo la descrizione della premessa del film. Un film su un comico da cabaret segretamente piromane forse suona molto “americano”. O magari come paccottiglia alla Troma. Penso che ovunque la gente fa fatica a capire che quel che conta non è cosa un film racconta, ma come lo fa. Per me di solito la storia non è importante quanto l'atmosfera e i sentimenti che cerco di restituire. E non posso mai immaginarmi a costruire una “trama”. Ma, sì, sono sicuro che dietro le spalle ci fosse un po' di fastidio verso un regista americano low-budget che provava a farcela all'estero.

Man mano che diventavo grande, il cinema europeo continuava a sembrarmi sempre esotico ed incredibilmente lontano. Non ero preparato ad un capovolgimento. All'improvviso ho creduto che fossimo gli ambasciatori non del cinema americano indipendente ma del Midwest come paesaggio. Le strade vuote di Ape e le noiose scartoffie del minimarket adesso erano esotiche. A Locarno hanno messo a fuoco lo spirito politico del film che normalmente negli Stati Uniti non colgono, la critica della situazione razziale ed economica. Per loro si trattava a tutti gli effetti di un film politico maturo. Così, scrivendo Buzzard ero molto più cosciente della prospettiva europea, e mi sono persino trovato a ridimensionare certi discorsi politici. Erano fin troppo ovvi nelle prime bozze. E comunque, persino adesso nei festival americani, registi e pubblico sono stupiti che io viva in Michigan e faccia film là. Io non avrei nessuna idea su come fare i nostri piccoli film a Los Angeles o a New York. Il Michigan offre, o piuttosto richiede, una grande autonomia per i registi. Sento che il prossimo grande passo è inevitabile, ma non sono ancora sicuro sulla rotta da tenere. Il tuo passaggio da The Color Wheel a una grande squadra e un talento famoso in Listen Up Philip deve averti causato un gran numero di mal di testa. O forse ha reso il tuo lavoro più facile, visto che adesso ti permetti budget reali e puoi delegare responsabilità a dei professionisti.

Perry: Ho provato qualcosa di simile girando un road movie in bianco e nero per esterni americani non identificabili. Sia all'estero che a casa gli spettatori riuscivano comunque a sentire quel senso di un'America sperduta e dislocata, a parte che qui era nostalgica e lì falsa e cinematografica come può esserlo la mia visione di Parigi negli anni Sessanta. In fin dei conti è giusto una questione di percezione, direi. Non vedo l'ora di vedere come Listen Up Philip verrà accolto all'estero. Stavolta abbiamo qualche logo carino, ma giusto tre. Continuavo a ripetere al mio direttore della fotografia Sean Williams, con cui ho girato tutti i miei film, che stavolta sarebbe stato diverso e molto complicato. La sua risposta era “Questa è gente che si siede ad un tavolo e parla. È la solita cosa che abbiamo sempre fatto”. Ma io sono riuscito a mantenere quella ostinata indipendenza che avevamo scoperto lavorando con i nostri amici. Per questo il film è stato molto semplice da realizzare per me. Il solito direttore della fotografia, il solito mucchio di attori, e così via. I principali attori del mio primo film, Impolex (2009), compaiono in Listen Up Philip. C'è qualcosa di onesto in quello che va oltre la credibilità artistica, nell'essere semplicemente un essere umano rispettabile con una qualche idea di lealtà. Sei pronto a voltare le spalle al modo di fare film in Michigan o vuoi continuare ad approfittare dei loro incentivi fiscali, portare una produzione larga e scritturare i tuoi soliti attori fianco a fianco con volti noti? È assurdo che la gente sia sorpresa che tu viva in Michigan quando chiunque, da Jim Jarmusch ad Arnaud Desplechin, adesso va a girare là.

Potrykus: Beh, se c'è stato un elemento che ha convinto Jarmusch a girare a Detroit è stato l'incentivo fiscale che hai nominato. So che conosce la storia della città e la cultura musicale, ma alla fine principalmente è stato per i costi. Noi non siamo mai stati abbastanza qualificati per quegli incentivi perché i nostri budget sono stati sempre molto bassi. Se rimanessi lì a fare film, sarebbe soltanto perché amo lavorare con la gente del mio gruppo, Sob Noisse, e non per altro. Avremmo parecchio da dire su queste cose, credo. Autorizzazioni, permessi, assicurazioni, avvocati, uno non deve pensare a queste cose mentre gira. E la mia rendita è così bassa.

Conto di rimanere in Michigan il più possibile. È importante restare con persone che ti comprendono, che sono lì da sempre. In linea di principio vorrei continuare a fare i miei film in Michigan con Sob Noisse e, come hai detto, ingaggiare qualche star assieme ai miei soliti sospetti. E questa è la posizione un po' strana in cui mi trovo adesso. Dopo che Buzzard ha avuto successo al SXSW e Oscilloscope ha deciso di prenderlo senza nemmeno aspettare l'anteprima, la gente se ne interessa. C'è gente a Los Angeles che vuole organizzare degli incontri in cui io racconto loro cosa farò dopo. Mi hanno anche consigliato di trasferirmi lì. Un regista una volta mi ha detto “Non trasferirti a Los Angeles finché ti vogliono lì”. Questo è successo poco meno di un anno fa, e non mi sarei immaginato di trovarmeli alla porta così presto. Comunque io resisto e continuo a credere non sia indispensabile per un regista essere lì, a meno che non sia uno che aspira ad essere risucchiato dal sistema. E io non lo sono. E, come previsto, la prima cosa che vogliono da me è che faccia qualcosa per la TV. Non ho mai avuto granché per la televisione, e probabilmente è al di sopra delle mie capacità. So che tu hai avuto, forse hai ancora, una strana esperienza con la televisione dopo aver fatto The Traditions. Non si sa molto su quella serie, io ho letto soltanto voci poco affidabili su internet. Se non ne viene fuori nulla, quanto meno hai messo in piedi un alone di mistero. Cosa puoi e non puoi dire del suo futuro e cosa succederà?

Perry: Quello che posso dire è che ogni persona che ho incontrato, con cui ho parlato, con cui sono andato in giro per festival ha lo stesso identico problema. I registi che hanno presentato i loro film a Cannes dicono di non avere abbastanza soldi. Quelli che considero i miei eroi non riescono a farsi finanziare i progetti che hanno sempre sognato. Quindi quando noi americani fantastichiamo su questi presunti fondi statali in Europa a me tornano in mente le conversazioni con incredibili registi internazionali che hanno gli stessi problemi di volta in volta, al di là del numero di loghi che i loro film riescono ad avere. Una cosa interessante che ho imparato allora è che io e tu probabilmente avremo un film in un festival a Los Angeles, qualche riunione, forse persino un agente. Ma noi bramiamo un certo tipo di riconoscimento e ci sentiamo orgogliosi per essere stati accettati in festival di livello mondiale, come abbiamo appena detto. I registi internazionali che ho conosciuto sono talmente ingannati dal sistema di Hollywood, vorrebbero tanto farci qualche accordo, magari qualche affare. Stranamente sembrano volersi limitare alla televisione, come hai detto. Non ho idea di come un regista europeo nella media, piuttosto stimato, con accesso ai finanziamenti pubblici si senta ad avere due o tre show televisivi da piazzare in giro, ma immagino pensino sia una sciocchezza. Gli artisti del cinema sono presi molto più sul serio fuori dall'America e si dà loro occasione di essere rispettati per ciò che fanno, anziché provare a spremerli con scadenze e vincoli.

Racconto questa storia per la prima volta: quello che mi è capitato dopotutto non è così straordinario a Hollywood, intendo la televisione che si fa a Hollywood. Piuttosto è una versione in piccolo di quello che sembra sia successo a Noah Baumbach quando ha provato ad adattare The Corrections di Jonathan Franzen. Prendi me e te quando abbiamo fatto The Color Wheel e Ape. Nessun capo, nessun finanziamento in bilico, nessun piano aziendale. Prendi un regista che ha imparato a fare di maniera propria, e prova a metterlo dentro un posto in cui i contenuti sono regolati dai piani aziendali. Potenzialmente è una situazione pericolosa, e quando ti trovi di fronte questi padroncini ci sono decine di cose che potrebbero cambiare da un momento all'altro. È duro, penso abbiamo fatto del nostro meglio per produrre qualcosa di cui potessimo essere fieri. Ma poi all'improvviso ti svegli un giorno e qualcuno ai piani alti ha cambiato idea a proposito di qualcosa, e, così come niente, un anno di lavoro è scomparso nel vuoto. Alla fine, sono orgoglioso di aver scoperto che alle condizioni attuali è incredibilmente difficile riuscire a fare qualcosa che non c'è verso di utilizzare. Persino un film finito male può essere messo su Vimeo o simili. Quell'alone di mistero è l'unico risultato che ho ottenuto ed è molto meno soddisfacente del mio obiettivo iniziale, quello di “dare ai registi la speranza di essere apprezzati non soltanto dai giudici internazionali del gusto ma anche da corporation che esistono in primo luogo per fare prodotti che fanno soldi”. Se ci fossero ancora le videoteche, spedirei in giro qualche DVD masterizzato su cui i predatori di tesori prima o poi si imbatteranno. Credo nei personaggi che ho creato e spero che prima o poi in qualche maniera possano tornare a vivere.

Lascia che ti chieda qualcosa che ho domandato ad ogni regista incontrato negli ultimi cinque anni in giro per il mondo: ti daresti mai la pena di accettare un lavoro che potrebbe diventare parte di un progetto aziendale? Quando la gente si lamenta della difficoltà di portare avanti progetti personali, prima o poi salta fuori la domanda “Perché non accettare un contratto?” Per noi farsi assumere da Hollywood, persino per un lavoro indipendente, è virtualmente impossibile. Vuoi avvicinarti un po' di più a quel mondo tramite Buzzard, o continui a puntare ad una autonomia completa, se non proprio per sempre, almeno per il momento?

Potrykus: Credo sia un rito di passaggio quello che hai attraversato. È praticamente un archetipo – venire stritolati dalla macchina e imparare come manovrarla dall'interno. Poi rialzarsi ancora una volta per fare un favorito al Sundance. È una classica storiella hollywoodiana. Sono sicuro che deve essere una esperienza molto tosta, almeno per un po', e anche formativa. Non ho le idee molto chiare su come funzioni il mondo di Hollywood. Ho voluto starne lontano più che ho potuto. La gente spesso mi domanda che tipo di film farei con cinque milioni di dollari. Per quanto suoni stupido, farei esattamente lo stesso tipo di film che faccio adesso. Non ho proprio idea di come si possano spendere cinque milioni. Sembrerà una battuta, ma non mi viene in mente di meglio che metterne da parte quattro e mezzo e spendere soltanto cinquecentomila dollari per la produzione. Ovviamente dovrei capire come spendere cinquecentomila dollari. Non voglio che si pensi che il mio lavoro sia furbo. La mia estetica lo-fi viene da sé con i budget con cui lavoro. C'è tanto di cinematografico da taccheggiare in Michigan proprio perché siamo ignorati da tutti. Una troupe di sei persone, senza luci, carrelli e dolly, agisce furtivamente. Possiamo filmare dentro un centro commerciale senza che nessuno se ne accorga. Quelle sono le mie location preferite: i fast-food e i mini-market. È un mondo bellissimo di arte alta e bassa. Voglio mostrare che c'è del pathos anche nei Doritos. Presentare la cultura del junk food di Buzzard al Lincoln Center e al MoMA nella sezione New Directors/New Films è stato un incredibile onore. Mi sentivo come in un sogno ad occhi aperti molto surreale.

I Ramones hanno fatto sempre la stessa canzone, non importa quanto siano diventati popolari. Vorrei seguire questa filosofia. Non dico che rifiuterei un mucchio di soldi. Lo vorrei tanto un mucchio di soldi. Un critico ha scritto che non faccio film che assomigliano a biglietti da visita. Non voglio mostrare a Hollywood che potrei essere un gran giocatore nella loro squadra. Anzi, in linea di massima è il contrario. Dimostro loro che c'è una maniera differente. Una maniera meno distruttiva, meno rovinosa, senza sprechi. Ma prenderei i soldi, questo è sicuro. Questo per un regista indipendente è il gesto sovversivo definitivo. In realtà preferirei molto di più lavorare con soldi provenienti dall'estero. L'Europa ha accolto i miei film come l'America semplicemente non potrebbe mai fare. Loro vedono cose attraverso la lente del “cinema”, una cosa che non puoi capire da noi quando Burger King ti fa ingurgitare qualunque cosa da un tazzone extralarge dedicato a Captain America.

A volte mi sento incredibilmente fortunato ad essere in una posizione dalla quale posso sapere quanti film indie sono fatti ogni anno e finiscono nel nulla. Altre volte penso che ce l'ho messa tutta per essere dove sono adesso e me lo merito. Forse è un po' di entrambe. Si dice che si fanno troppi film, che con la tecnologia di adesso è veramente facile. Comunque, io non ho mai sentito nessuno lamentarsi che ci sono troppe band o troppi album. Non credo ci siano troppi libri. In fin dei conti, i distributori sono quelli che regolano il traffico. Finché fanno soldi loro, la gente guarderà tutti questi film. Io non sarei dove sono adesso se non fosse per le reflex digitali e i software di montaggio a basso costo. Tu sei uno degli ultimi puristi indie, giri ancora in pellicola. Credi che il pubblico o i critici apprezzino questa scelta o che almeno se ne accorgano? Credi anche tu ci siano troppi film indie?

Perry: Al volo, ti dico solo una cosa sull'essere al timone di una produzione che ha più soldi di quanti tu possa immaginarne: saresti sorpreso a sapere con quanta facilità spariscono di colpo. Noi diciamo sempre a proposito di The Color Wheel, e immagino valga anche per Ape e Buzzard, che se fai un film come fanno tutti, e paghi a ognuno un salario basso ma equo, più o meno ne esci con duecentomila dollari. Tu filmi in un centro commerciale nel Michigan gratis, io per filmare in un negozietto di New York ho dovuto pagare cinquemila dollari per otto ore. E in un film con sciocchezze come l'assicurazione, fai una gran fatica a convincere i produttori che filmare in location senza autorizzazioni sia una buona idea. Puoi avere un budget di mezzo milione di dollari, ma soltanto quello che sborsi ad un produttore con una certa esperienza per buttare giù un piano di lavoro è quanto tu spendi per produrre due film. Posso dire per certo adesso, quattro mesi dopo che il mio film è stato apprezzato universalmente al Sundance, che apparentemente nemmeno io faccio film che assomigliano a biglietti da visita. Listen Up Philip sembra abbia sopra la scritta “Non mi assumere” che soltanto i produttori più esperti riescono a leggere, qualcosa faccia capire loro che sarà difficile lavorare con chi abbia fatto quel film. Il film, come pure i tuoi d'altronde, riflette la sensibilità di qualcuno a cui non piace accettare consigli dagli altri. È una gran costa per partecipare ai festival internazionali e per essere apprezzato sulle pagine delle riviste meritevoli, che onestamente è tutto ciò che ho sempre desiderato. Né tu né io potremmo essere in corsa per dirigere un qualunque script a Hollywood. Dobbiamo fare quello che fanno gli eroi: ritornare senza fine dai nostri festival preferiti, quelli che ci supportano e ci nutrono già dai nostri esordi.

Io al Sundance e magari anche tu al SXSW con la tua anteprima siamo stati salutati come dei nuovi registi. La maggior parte della gente lì non ci aveva mai sentito nominare e non aveva visto nessun nostro film. Quando invece ritorniamo in paesi e in festival che ci hanno già accolto, saremo entusiasti ad interagire con giornalisti o spettatori che conoscono i nostri film e aspettano con ansia quello nuovo. Sono fiducioso. Se l'Europa ha accolto con entusiasmo The Color Wheel e Ape potrà fare altrettanto per i nostri nuovi film. Sembra piacciano molto in Europa i film americani girati in pellicola, è qualcosa che non trovano bizzarro. Forse c'è ancora molta disponibilità là. Sono d'accordo sul fatto che ci sia una sovrabbondanza di prodotti, e non puoi usare te stesso come esempio perché i tuoi film interessano e meritano di essere supportati e visti. E comunque non è nemmeno vero che chiunque possa avere accesso ad una reflex digitale, non dimenticarlo. Domanda ad un qualunque curatore di festival. Per me il titolo di filmmaker bisogna guadagnarselo. Ho visto un mucchio di episodi di Top Chef e i concorrenti usano il termine “chef” con enorme riverenza per gli chef con cui interagiscono. Credo che per “filmmaker” debba essere lo stesso. Soltanto perché sei capace di far bollire l'acqua e buttarci dentro la basta, non significa mica che verrai chiamato “chef”. Da dopo il Sundance convivo con questa idea: sto giocando a cercare un lavoro e diventare un regista a chiamata, sforzandomi con le mie limitate capacità a catturare dei produttori che in ogni caso guardano a qualcun altro, oppure batto in ritirata e faccio film a modo mio fino a riuscire a decifrare il codice per diventare finanziariamente stabile? Credo di poter indovinare cosa faresti tu.

Potrykus: Anch'io sono come bloccato. Però sono disposto a provare qualcos'altro in questi giorni. Voglio soltanto fare film che vorrei vedere. Mi piacciono quei film che corrono il rischio di andare completamente fuori dai binari. Hollywood non va fuori dai binari da troppo tempo. Locarno e la Viennale sposano qualunque cosa piaccia loro, e ritengono il mio lavoro importante e necessario. Io questo lo preferirei anche ad un salario. L'Europa accoglie quello che è scomodo, arrabbiato, spiacevole. A giudicare dalle reazioni che Listen Up Philip e Buzzard hanno ricevuto finora negli Stati Uniti, direi che all'estero avranno una scadenza più lunga. La mentalità della “nuova uscita” e quella di Netflix lì non esistono. I film buoni non scadono dopo sei mesi. Ho parlato di un nuovo progetto destinato a fallire con alcuni produttori di New York e di Los Angeles. Sono stato talmente ingenuo da dire alla fine che avrei avuto bisogno soltanto di centomila dollari, credendo che in questo modo loro avrebbero considerato il rischio abbastanza nullo da entrarci dentro. Al contrario, loro hanno detto che produttori, assicurazioni, esterni, ecc. avrebbero fatto fuori quel budget in meno di una settimana se avessi dovuto rispettare le regole con le quali si fa un film. Io posso vivere con poco. Questo è stato sempre il mio modus operandi: vivi con poco, fai film con poco. Ma dai un'anima a tutto. Per me un film ha un'anima. American History X (1998) non ha un'anima. Made in Britain (1982) ha un'anima. Non so chi prendermela, se con il regista o con il sistema. Ma so che da qualche parte lungo la linea qualcuno tenta di succhiare fuori l'anima e rimpiazzarla con personaggi redentori e strutture convenzionali. Hollywood vuole che il suo pubblico si senta a proprio agio. Non credo che nessuno di noi voglia questo. Io prenderei al volo l'occasione di girare una sceneggiatura della Black List, ma sarebbe soltanto per i soldi. Non ho paura di vendermi. Vendersi significa far soldi, e far soldi significa poter fare i tuoi film con quei soldi. L'ho capito. In un mondo perfetto io dirigerei un anno un sequel di Fast & Furious e l'anno dopo uno dei miei balordi film sugli animali. Non che io abbia alcuna idea di come si giri un inseguimento di auto.

Dopotutto, vorrei soltanto progettare una capanna nella foresta, piccola e strana, con i miei amici, non costruire un grattacielo pacchiano con un branco di sconosciuti.

(testo originariamente pubblicato su Cinemascope; traduzione di Carlo Mezzasoma)